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A Firenze una mostra dedicata a Paolo Gubinelli:  Segni e Sogni, in Silenzio verso l’Infinito

Gazzettino Italiano Patagónico by Gazzettino Italiano Patagónico
1 de noviembre de 2025
in Arte, Giovanni Cardone 
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A Firenze una mostra dedicata a Paolo Gubinelli:  Segni e Sogni, in Silenzio verso l’Infinito

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Giovanni Cardone

Fino al 31 Ottobre 2025 si potrà ammirare alla Galleria Rossa della Villa Mediceo Lorenese di Poggio Imperiale Firenze la mostra dedicata a Paolo Gubinelli – ‘Segni e sogni, in silenzio verso l’infinito’ a cura di Alessandra Corti e Paolo Gubinelli. L’esposizione  propone una selezione significativa di lavori su carta, vetro, ceramica e libri d’artista, in un dialogo profondo tra pittura e parola. Attraverso incisioni, piegature, cromie e trasparenze, Gubinelli trasforma la materia in un linguaggio lirico e interiore, in cui il silenzio del gesto diventa spazio di luce e riflessione. Come scrive Giorgio Fiorenza, le opere di Gubinelli “ti graffiano l’anima, ti fanno sognare e ti accompagnano verso un infinito”, rivelando un’energia che nasce dall’ingegno e si trasforma in emozione visiva e interiore. Per Cristina Acidini, “il suo stupore è quello di chi sa riconoscere la bellezza e farla sua: la bellezza dei segni, dei colori, della carta che vibra nella luce”. Le opere esposte restituiscono così “una leggerezza eterea, verso chiarori più diafani”, offrendo una visione poetica e contemporanea. Secondo Gaspare Polizzi, l’arte di Gubinelli è “un inesausto lavorio della piega”, capace di unire “graffi, rilievi, trasparenze, acquerelli e ceramiche” in una tensione costante tra forma e significato. L’artista è definito “un artigiano delle pieghe”, interprete raffinato di quella continuità tra pittura e poesia che incarna l’antico principio dell’ut pictura poësis. In una mia analisi sull’opera di Paolo Gubinelli : Come dice Gianni Vattimo: “Se le utopie della tradizione culturale occidentale devono il loro modello di ordine ideale, finale, unitario al fondamento oggettivo della metafisica, non hanno forse subito, come la metafisica, una dissoluzione nel senso heideggeriano della Verwindung ? Nella misura in cui la nozione stessa di unità, come quella di fondamento metafisico ultimo, rivela ormai la sua violenza e volontà di dominio e poiché a noi interessa invece pensare l’utopia come un ‘progetto di emancipazione’, l’autore propone di sostituire l’unità fino ad allora rappresentata caratteristico dell’utopia con una molteplicità che viene difesa come valore e non come fase di ‘confusione’ da superare”. Io penso che la differenza tra utopia e distopia è il tipo di connessione spazio- temporale con la realtà che le società utopiche e distopiche adottano. L’utopia non mantiene legami con la storia reale. Il luogo della realizzazione utopica è lontanissimo, ignorato fino al momento della sua scoperta; gli utopisti infatti utilizzano spesso il racconto di un viaggio avventuroso per terre inesplorate, affinché il lungo percorso che è stato necessario affrontare per arrivarci permetta al protagonista di lasciarsi alle spalle tutta l’esperienza sociale e culturale del proprio mondo. Una netta frattura geografica e storica è infatti necessaria per il protagonista affinché possa comprendere appieno la società, i costumi e le istituzioni che si sono creati in tale isolamento, radicalmente diversi da quelli contemporanei a lui noti. L’utopia perciò è realmente un “non-luogo”, in quanto non si colloca nella realtà spazio-temporale. L’utopista vuole inoltre proporre un ideale da raggiungere alla società moderna, in modo che le persone si sentano in dovere di imprimere uno svolgimento diverso alla storia, proponendo processi alternativi per rispondere ad una situazione storica avvertita come dolorosa. Al contrario la distopia si pone in continuità con il processo storico. Essa accoglie la realtà quale è, creando un possibile futuro mondo distorto, partendo da tendenze negative già esistenti e operanti nel presente, ampliandole e ingigantendole. Lo