I cambiamenti del clima in atto sul Pianeta non sono una novità. Già 300 milioni di anni fa, nel tardo Paleozoico, alte concentrazioni in atmosfera di anidride carbonica (CO2) e metano (CH4) portarono a un progressivo riscaldamento del Pianeta che causò la scomparsa quasi completa dei ghiacciai e delle calotte polari, con importanti conseguenze sulla biodiversità. Tuttavia, di quale entità furono le variazioni di questi gas in atmosfera? A dare risposta a questa difficile domanda è uno studio pubblicato su «Nature Geoscience» nel quale per la prima volta si ricostruiscono i livelli atmosferici di CO2 lungo un arco temporale di 80 milioni di anni. Autori dello studio sono i ricercatori dell’Università di St. Andrews in Scozia, con i colleghi di Roma Sapienza, Milano Statale ed altri sei partner internazionali (che comprendono sia università che enti di ricerca), che hanno studiato l’atmosfera durante e dopo la glaciazione del tardo Paleozoico per comprenderne i meccanismi e le variazioni. Gli scienziati sono soliti sudiare l’atmosfera del passato attraverso bolle d’aria imprigionate nelle calotte polari. Tuttavia, questa soluzione consente di risalire fino ad «appena» 800 mila anni fa, mentre in questo caso le indagini riguardavano un tempo compreso tra 340 e 260 milioni di anni fa. In aiuto dei ricercatori sono intervenuti alcuni invertebrati marini che popolavano le acque di quel tempo. «I fossili e le caratteristiche geochimiche dei loro resti sono una preziosa fonte di informazioni che ci permette di ricostruire il clima e gli ambienti in cui questi organismi sono vissuti, anche nel tempo profondo» spiega la Prof.ssa Lucia Angiolini dell’Università degli Studi di Milano. Questi animali sono i brachiopodi, invertebrati marini con una conchiglia costituita da carbonato di calcio, molto abbondanti durante il Paleozoico e tutt’ora rappresentati da alcune specie viventi. «Mentre l’organismo cresce, la sua conchiglia si espande ed incorpora numerosi elementi e composti chimici che vanno a costituire una sorta di archivio per tutto il suo ciclo vitale» spiega il Prof. Claudio Garbelli di Roma Sapienza. «Alcuni elementi presenti nel carbonato di calcio delle conchiglie sono determinati dai valori di pH dell’acqua marina che, a sua volta, dipende dalla quantità di CO2 atmosferica» aggiunge la Dr. Hana Jurikova dell’Università di St. Andrews e prima autrice dello studio. Misurando alcuni degli elementi contenuti nelle conchiglie fossili (quali ad esempio il boro e lo stronzio) e con l’ausilio di sofisticati modelli matematici, siamo stati in grado di ricostruire con una certa precisione la quantità di CO2 presente in atmosfera lungo un arco temporale di 80 milioni di anni, tra 340 e 260 milioni di anni fa». I risultati ottenuti dalla ricerca dimostrano come i livelli di CO2 sono stati chiaramente connessi all’evoluzione della glaciazione e alla sua conclusione. Durante la formazione di estese calotte polari i ricercatori hanno registrato bassi livelli di CO2. Al contrario, l’incremento di CO2, causato da un’intensa attività vulcanica, si correla a una riduzione globale dei ghiacciai e ad un innalzamento della temperatura superficiale media degli oceani fino a 4 gradi centigradi.
Laura Floris