Sono ancora voci di corridoio, ma i produttori e attori britannici Stephen Graham e Hannah Walters non escludono che Adolescence, la miniserie distribuita su Netflix, avrà una seconda stagione. Girata in un unico piano sequenza per ciascun episodio (quattro in tutto), narra la storia di Jamie, un 13enne accusato di aver ucciso la compagna di scuola Kate, e affronta i temi del bullismo, del cyberbullismo, degli incel. «Un termine, quest’ultimo, che deriva dall’inglese «involuntary celibates» e si riferisce a una subcultura maschile ed eterosessuale che condivide l’idea che la mancanza di rapporti romantici e sessuali sia da attribuirsi a svantaggi biologici, economici e sociali in virtù di una asimmetria di potere tra uomo e donna», spiega a Today.it Matteo Mazzucato, psicologo e psicoterapeuta, didatta per la scuola di specializzazione in Psicoterapia interattivo-cognitiva a Padova. In particolare, Mazzucato riconosce alla miniserie di Netflix «il merito di aver dato la possibilità di comprendere come un evento drammatico agito da un minore non sia un fatto isolato e di un singolo, ma una storia di ‘comunità’ che riguarda, prende vita e impatta più attori e contesti». Precisando altresì che «tra gli spunti offerti, Adolescence invita a costruire un necessario dialogo tra generazioni e a una assunzione di responsabilità relazionale dove saper riconoscere il proprio impatto nella vita degli altri, che sia compagno di scuola, amico, figlio, utente social o altro cittadino». Dal Regno Unito (dove è ambientata la miniserie) all’Italia. Qui, a gennaio del 2021, la polizia ha condotto un’operazione negli ambienti della destra radicale legata al terrorismo suprematista. Arrestato un 22enne di Savona, che in varie conversazioni si definì aderente alla corrente (appunto) dei «celibi involontari», istigando l’odio contro il sesso femminile. E ancora, a ottobre di quello stesso anno la Commissione europea rilasciò un report sul fenomeno degli incel, da cui l’Italia emerse come il quarto paese con più presenza di attivisti incel preceduta da Germania, dallo stesso Regno Unito e dalla Svezia. Da «Incelosfera Italia» ad «Azione incel», da «Il forum dei brutti» a «Blackpill Italia»: la manosfera (universo online maschile che caldeggia la misoginia, il dominio maschile e il disprezzo verso il femminismo) prolifera – e trova nuovi adepti – su blog, social e piattaforme come Reddit e Telegram. E non è difficile imbattersi in frasi come «la gente schifa sempre chi è brutto, inutile negarlo. Il mondo è crudele» o «l’altezza è diventata un fattore necessario, ma non sufficiente. Se sei un uomo sotto i 180 centimetri puoi pure essere un 9 di faccia, ma verrai automaticamente scartato». E ancora «sputo fatti: se non piaci alle donne sei brutto» oppure «ormai, con i social e Tinder, la maggioranza delle donne si polarizza verso il 5 per cento o addirittura l’1 per cento degli uomini».

Senza tralasciare il fatto che, quando si registrano nuovi femminicidi, nei forum e nelle community si apre il dibattito sul «voto estetico» della vittima, in merito alla motivazione dell’assassino, e sulla liceità della vendetta. Un fiume d’odio con terminologie ben definite: da «Cumcettina», storpiatura del nome Concetta o Concettina, ovvero la giovane che respinge sistematicamente gli uomini ritenuti inferiori secondo una ipotizzata gerarchia estetica. A»cuccolandia» quando un uomo di «media bellezza» viene respinto da una donna, ma il suo parestètico femminile avrebbe la fila di uomini. Per finire «ipergamare» che la Treccani descrive come un’usanza matrimoniale secondo cui una persona sceglie un coniuge di una classe superiore alla propria; secondo il glossario dell’odio, invece, si tratta di una colpa da attribuire alla donna che, in quanto tale, dovrebbe essere mantenuta, rifuggendo qualsiasi forma di emancipazione, aspirazione o libertà.