scrittore di distopie presenta perciò la società ideale come l’evoluzione di condizioni contemporanee negative, cercando di mettere in evidenza i pericoli a cui si andrà incontro se si continuerà la via attualmente intrapresa, che porterebbe alla realizzazione concreta del “luogo-cattivo”. Esistono vari termini per indicare ciò che è definito come un “non-luogo sede di una realtà indesiderabile”. Due sono utilizzati universalmente: il termine Antiutopia e il termine Distopia. Ma la differenza etimologica che fa del termine Distopia quello più adatto è il fatto che mentre Antiutopia indica uno stretto «rapporto di opposizione e di dipendenza rispetto all’utopia» , l’altro ha un significato più ampio e complesso. Il termine Distopia è di derivazione greca. Essendo il termine opposto a eutopia, così è chiamata l’utopia da Tommaso Moro il prefisso greco dys- si oppone al prefisso positivo eu- che significa non-luogo, quindi mentre l’Utopia rappresenta il luogo dove tutto è ciò che dovrebbe essere, quindi un terreno fertile dal punto vista sociale e culturale, la Distopia è un luogo che rappresenta completamente il contrario. La stessa meticolosità con cui in gran parte dei racconti utopici vengono indicate anche le più minute disposizioni circa i costumi, le abitudini, fino al modo di vestire, di mangiare, ecc., è un indice del fatto che la costruzione utopica non vuole lasciare nulla al caso per garantire la validità del proprio disegno e la perpetuazione dei propri risultati. In una mia analisi su Walter Benjamin il quale ha dedicato più di dieci anni della sua vita al tentativo di risvegliare un’epoca dal proprio torpore egli riteneva che l’esperienza onirica avesse molto in comune con la fase giovanile di una generazione. Egli, infatti, scriveva che “ogni epoca possiede questo lato incline ai sogni, il lato infantile”. Il rapporto tra sogno e veglia, tra apparenza e verità, doveva tuttavia essere completamente ripensato. Da un lato ogni immagine onirica, secondo il filosofo tedesco, trattiene in sé una verità. Il sogno perciò non è falsità: mostra piuttosto un rapporto essenziale con la veglia e la via del risveglio. D’altro canto bisogna svegliarsi per capire non solo di aver sognato, ma anche e soprattutto la verità adombrata dal sogno. La critica di Benjamin svelava piuttosto lo stretto rapporto che legava queste manifestazioni oniriche ai fatti di natura economica e politica. Il presupposto era che la stessa distanza che separava fenomeno e idea determinasse e scandisse il rapporto tra base economica e sovrastruttura, la quale permetteva alla coscienza collettiva di dare liberamente vita ai propri sogni. Quello che il filosofo categoricamente escluse era la sovrastruttura corrispondesse immediatamente alla struttura, poiché la prima è determinata dall’immagine illusoria, distorta, con cui il materiale empirico e intellettuale giunge a conoscenza. La sovrastruttura corrisponde invece al materiale empirico espresso in una forma trasfigurata, come spiega Benjamin con la metafora delle ripercussioni del mal di stomaco sulla vita onirica. «Le condizioni economiche che determinano l’esistenza della società giungono a espressione nella sovrastruttura; proprio come, nel caso del dormiente, un imbarazzo di stomaco trova nel contenuto del sogno per quanto possa determinarlo in senso causale non il proprio rispecchiamento, ma la propria espressione. Il collettivo esprime innanzi tutto le proprie condizioni di vita, che trovano nel sogno la loro espressione, e nel risveglio la loro interpretazione» . Sogno e risveglio, già oggetto di uno studio giovanile del filosofo, diventano così fondamentali categorie critiche della conoscenza storica. Se l’arte del primo decennio del secolo scorso ha un orientamento genericamente ‛modernistico’ in quanto mira a rispecchiare ed esaltare la nuova concezione del lavoro e del progresso, dal 1910 circa si determinano in vari paesi europei in fase di industrializzazione movimenti detti di ‛avanguardia’, che vogliono fare dell’arte un incentivo alla trasformazione radicale della cultura e del costume sociale l’arte di avanguardia si propone di anticipare, con la trasformazione delle proprie strutture, la trasformazione della società. Più precisamente, si propone di adeguare la sensibilità della società al ritmo del lavoro industriale insegnandole a scorgere il lato estetico o creativo della cosiddetta ‛civiltà delle macchine’.  