Giovanni Cardone
Quando conobbi il maestro Mimmo Jodice erano gli anni novanta, mi iscrissi all’Accademia delle Belle Arti di Napoli come uditore perché frequentavo l’Università ma molti dei miei amici si erano iscritti all’Accademia, molte volte ho ascoltato le lezioni di fotografia di questo grande maestro, un uomo di grande generosità ed umanità poi in seguito ci siamo sempre visti e rivisti ai vernissage di mostre un giorno lui mi disse perché non mi chiami Mimmo ed io gli risposi: Maestro voi avete formato il mio occhio verso la fotografia, poi voi siete uno dei maggiori maestri della fotografia italiana lui mi diede una pacca sulla spalla, in seguito lo andai ha trovare allo studio dove la Signora Angela mi mise a proprio agio, sembravamo amici non so da quanti anni parlammo di fotografia e infine della sua fotografia, dove Napoli e il suo linguaggio magmatico ti raccontavano una città dai mille volti che dagli anni Settanta ad oggi si era molta trasformata. Posso dire che al centro della propria ricerca c’è stata la riflessione sulle grandi trasformazioni che hanno investito il paesaggio contemporaneo e sulla mutata condizione sociale che ne consegue. Si tratta di un’esperienza che merita grande attenzione anche perché ha inciso sugli sviluppi e sulla maturazione non solo della cultura visiva, ma anche urbanistica e letteraria. L’attenzione che Mimmo Jodice ha dedicato al rapporto tra uomo e ambiente non ha soltanto avuto un preciso significato di tipo topografico, di misurazione e di descrizione dei luoghi, ma ha anche contribuito con i numerosi progetti oramai storicizzabili dedicati alle città, e ad ogni aspetto del paesaggio antropizzato e continua a contribuire alla non facile definizione della identità culturale italiana in relazione al suo paesaggio. La stagione che faccio riferimento è quella che ha portato alla fioritura, in particolare tra gli anni ‘80 e ‘90, di quella che è stata chiamata scuola italiana, un fronte culturale composto da un gran numero di fotografi. Tra di loro vi erano quelli che oggi sono i maestri riconosciuti della fotografia contemporanea, non solo italiana, tutti nati nella prima metà degli anni 40. La fotografia di Mimmo Jodice è stata diretta ma non di tipo reportagistico, bensì di semplice osservazione dei luoghi, fa coincidere la lettura fotografica del paesaggio in mutamento, nel momento in cui si predispone il passaggio dall’economia industriale a quella postindustriale, con una riflessione sul mondo e sulla propria individualità. Il Fotografo diviene un intellettuale che si interroga sulla frattura tra l’uomo contemporaneo e il mondo da lui stesso costruito, il fotografo mette in discussione, intreccia relazioni con scrittori ed architetti, lavorano collettivamente in ripetuti progetti di committenza pubblica spesso dando al loro lavoro un respiro non solo di carattere artistico, ma anche civile. È una fotografia del quotidiano, attenta agli aspetti minori e mediocri del paesaggio antropizzato, che esprime il disagio del momento storico in cui, dopo le tensioni utopistiche degli anni ’60 e ’70, la società e la cultura italiana si avviano verso quella che è stata definita la “morte delle ideologie”. È il tempo in cui si affacciano i terrains vagues, i vuoti lasciati dalle nuove urbanizzazioni; così quello che i fotografi tentano è la “rappresentazione” di questi paesaggi intermedi. Come sottolinea Roberta Valtorta, Roberto Signorini ha collegato questa fotografia alle teorie del pensiero debole, istanza filosofica sviluppata proprio in quegli anni da Pier Aldo Rovatti e Gianni Vattimo. Secondo Vattimo, poiché la progettualità non costituisce più il carattere peculiare dell’uomo libero, le grandi trasformazioni del mondo vengono percepite come prodotto degli automatismi. Mentre nell’Italia del Sud sia Mimmo Jodice che Cesare De Seta nella Napoli del dopo terremoto del 1980 collaborano a un vasto e ambizioso progetto, promosso dall’Azienda autonoma di soggiorno, volto a rinnovare l’immagine ancora anacronistica e folcloristica della città. La prima mostra del ciclo è Napoli ’81. Sette fotografi per una nuova immagine; a questa seguono altre quattro mostre e altrettanti libri fino al 1985 quando, purtroppo, il progetto si fermò, probabilmente per questioni economiche o per i cambiamenti ai vertici dell’Azienda. Furono chiamati a partecipare sia fotografi italiani quasi tutti gli stessi di Viaggi in Italia che internazionali Claude Nori, Lee Friedlander, Joan Foncuberta e altri e le loro foto furono le prime a gettare le basi per un dialogo inedito tra la città e la pratica fotografica. Intanto questa sorta di disagio, di incertezza che l’uomo ha di fronte al paesaggio da lui stesso creato avrà dei influssi anche in campo legislativo. Come si sa, è del 1985 la Legge Galasso sulla tutela del territorio, che introduce i piani paesistici regionali. Si inizia così a preparare il terreno per un’attenzione verso lo stato del paesaggio da parte di enti pubblici e istituzionali, un’attenzione che ha sempre più spinto verso progetti di committenza pubblica rivolti ai fotografi, per indagare le città, le periferie, le aree degradate. Stagione che caratterizzerà gli anni Ottanta e Novanta. La dimensione intermedia tra locale e globale, il valore del piccolo e poco costoso, il ruolo dello spazio politico e della rappresentanza sociale sono i temi più urgenti per la progettazione della città. E poi