Giovanni Cardone
Fino al 26 Gennaio 2025 si potrà ammirare a Palazzo Strozzi Firenze una mostra dedicata a Helen Frankenthaler. Dipingere senza regole a cura di Douglas Dreishpoon. L’esposizione è organizzata dalla Fondazione Palazzo Strozzi e dalla Helen Frankenthaler Foundation. In collaborazione con il Comune di Firenze, Regione Toscana, Città Metropolitana di Firenze, Camera di Commercio di Firenze. Una grande mostra che celebra una delle artiste più importanti del XX secolo, la cui rivoluzionaria ricerca nella pittura è esplorata attraverso opere della sua produzione tra il 1953 e il 2002 in dialogo con dipinti e sculture di artisti contemporanei, tra cui Jackson Pollock, Morris Louis, Robert Motherwell, Kenneth Noland, Mark Rothko, David Smith, Anthony Caro e Anne Truitt. Attraverso grandi tele e sculture di Frankenthaler e numerose opere di altri artisti, il progetto si pone come una delle più importanti rassegne mai dedicate all’artista in Europa e la più completa rassegna del suo lavoro finora realizzata in Italia, con prestiti – oltre che dalla Helen Frankenthaler Foundation di New York – da celebri musei e collezioni internazionali quali il Metropolitan Museum of Art di New York, la Tate Modern di Londra, il Buffalo AKG Art Museum, la National Gallery of Art di Washington, la ASOM Collection e la Collezione Levett. Con la sua innovativa tecnica soak-stain (imbibizione a macchia), Frankenthaler ha segnato in modo indelebile l’evoluzione della pittura moderna, nel segno di un nuovo rapporto tra colore, spazio e forma. La tecnica prevedeva infatti l’applicazione di vernice diluita distesa orizzontalmente su tele non trattate, creando effetti simili a quelli dell’acquerello, ma su larga scala e con colori a olio. Frankenthaler applicava la vernice con pennelli o spugne, o direttamente da secchi, lasciando che si espandesse e si mescolasse in modo naturale, creando interazioni cromatiche uniche, segnate da transizioni sfumate e sovrapposizioni traslucide. Helen Frankenthaler. Dipingere senza regole celebra un’artista che ha sfidato le convenzioni e allargato i confini della pittura con una visione audace e intuitiva che ha infranto le norme tradizionali. Frankenthaler si distingue, infatti, per una capacità unica di combinare astrazione e poesia, tecnica e immaginazione, controllo e improvvisazione, espandendo la sua pratica al di là dei canoni stabiliti, alla ricerca di una nuova libertà nella pittura. In una mia ricerca storiografia e scientifica sulla figura di Helen Frankenthaler apro il mio saggio dicendo : Lungo il viaggio che mi ha portato da Milano a Firenze dove ascoltando musica jazz pensavo ad Helen Frankenthaler quando poi ho preso il taxi per arrivare a Palazzo Strozzi, ed entrando mi sono reso conto della sua grandezza e nel saper dialogare con gli altri grandi dell’espressionismo astratto. Lì ho denotato che la sua elaborazione mentale che si manifestava principalmente attraverso i segni e il colore, che erano significativi testimoni di una consapevolezza artistica solo apparentemente casuale e veloce in realtà piena di grande equilibrio compositivo, pur sempre votata ad una libertaria esigenza esplorativa. Quanto alle radici che interagivano con pulsioni emotive ricche di slanci esse andrebbero rintracciate oltre che nel lessico informale, incentrati sulle valenze della triade segno-gestualità-materia. Posso affermare che potrebbe sembrare oziosa la ragione per cui abbiamo pensato forse, di mutare ladatazione tradizionale del periodo artistico più recente, che parte in genere dal secondo dopoguerra, cioè dal 1945: considerando quindi gli anni delle guerra quasi una coda, o una logica conseguenza degli sviluppi del decennio precedente, se non, quasi, un’interruzione nel flusso degli eventi artistici. Se in parte sono vere tutte e tre queste cose, è anche vero che per ragioni magari contingenti, il periodo bellico, più ancora della vittoria finale americana, è stato quello che ha determinato lo spostamento della capitale internazionale dell’arte da Parigi a New York ed ha rappresentato un importante momento di incubazione di esperienze che sono esplose nel periodo immediatamente successivo, come la grande fase internazionale dell’Informale. In questo periodo siamo nei primi anni quaranta dove un gruppo di artisti e fotografi europei andarono in esilio in America ed in particolar modo a New York . Da tante fotografie dell’epoca si evince che erano di nazionalità francese iniziando dal capo storico del Surrealismo Andrè Breton, gli artisti Masson, Tanguy, Ernest, Duchamp e Matta tra loro è presente anche Piet Mondrian che avrebbe vissuto gli ultimi anni nella città di New York lascandovi l’eredità della sua complessa speculazione sullo spazio e sulla superficie pittorica. Inoltre erano tornati in America anche come emigranti altri esponenti della cultura surrel-dada, oppure astratta e costruttivista, come Man Ray, Laslò Monholy – Nagy, e Hans Hofmann, un artista tedesco sottovalutato ma che la sua influenza fu determinante per la nuova generazione degli artisti americani. Altri artisti arrivarono in America come l’armeno Gorky e l’olandese De Koorning ma nel contempo molti di loro furono influenzati anche da Mirò, Picasso ed arrivarono anche gli echi di Kandiskij. Ecco perché nasce il dripping grazie al giovane Pollock, egli fu influenzato in parte dai colori di Marx Ernest. Bisognerà attendere il 1947 prima che questo procedimento diventi per lui abituale, con le dirompenti conseguenze che lo hanno reso celebre. Definiamo con il termine onnicomprensivo di ‘Informale’ tutta una