Posso affermare che alle correnti di avanguardia in questo momento storico si contrappongono quelle di segno opposto. Si delineano una forte distinzione tra due gruppi di correnti nel primo rientrano, il cubismo e alle avanguardie storiche tra cui il movimento olandese De Stijl , tutti i movimenti ‛costruttivisti’ fino alle recenti ricerche programmate, cinetiche e visuali ovvero, la pittura metafisica, il dadaismo, il surrealismo e le loro derivazioni. Vi sono inoltre numerose personalità di artisti che, pur muovendosi su posizioni avanzate, non rientrano in alcuna corrente o passano dall’una all’altra tipica, in questo senso, la cosiddetta ècole de Paris che tra il 1910 e il 1940, è stata il punto d’incontro degli artisti ‛indipendenti’ di tutto il mondo. Le correnti del primo gruppo, che implicano un giudizio sostanzialmente positivo sulla presente condizione del mondo, tendono a ricollegare l’arte alla società non più attraverso il mercato, ma attraverso l’apparato produttivo dell’industria, coordinando i procedimenti dell’ideazione formale con quelli della progettazione industriale. L’artista ricusa il mito dell’arte ‛pura’, del mestiere ‛sacro’ o ‛ispirato’, rinuncia al rango di intellettuale, si trasforma in tecnico-progettista, utilizza la tecnologia industriale per produrre oggetti d’uso corrente, perfettamente funzionali ed aventi una loro qualità estetica. Questa non è più un valore aggiunto, ma integrato alla funzionalità, che viene definita nella sua logica linearità fin dallo stadio del progetto. Non più palazzi, edifici rappresentativi, statue, quadri, oggetti rari e preziosi, necessariamente riservati ai ceti più ricchi ma case d’abitazione, fabbriche, scuole, ospedali, stadi, teatri, oggetti standardizzati e fabbricati in serie, destinati a tutti i ceti sociali. L’oggetto estetico non è più un oggetto di lusso, ma, per la sua nuda funzionalità, l’oggetto più economico come tale è rappresentativo di una società che riconosce come primaria ed egemone la funzione economica. L’insieme delle cose prodotte dall’industria in serie costituirà l’ambiente materiale dell’esistenza sociale: questo ambiente sarà negativo, alienante, cagione di nevrosi individuali e collettive nella misura in cui sarà determinato da una produzione manovrata al fine del profitto, del potere, dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo; sarà invece positivo e liberatorio, non alienante, aperto all’integrazione dell’individuo e del gruppo nel contesto, se sarà determinato dalla società stessa. Come disse lo studioso tedesco Lessing il quale porta avanti una teoria che vuole, per la prima volta, attraverso la distinzione fra le arti, rintracciare un sistema estetico e una guida tecnica “basati sul riconoscimento della ‘pluralità’ dell’esperienza estetica intesa come un processo cui fanno capo fattori eterogenei anche extrartistici o addirittura extralinguistici”. L’esperienza estetica, secondo Lessing, non può più limitarsi al mero concetto di bellezza, ma deve anche coinvolgere la conoscenza sensibile e il soggetto nella sua totalità, vale a dire la conoscenza intellettuale. Non a caso nelle sue argomentazioni, rende partecipi tutti i sensi, dall’olfatto al gusto, dalla vista al tatto, riuscendo perfino a parlare di ‘estetica del brutto’, categoria che dopo il Laokoon  otterrà diritto di cittadinanza nell’estetica tedesca con esiti teorici, ma soprattutto artistici, di portata incalcolabile. Ma è l’aspetto ‘semiotico’ quello che più ci interessa indagare il quale ci riporta immediatamente al sottotitolo del testo, che evidenzia gli aspetti più innovativi dello studio di Lessing, Über die Grenzen der Malerei und Poesie: sono infatti i limiti, o meglio i ‘confini’, tra le due arti il vero ductus argomentativo dell’indagine lessinghiana. Leggendo Lessing certamente si prende le distanze dall’atteggiamento di coloro che hanno deliberatamente rintracciato