In tutto ciò si rende omaggio alla cosiddetta Redpill: la pillola rossa – che nel film Matrix simboleggia la scelta di conoscere la verità, seppur dolorosa, e di affrontare il mondo reale, invece di vivere nell’inganno – che dovrebbe rivelare agli uomini la «vera realtà». Una realtà alterata, in cui le donne (etichettate come manipolatrici) optano per i «Chad», ovvero gli uomini di successo, fisicamente seducenti, che accentrano le attenzioni femminili e portano le donne a rifiutare i cosiddetti «brutti». Tanti dei quali, poi, si ritrovano nel «Forum degli incel» dotato di un suo manifesto. Che recita: «Questo spazio nasce per fornire una risposta alle criminalizzazioni e denigrazioni di qualunque tipo, per respingere fermamente ogni accusa di violenza, misoginia e intolleranza che vengono associate al termine incel». Un concetto – riporta ancora – «finora confuso e non definito se non per mezzo di etichette gratuite che ogni detrattore si è sentito libero di attribuire a un’entità indefinita e per questo incapace di controbattere a qualunque critica». Interviene Mazzucato: «Il manifesto consente di dare una identità a questo movimento e, quindi, comprenderne i confini e i gli assunti da cui prendono vita tutti i ragionamenti condivisi al suo interno. Nel formalizzare un pensiero si creano così le condizioni per creare un dialogo che possa convergere verso la costruzione di proposte e interventi utili alla coesione della comunità nel suo intero, alla promozione della salute psicologica di tutti i cittadini e cittadine e alla marginalizzazione delle forme più estreme». Sulle community degli uomini che odiano le donne è uscito il saggio «Incel in una stanza» (Shatter Edizioni). Scritto da Massimiliano Martiradonna che si firma Dikotomiko (nickname utilizzato insieme con Mirco Moretti), il volume – che ha come sottotitolo «Il cinema dei maschi soli, brutti e cattivi» – analizza l’universo dei «celibi involontari» anche nei suoi più particolari sottogeneri. Snocciolando le pellicole-cult (e non solo) degli incel – «si parte da Taxi Driver, si guarda anche all’attentato a Donald Trump, si arriva ad Adolescence», riporta la quarta di copertina – il saggio si inerpica lungo un sentiero di rappresentazioni e autorappresentazioni del «celibe involontario».

Ma al di fuori dei libri, il fenomeno incel quanto deve preoccupare? Un interrogativo a cui Mazzucato replica così: «Ritengo che il punto non debba essere il cercare di prevedere quanto – e se – rimarranno inoffensivi o isolati per valutare se preoccuparsi e intervenire, sebbene già vi siano stati episodi pubblici di violenza a nome della ‘ribellione degli incel’ e che, tra le frange estremiste, sia possibile trovare discorsi d’odio, forme di oggettivazione della donna o inviti all’uso della violenza». Piuttosto, continua «serve concentrasi, come comunità, sia sull’esigenza da cui nasce il bisogno di riconoscersi in questo movimento (visti i numeri in aumento), sia di occuparsi di tutti i contesti online e offline, non solo incel, in cui ogni giorno si alimentano oppure concretizzano tutte le forme di violenza di genere». Cosa possono fare i genitori e le istituzioni? «I primi dovrebbero ampliare le occasioni di dialogo con i figli, intesi come tempo di qualità; le scuole, predisporre percorsi di educazione affettiva, valorizzazione delle diversità, cittadinanza digitale e supporto alla costruzione di un progetto di vita», illustra Mazzucato. Quindi lo psicologo e psicoterapeuta puntualizza: «È il caso di rivolgersi a uno specialista quando, sulla base di un cambiamento percepito nel modo di interagire di un minore nei suoi contesti di vita – ad esempio un progressivo isolamento, improvviso calo nel rendimento scolastico, aumento di conflitti interpersonali, disturbi alimentari o del sonno – ci si anticipa che potrebbero crearsi scenari critici per la sua traiettoria di vita e si ritiene di non poter intervenire o di non riuscirci dal proprio ruolo».
Massimo Canorro