75 anni fa la tragedia di Superga
di Generoso D’Agnese
Sono trascorsi 75 anni ma la memoria non è sbiadita. Perché si trattò di una tragedia che colpì non solo lo sport ma l’orgoglio di un intero paese alla ricerca del riscatto. Perché coinvolse giovani sportivi che sapevano rendere meno amare le domeniche degli appassionati di calcio. Perché distrusse il mito di una grande squadra trasformando Superga nella sintesi delle sciagure del XX secolo.
Erano di ritorno da Lisbona, i componenti del Torino, i dirigenti, tre noti giornalisti italiani e l’equipaggio del trimotore Fiat G.212 delle Avio Linee Italiane . Nella capitale lusitana la squadra aveva disputato un incontro amichevole con il Benfia per celebrare il capitano della compagina locale, Francisco Ferreira.
Decollato alle 9:40 di mercoledì 4 maggio 1949 l’aereo era guidato dal tenente colonnello Meroni e fece scalo a Barcellona permettendo alla squadra del Torino di incontrare a pranzo quella del Milan diretta a Madrid. Ripreso il volo, il trimotore sorvolò Cap de Creus, Tolone, Nizza, Albenga, Savona,virando poi verso nord, in direzione del capoluogo subalpino. Il tempo su Torino era pessimo. Alle 16:55 l’aeroporto di Aeritalia comunica ai piloti la situazione meteo: nubi quasi a contatto col suolo, rovesci di pioggia, forte libeccio con raffiche, visibilità orizzontale scarsissima (40 metri). Dopo pochi minuti, alle ore 17,03, lo schianto sul terrapieno posteriore della Basilica di Superga, a 669 metri di altitudine.
Secondo le ipotesi, a causa del forte vento al traverso sinistro – l’aereo nel corso della virata subì una deriva verso dritta, che lo spostò dall’asse di discesa e lo allineò, invece che con la pista, con la collina di Superga; a seguito di recenti indagini è emersa la possibilità che l’altimetro si fosse bloccato sui 2000 metri e quindi inducesse i piloti a credere di essere a tale quota, mentre erano a soli 600 metri dal suolo.
Il pilota, che credeva di avere la collina di Superga alla sua destra, se la vide invece sbucare davanti all’improvviso (velocità 180 km/h, visibilità 40 metri) e non ebbe il tempo per fare nulla. Delle 31 persone a bordo non si salvò nessuno. I giocatori Valerio Bacigalupo, Aldo Ballarin, Dino Ballarin, Émile Bongiorni, Eusebio Castigliano, Rubens Fadini, Guglielmo Gabetto, Ruggero Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik, Virgilio Maroso, Danilo Martelli, Valentino Mazzola, Romeo Menti, Piero Operto, Franco Ossola,Mario Rigamonti, Julius Schubert, i dirigenti Arnaldo Anisetta, Ippolito Civalleri, Andrea Bonaiuti gli allenatori Egri Erbstein e Leslie Lievesley, il massaggiatore Osvaldo Cortina scomparvero portando nella tomba il blasone di una squadra vincitrice di cinque scudetti consecutivi dalla stagione 1942-1943 alla stagione 1948-1949 e che costituiva la quasi totalità della Nazionale italiana. Con loro perì anche l’equipaggio formato da Pierluigi Meroni, Celeste D’Inca, Cesare Biancardi e Antonio Pancrazi. Si salvarono soltanto Sauro Tomà ( che non prese parte alla trasferta portoghese per un infortunio al menisco), il portiere di riserva Renato Gandolfi, e Luigi Giuliano Luigi Giuliano (capitano della Primavera del Toro e da poco tempo in pianta stabile in prima squadra, fu bloccato da un’influenza). Si salvarono casualmente anche il notissimo radiocronista Nicolò Carosio (bloccato dalla cresima del figlio), l’ex commissario tecnico della Nazionale Vittorio Pozzo (il Torino preferì assegnare il posto a Cavallero), il calciatore Tommaso Maestrelli (invitato da Mazzola rinunciò per problemi burocratici con il passaporto) e il presidente del Torino, Ferruccio Novo (malato d’influenza). Nell’incidente morirono anche i giornalisti Renato Casalbore (fondatore di Tuttosport), Renato Tosatti (della Gazzetta del Popolo) e Luigi Cavallero (La Stampa).
Il primo ad accorrere fu Don Tancredi Ricca, cappellano della Basilica di Superga. Tra i resti fumanti dell’aereo è subito chiaro che non ci sono possibilità di trovare persone in vita. Al buon parroco non resta altro che pregare, in attesa dell’arrivo di altri confratelli, dei contadini della zona e delle prime ambulanze e squadre dei vigili del fuoco. La notizia dello schianto si propagò come un’onda d’urto. Negli uffici dell’Aeritalia c’era ancora l’incertezza sulla scomparsa dell’aereo dai radar, ma in strada echeggiò una sola frase: Il Grande Torino.
A poche ore dall’incidente, l’Italia entrò in lutto: il Grande Torino era da tempo una squadra al di sopra del tifo di campanile. Orgoglio di tutti gli italiani, la squadra rappresentava un simbolo della rinascita italiana dopo le tragedie della guerra, capace di dominare nel calcio italiano come nessuno mai avrebbe fatto in futuro. Per la partita di addio del capitano del Benefica e del Portogallo, Ferriera, venne scelto il Torino (capace di vincere il campionato precedente con sedici punti di vantaggio sulla seconda) proprio per il suo assoluto blasone internazionale e nonostante lo scetticismo del presidente del Torino venne giocata per la reciproca simpatia che legava lo stesso Ferriera a Valentino Mazzola.
Il trauma di Superga fu talmente forte da indurre la nazionale italiana a partire un anno più tardi alla volta dei mondiali brasiliani in nave anziché in aereo. Con pessimi risultati di forma.
Il calcio italiano non ritrovò più per anni un modello di squadra così compatta e vincente. La Nazionale, orfana di straordinari atleti, si affidò agli oriundi per poter competere a un livello accettabile, subendo una delusione dopo all’altra.
Bisognerà attendere l’Inter di Moratti ed Herrera per riportare il sorriso e la gloria nel calcio italiano. Nella notte di Vienna, 27 maggio 1964, i nerazzurri vinsero la loro prima Coppa dei Campioni ai danni del leggendario Real Madrid con due reti di Sandro Mazzola, figlio del grande e indimenticato Valentino.