negli scritti dei classici greci e latini ‘dottrine’ valide a supportare i propri fini estetici. Ma noi moderni abbiamo creduto in molti casi di averli di gran lunga superati, trasformando i loro angusti viottoli in strade maestre; per quanto anche le più brevi e sicure strade maestre si possano ridurre in sentieri che conducono per luoghi incolti. La sfolgorante antitesi del Voltaire greco secondo cui la pittura è una poesia muta e la poesia è una pittura parlante, non stava certo in un trattato. Era una di quelle idee che venivano in mente spesso a Simonide, la cui verità è talmente evidente che crediamo di dover trascurare l’inesattezza e la falsità che l’accompagnano. Nondimeno tutto ciò non sfuggì agli antichi. Lessing diversamente da Winckelmann, non è tanto interessato al complesso statuario e ai suoi aspetti archeologici egli piuttosto rivolge la sua attenzione a questioni di teoria della pittura. L’arte di Paolo Gubinelli ha la capacità, la forza di suggestionare, in particolare di commuovere, di far insorgere sentimenti elevati. Sebbene però l’origine di questa relazione sia antica, è vero che il Novecento, e soprattutto gli ultimi decenni, è stato protagonista di un rinnovato interesse ad indagare le dinamiche interartistiche tra le due arti. Posso affermare che la pittura di Paolo Gubinelli oscilla vertiginosamente tra una sottile e raffinata astrazione e un informale materico fatto di energia, segno e gestualità. Le opere dell’artista  sono una ridda ubriacante di ossimori, di coerenti contraddizioni: sono immobili tempeste, sono lampi fatti di materia spirituale, sono funambolici giochi tra disequilibrato e equilibrio, criptiche rivelazioni di un caos ordinato, superfici tridimensionali fatte di narrazioni contemporanee, ricche, colte e preziose. La forza primigenia e raffinata che promana da queste opere e che affascina il fruitore in maniera al tempo stesso sottile e prorompente deriva proprio dall’innata capacità dell’artista di conciliare gli opposti. Di fondere nel crogiolo incandescente della sua sapienza alchemica elementi opposti per dar vita ad opere d’arte di sostanziale, corposa coerenza artistica ed eterea, originaria originalità. Non è poi casuale se molte opere di Paolo Gubinelli si rifanno ad una visione poetica dell’arte dove linguaggio della poesia-verbale ci appare evidente che ogni qual volta l’opera viene costruita sull’inquieto equilibrio tra Ordine e Caos, Forma e Materia, ebbene in tutti questi casi non è possibile non pensare a risvolti di tipo cosmogonico. Anche se le opere di Paolo Gubinelli ci fanno sempre pensare a quei momenti cruciali nella storia ‘dell’Universo’ in cui la ‘Luce’ è  stata separata dalle ‘Tenebre’,‘Le Terre dai Mari’, le ‘Forme viventi’ dalla ‘Materia inanimata’. Momenti che mitologie e religioni di tutti i tempi e in tutti i luoghi hanno raccontato molto spesso con immagini ed espressioni molto simili e che forse rappresentano un comune retaggio profondo ed arcano ‘archetipico’ dell’umana sapienza. Ma forse le opere di Paolo Gubinelli non ci raccontano soltanto questo. Forse nel Macrocosmo si rispecchia il Microcosmo. Forse le cosmogonie raccontano, metaforicamente, soggettive, psicologiche ontogenesi. Forse dietro il conflitto tra il Cosmo e il Caos, si cela quello tra il Conscio e l’Inconscio e la nascita del mondo simboleggia la nascita del soggetto. Ed allora possiamo interpretare sotto una diversa luce il difficile, complesso, conflittuale rapporto tra la Materia allo stato puro, indistinto, indifferenziato e la Forma che cerca disperatamente di emergere, di imporsi, di imporre il proprio sigillo di razionalità (o quanto meno di ragionevolezza) sull’eterna rivale: un rapporto tanto dialettico e necessario quanto problematico e violento. Nello scontro ineluttabile tra la Forma e l’Informe, spesso i confini tra aggressore ed aggredito si confondono, i ruoli si rovesciano a ripetizione, così rapidamente che talvolta capita di smarrirsi e di non distinguere più l’una cosa dall’altra. Le opere di Paolo Gubinelli raccontano anche questo: quanto labile sia il confine che separa il Soggetto dall’Oggetto, l’Uomo dal Mondo che lo circonda. E quanto