La missione, frutto della cooperazione tra Europa e Giappone, si avvale dell’utilizzo di una tecnologia ad alte prestazioni che consentirà di fornire dati senza precedenti. La strumentazione in orbita è, infatti, una delle più complesse mai utilizzate in una missione spaziale e consentirà agli scienziati di studiare la relazione tra nuvole e aerosol, ovvero quel complesso di particelle immesse nell’atmosfera prodotto dell’attività umana.
Nata dalla collaborazione fra Agenzia Spaziale Europea e agenzia spaziale giapponese, Jaxa, la missione Earthcare è dotata dell’innovativo radar, che produce impulsi di luce ultravioletta, capace di identificare particelle in sospensione di dimensioni inferiori ad un millesimo di un millimetro ovvero 30 volte più piccole dello spessore di un capello. L’importanza di questa iniziativa internazionale, afferma ai microfoni Vanes Poluzzi, docente all’Università di Bologna ed esperto di clima e inquinamento, va ricercata nel fatto che per la prima volta si riesce a indagare in modo più approfondito la composizione dell’atmosfera. E l’impatto sulla salute umana.
Entro la fine del prossimo anno – afferma ancora Poluzzi – dovrebbe essere lanciato in orbita, ad una altitudine di 740 km, un altro satellite: Maia, nato dalla collaborazione tra l’Arpae, l’Agenzia regionale prevenzione ambiente ed energia dell’Emilia Romagna, e la Nasa. Anche lo scopo di questo strumento – afferma – è quello di raccogliere ulteriori dati su aerosol, atmosfera, composizione chimica e aspetti energetici dell’aria. Tutte informazioni che serviranno all’uomo per comprendere come comportarsi in futuro per poter salvaguardare la specie, spiega l’esperto, che ha contribuito alla realizzazione del progetto. Il satellite sarà utile sia per raccogliere dati sui meccanismi di formazione delle particelle di aerosol, che per valutare l’impatto di quest’ultime sulla salute umana.
Stefania Ferretti