c’è il tema del temporaneo, visto come una delle strade che riesce meglio a tenere insieme tutte queste necessità. La fotografia in questo panorama può mostrare questi aspetti del vivere quotidiano, dell’autorganizzazione dei cittadini, dei conflitti sociali e può tornare a farci riflettere ancora su cosa significa oggi abitare la città. Nel suo lungo percorso ha incontrato non solo gli spazi urbani e costruiti ma anche alberi, piante, giardini e boschi, segni di una naturalità spontanea e indomabile che ugualmente esiste accanto a noi. In una serie di “quadri” straordinari e preziosi, il Maestro osservava questi elementi e riconosce in loro il silenzio di cui si nutrono, indispensabile per vivere come la luce, come l’aria. La grande forza del suo lavoro che era unico e irripetibile nel panorama internazionale, risiedeva proprio in questa sua straordinaria capacità di scavalcare ogni contingenza temporale per donarci immagini di una consistenza diversa da quella che fatti e foto di cronaca potrebbero avere. Proprio il tempo, la capacità di ribaltarne il senso e di non farsi assoggettare alle sue regole, è forse la materia che più di tutte Jodice è riuscito a manovrare con grande sapienza, rifiutando le leggi della realizzazione e del consumo rapido di immagini magari prese al volo, con il cronometro dell’immediatezza in mano. Il suo è stato, invece, il tempo lungo della comprensione, della sintonia profonda con ciò che aveva davanti; è il tempo della camera oscura in cui, di nuovo, stava a contatto diretto con le sue immagini e le sue visioni alla fine riusciva creare opere, che ci appaiono come reperti di un mondo noto eppure sconosciuto, tracce di un universo magnifico, poetico, straniante e appunto, atemporale. Negli ultimi anni ha lavorato sui negativi, ha ricercato durante tutta la sua carriera un equilibrio profondo tra il bianco e il nero, smembrando e ricomponendo le sue immagini per ottenere visioni astratte che sfidano la percezione visiva. Il fulcro del suo lavoro ha avuto come costante la sperimentazione, che unisce la realtà alla sua astrazione. La sua Fotografia ha toccato temi sociali e storici, mi fece vedere delle fotografie che documentavano le tradizioni popolari a Napoli negli anni Settanta. Le immagini che il maestro aveva creato catturavano la città in un’atmosfera sospesa e silenziosa, dove l’assenza diventa il soggetto principale di scatti al limite del metafisico. Mentre nella serie Vedute di Napoli e in altre serie degli anni Ottanta questa sua riflessione prosegue, Jodice attraverso i suoi scatti è riuscito fissare le angosce e i dubbi legati alla città, trasformata in un enigma senza tempo, priva di riferimenti cronologici e spaziali. La sua attenzione si era spostata sul Mediterraneo e sulla natura. Ricordo, Il Polittico Villa dei Papiri e I Volti della Memoria che propongono una riflessione sul tempo e sul patrimonio culturale, infine il maestro riusciva ha toccare le corde dell’animo umano attraverso la sua visione, che riusciva abilmente ha trasmettere sulla fotografia questo era per me Mimmo Jodice.
Biografia di Mimmo Jodice
E’ stato Fotografo di avanguardia sin dagli anni sessanta, attento alle sperimentazioni ed alle possibilità espressive del linguaggio fotografico, è stato protagonista instancabile nel dibattito culturale che ha portato alla crescita ed all’affermazione della fotografia italiana anche in campo internazionale. Agli inizi degli anni sessanta inizia una serie di sperimentazioni sui materiali e sui codici della fotografia, usando il mezzo non come strumento descrittivo, ma creativo. Negli anni 70 vive a stretto contatto con i più importanti artisti delle neo avanguardie che frequentavano Napoli in quegli anni, dedicandosi sempre più alla fotografia di ricerca concettuale. Nel 1980 pubblica “Vedute di Napoli” dove Jodice avvia una nuova indagine sulla realtà, lavorando alla definizione di un nuovo spazio urbano e del paesaggio, scegliendo una visione non documentaria ma sottilmente visionaria, di lontana ascendenza metafisica, alla quale resterà sempre fedele; questa ricerca segna una definitiva svolta nel suo linguaggio e nel linguaggio della fotografia internazionale. La ricerca sull’archeologia e sul Mediterraneo, iniziata nel 1986 e che ancora continua, ebbe come risultato un libro “Mediterraneo”, pubblicato da Aperture, New York, ed una mostra al Philadelphia Museum of Art nel 1995, che ne acquisisce le opere. Nel 2009 Il Palazzo delle Esposizioni di Roma gli dedica una grande retrospettiva e nel 2011 viene invitato dal Museo del Louvre per una personale con un nuovo lavoro: “Les Yeux du Louvre “. Nel 2003 riceve il Premio Feltrinelli dall’Accademia dei Lincei. Sempre in quell’anno il Ministero della Cultura francese gli conferisce l’onorificenza di “Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres”. Nel 2016 il Museo Madre di Napoli, con la curatela di Andrea Viliani, gli dedica una grande mostra antologica “Attesa 1960-2016”. Dal 2018 al 2024 i suoi lavori vengono esposti al Multimedia Art Museum di Mosca, al Museo Eretz di Tel Aviv, allo Jeu de Paume di Parigi, alla Triennale di Milano, alla Galerie Karsten Greve di Parigi e St. Moritz, al MAC di Gibellina, Galleria d’Italia di Torino, Maxxi Roma, Villa Bardini Firenze, Centro Italiano per la Fotografia “Camera” di Torino. Nel 2022 è stata pubblicata la sua biografia dal titolo “Saldamente sulle nuvole”