difficile, e doloroso, e per nulla certo, sia il processo di auto-definizione. Le opere dell’artista non ci mostrano l’esito di questo titanico scontro, quanto piuttosto una fase, nel vivo del combattimento. Così colori e materiali che scompongono e ricompongono il piano narrativo appaiono come una vera e propria raffigurazione delle linee di forza e dei campi di energia che si sprigionano nel corso di questi eventi di autentica ontogenesi dell’Io. Ontogenesi che rappresenta il primo, vero contenuto di queste opere. Quello a cui assistiamo, dunque, per quanto violento, brutale, o anche solo essenziale, possa sembrarci è, in definitiva, un lieto evento, nel senso comune della parola: vale a dire una nascita. La nascita di un Soggetto: sia esso un pensiero, un individuo, un personaggio o una creatura degli abissi della psiche. In altre parole si potrebbe descrivere tale processo creativo come un conflitto tra la Coscienza e l’Inconscio: come l’impellente (ma impossibile) tentativo della parte solare dell’Io di rendere conto delle sue parti più oscure e irriducibili. Ecco, proprio in questo è il valore, l’apporto di conoscenza, la scoperta dell’Informe, dell’impossibilità di piegare completamente l’Irrazionale alle ragioni della Ragione. E viceversa. Perché se è vero che “il cuore ha delle ragioni che la ragione ignora” è altrettanto vero che spesso (quasi sempre) “c’è del metodo nella nostra follia”. Infine possiamo dire che la pittura di Paolo Gubinelli attraverso i colori esprime quella Luce allo stato puro o meglio quella fusione tra Luce e colore. Il colore utilizzato dall’artista con sapienza creando una stesura e una composizione sulla tela da sembrare altro, creando così una luce calda, pastosa, a tratti friabile, quasi tangibile. Una luce pulsante, che si irradia dal centro dell’opera, che conquista, a fatica, irradiandosi, ogni centimetro quadrato della superficie, con pennellate fitte e modulate, inquiete, che sembrano vibrare di un afflato vitale, che a tratti si sfaldano, si addensano, si distendono. Ogni pennellata di colore è un piccolo respiro trattenuto, in impercettibile fremito, un palpito appena accennato. Le opere di Paolo Gubinelli, che si presentano quindi al nostro sguardo come un vero e proprio ciclo tematico, anche stilisticamente coerente. Tutto questo lo si può definire l’incontro- scontro tra essere e divenire dove il segno ed il colore per alcuni aspetti sono alle base del linguaggio dove l’artista si rifà principalmente al segno e al gesto che gli permettono di dare forza al suo messaggio. Le opere di Paolo Gubinelli descrivono in pieno i contenuti dell’artista che in parte si rifà ad un percorso dove la materia narra il suo mondo che è tormentato da pensieri e azioni che fanno parte di una società dove regna l’incertezza, l’ambiguità dei significati che non sono fuorvianti, ma generano un seguito di suggestioni che costituiscono proprio la principale connotazione della sua  ricerca. I lavori raccontano una nuova e interessante fase di semplificazione, o meglio di aggregazione descrittiva che suggerisce un più ampio campo d’ispirazione, tematiche contigue alle provocazioni visive,  che narrano per alcuni aspetti il ‘degrado’ della nostra società contemporanea . Sembrano infatti ricollegarsi a quelle esperienze fondamentali che fanno si che le composizioni evidenziano quelle eccedenze materiche che si attenuano per isolare spazi vuoti, fondali monocromi dalle evidenti allusioni astrali. Si direbbe che l’artista, dopo tante calate nei recessi della coscienza individuale, si è voluto interrogare sul cammino di ognuno e quindi saggiare panorami più vasti di quelli introspettivi, porre in campo simboli di valore universale. Tutto questo fa parte del mondo ideato da Paolo Gubinelli dove la metafora visiva di un mondo contemporaneo che rappresenta l’artista che mette a nudo il proprio ‘Io’ ma nel contempo tende ha raccontare l’uomo contemporaneo. Con le sue opere Paolo Gubinelli ci ha voluto farci riflettere sul destino comune, ecco perché l’artista vuole coinvolge il fruitore comunicando il proprio pensiero a chi lo riceve, oppure a chi è disponibile a farlo divenire proprio.

