Tic tac, tic tac. Partito il cronometro Dem, dopo le elezioni europee si ri-cambia leader. Fallito il colpo (di genio?) tentato dai comunicatori della segretaria Elly Schlein, di personalizzare lo scontro diretto con la leader della destra Giorgia Meloni, ora si corre ai ripari, si cerca una possibile soluzione. Ed è un generale scaricabarile, è colpa di Tizio, no di Caio, macché di Sempronio. Elly Schlein, visto il fuoco di sbarramento arrivato da tutto il Pd contro il suo nome inserito nel simbolo del partito, ha fatto subito marcia indietro come se nulla fosse. La proposta era stata avanzata da altri (il presidente del partito Stefano Bonaccini, ndr) si è giustificata, quando tutti sapevano e dichiaravano ai quattro venti che era stata concordata. Ancora, ha aggiunto, «il mio nome è risultato divisivo…». Bastava pensarci un attimo prima no? Come si fa in un partito dominato dalle correnti, ops, aree politiche, profondamente incentrato su logiche interne di micropotere personale, di botto, pensare di trasformare la libera federazione Dem nel partito della leader, suo personale? Di qui la figuraccia in mondovisione, con la destra che brina e si diverte a sottolineare che Schlein non la vogliono nemmeno i suoi. Colpa di Schlein, certo, ma ancor di più dei suoi comunicatori, di chi ha tentato il colpo di mano affidandosi alla mera logica del marketing ‘de noantri’: Visto i manifesti di Fdi? Con Giorgia in primo piano? Famolo pure noi, hanno pensato i supergeni della politica. La logica che seguono è pure moderna, punta tutto sulla personalizzazione, sulla figura del leader da contrapporre a… sull’elettorato ormai mobile e liquido, che si sposta da una parte all’altra senza nessun ancoraggio o pensiero, spinto dalla simpatia del momento, dalla battuta azzeccata. Ma anche questa strategia ha bisogno di un ancoraggio forte, di una base di partenza solida e non liquida. Giorgia Meloni è Fratelli d’Italia, Fratelli d’Italia è Giorgia Meloni. Tutta la catena di comando e di pensiero stà lì attorno e da lì tutto discende. Dentro il Pd è un caravanserraglio, un luogo dove si transita, ci si accomoda e quando non conviene più si esce. Un partito lacerato perché ci sono ancora decine e decine di migliaia di militanti che ogni giorno si danno da fare per aprire i circoli, per fare volantinaggio nelle strade. Ma questa fatica, di fronte al potere del marketing, sembra non valere più, qualcosa che al massimo strappa un sorriso e una pacca sulla spalla. Ecco perché il blitz di Schlein non è riuscito, ecco perché il corpaccione dei soliti noti Dem, subito dopo il voto delle Europee, presenterà il conto. Sentiti alcuni pareri di esponenti Dem, in estrema sintesi, esce fuori che: «Schlein non è affidabile, con la storia del suo nome nel simbolo ha dimostrato tutta la sua inesperienza, la sua incapacità a gestire una linea politica (quale di grazia?) o una strategia per costruire alleanze credibili in grado di strappare il governo alle destre». Quindi? Tutto dipenderà dal risultato elettorale: se il Pd scenderà sotto il 20 per cento la macchina della sostituzione sarà rapida; se il Pd, colpo di fortuna, dovesse arrivare o superare il 25 per cento, la macchina della sostituzione rallenterà. Ma alla fine l’esito sarà lo stesso perché, questa la soluzione a cui stanno già pensando, visto che Stefano Bonaccini verrà eletto sicuramente a Bruxelles, la presidenza Dem andrà a Paolo Gentiloni, ex Presidente del Consiglio, in uscita dalla Commissione europea. Toccherà a lui sostituire, o affiancare, la leader e con lei gestire la strategia politica Dem fino alle prossime elezioni, quando sarà bell’ e pronto come candidato premier del Centrosinistra.
Nico Perrone