Biografia di Paolo Gubinelli

Nato a Matelica (MC) nel 1945, vive e lavora a Firenze. Si diploma presso l’Istituto d’arte di Macerata, sezione pittura, continua gli studi a Milano, Roma e Firenze come grafico pubblicitario, designer e progettista in architettura. Giovanissimo scopre l’importanza del concetto spaziale di Lucio Fontana che determina un orientamento costante nel la sua ricerca: conosce e stabilisce un’intesa di idee con gli artisti e architetti: Giovanni Michelucci, Bruno Munari, Ugo La Pietra, Agostino Bonalumi, Alberto Burri, Enrico Castellani, Piero Dorazio, Emilio Isgrò, Umberto Peschi, Edgardo Mannucci, Mario Nigro, Emilio Scanavino, Sol Lewitt, Giuseppe Uncini, Zoren. Partecipa a numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Le sue opere sono esposte in permanenza nei mag giori musei in italia e all’estero. Nel 2011 ospitato alla 54 Biennale di Venezia Padiglione Italia presso L’Arsenale invitato da Vittorio Sgarbi e scelto da Tonino Guerra, installazione di n. 28 carte cm. 102×72 accompagnate da un manoscritto inedito di Tonino Guerra. Sono stati pubblicati cataloghi e riviste specializzate, con testi di noti critici: Giulio Carlo Argan, Giovanni Maria Accame, Cristina Acidini, Vera Agosti, Mariano Apa, Paola Ballesi, Mirella Bandini, Carlo Belloli, Massimo Bignardi, Vanni Bramanti, Mirella Branca, Anna Brancolini, Carmine Benincasa, Paolo Bolpagni, Luciano Caramel, Giovanni Cardone, Ornella Casazza, Claudio Cerritelli, Bruno Corà, Giorgio Cortenova, Roberto Cresti, Enrico Crispolti, Fabrizio D’Amico; Roberto Daolio, Angelo Dragone, Luigi Paolo Finizio, Alberto Fiz, Paolo Fossati, Carlo Franza, Francesco Gallo, Roberto Luciani, Mario Luzi, Luciano Marziano, Lara Vinca Masini, Marco Meneguzzo, Fernando Miglietta, Bruno Munari, Antonio Paolucci, Gaspare Polizzi, Sandro Parmiggiani, Pierre Restany, Maria Luisa Spaziani, Carmelo Strano, Claudio Strinati,Antonello Tolve, Toni Toniato, Tommaso Trini, Marcello Venturoli, Stefano Verdino, Cesare Vivaldi. Sono stati pubblicati cataloghi di poesie inedite dei maggiori poeti Italiani e stranieri: Adonis, Alberto Bertoni, Alberto Bevilacqua, Libero Bigiaretti, Franco Buffoni, Anna Buoninsegni, Enrico Capodaglio, Alberto Caramella, Roberto Carifi, Ennio Cavalli, Giuseppe Conte, Vittorio Cozzoli, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Eugenio De Signoribus, Gianni D’Elia, Luciano Erba, Giorgio Garufi, Tony Harrison, Tonino Guerra, Emilio Isgrò, Clara Janés, Ko Un, Vivian Lamarque, Franco Loi, Mario Luzi, Giancarlo Majorino, Alda Merini, Alessandro Moscè, Roberto Mussapi, Giampiero Neri, Nico Orengo, Alessandro Parronchi, Feliciano Paoli, Titos Patrikios, Umberto Piersanti, Antonio Riccardi, Davide Rondoni, Tiziano Rossi, Roberto Roversi, Paolo Ruffilli, Mario Santagostini, Antonio Santori, Frencesco Scarabicchi, Fabio Scotto, Michele Sovente, Maria Luisa Spaziani, Enrico Testa, Paolo Valesio, Cesare Vivaldi, Andrea Zanzotto.

Galleria Rossa della Villa Mediceo Lorenese di Poggio Imperiale Firenze

Paolo Gubinelli. Segni e sogni, in silenzio verso l’infinito

dal 24 al 31 Ottobre 2025

Nel periodo di apertura della mostra si può visitare su prenotazione  Per informazioni e prenotazioni: segreteriacda@poggio-imperiale.edu.it

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