serie di esperienze verificatesi negli Stati Uniti e in Europa tra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni sessanta. E’evidente che, nello spazio di tempo di un quindicennio, in una situazione tanto articolata e vasta quanto quella intercontinentale presa in esame, non ha quasi senso parlare di ‘un’ solo ‘movimento artistico’; ed evidente che le sfaccettature sono tante e molteplici da risultare in alcuni casi incomprensibili tra loro. Dobbiamo pensare che in questo periodo vennero battezzate numerose etichette che solo oggi comprendiamo lo stesso termine: Action Painting e Abstract Expressionism in America , ovvero: ‘Pittura Materica o gestuale’ in Italia ‘Tachisme’ in Francia ecc…E’ ovvio in questo senso, che non solo il termine ‘Informale’, come verrà qui usato, ha un suo valore ‘riassuntivo’ rispetto a queste esperienze diverse limitiamoci per ora a constatare delle differenze che sono solo fondamentalmente di orientamento e di scelta puramente formale dividendo tra gestuale, materica e segnica. Possiamo dire che l’Informale1risolve il suo approccio all’arte apparentemente in modo formale con un ritorno al quadro, alla pittura, e alla scultura. Questo ritorno alla pittura consiste quindi nel coprire la superficie della tela con materie colorate questa distinzione tradizionale tra fondo e figura e tra forma e spazio che era sopravvissuta in linea di massima in ogni caso tutto è cambiato c’è quasi un’aggressione al quadro ed inoltre la pittura ‘veloce’ come l’informale richiedeva una trasformazione tra ‘forma e dinamica’ tutto diviene un movimento tralasciando la staticità che c’era nella tradizione astratta. La pittura è un’attività ‘autografica’, quindi quasi una ‘scrittura’, privata del pittore, determinata nel tempo ( che coincide col tempo, in genere veloce, di esecuzione del quadro ), una pulsione interna che viene espressa attraverso il gesto oppure attraverso una sequenza di gesti. Alla base c’è il gesto questa è la novità della nuova ‘pittura’, che si unisce al concetto di ‘improvvisazione’ come avviene anche nella musica ‘jazz’. Poiché la superficie del dipinto si presenta come un insieme in cui non sono realmente distinguibili figura e sfondo, il disegno, quando compare, non si presenta come contorno di una campitura ben delineata, ma come ‘struttura di segni’, che innerva la superficie del dipinto, così come il colore non riempie nessuna forma, ma si contrappone liberamente ad altri colori, facendosi esso stesso disegno,‘figura’, o superficie, o tutte e tre le cose contemporamente. In effetti tutti i residui di illusionismo spaziale che è dato di cogliere sono dovuti alla libera contrapposizione dei colori tra loro. Dato che la superficie è alla base del nuovo percorso comunicativo dell’artista e nel contempo si denota una differenza tra l’astrazione e la pittura informale alla base, c’è un linguaggio lirico di ascendenza espressionista. Negli Stati Uniti si inizia ha definire un tipo di pittura ‘Espressionismo astratto’, come quella di De Kooning che cerca di percorrere sia il linguaggio figurativo che quello astratto la stessa cosa avviene in Europa dove si afferma il gesto e l’improvvisazione. Molti sono gli esempi l’informale figurativo è una pittura che procede con larghe stesure di superficie, in cui il disegno interviene spesso come una struttura ulteriore, che ricopre la superficie ‘a griglia’. La gabbia dei segni non è necessariamente astratta, pur opponendosi alla nozione di ‘forma’. Anche la linea paradossalmente si fa superficie. Appaiono quindi, a volto, delle ‘figure’ : quasi dei graffiti infantili, come nei quadri di Dubuffet, di De Kooning e di Antonio Saura. Negli Anni 40-50 a New York un gruppo formato da svariati artisti, anche piuttosto diversi nelle individuali personalità, comincia ad affermarsi sulla scena artistica americana, determinandone indubitabilmente una assoluta innovazione, con uno specifico timbro ‘americano’. E’ una vera e propria nuova tendenza che si forma all’interno della cosiddetta Scuola di New York. Questa denominazione correttamente indica un luogo, New York appunto, che è teatro dei fenomeni artistici in questione, piuttosto che un gruppo di artisti dalle caratteristiche unitarie. E’ il pittore e critico Robert Motherwell ad usare per primo tale espressione nel corso di una conferenza nel 1949, sottolineandone alcune caratteristiche, quali l’origine nel surrealismo (dal quale poi gli artisti americani si sarebbero affrancati) e un atteggiamento nei confronti dell’arte di tipo emotivo ed emozionale, avendo a che fare con la sfera sensitiva, piuttosto che di tipo evocativo/intellettuale. Robert Motherwell individua nella Scuola di New York, oltre a sé stesso, pittori come Arshile Gorky, William Baziotes, Adolph Gottlieb, Hans Hofmann, Willem de Kooning, Jackson Pollock, Ad Reinhardt, Mark Rothko. Questa tendenza viene denominata ‘Espressionismo astratto americano’e vede un gruppo di artisti che vogliono uscire dai canoni del realismo della pittura americana dell’epoca ed allo stesso tempo intendono andare oltre i linguaggi delle avanguardie europee di quel periodo, tentando di superarle attraverso la elaborazione di linguaggi originali. L’etichetta ‘espressionismo astratto’, creata in precedenza da Alfred Barr (direttore del MoMA) nel 1929 in riferimento a Kandinskij, viene poi definitivamente introdotta da Robert Coates nel 1946, quando questi intende fondere due concezioni dell’arte che provengono dalle avanguardie storiche, quella dell’espressionismo e quella dell’astrattismo ( Clement Greenberg sottolineerà nel suo trattato ‘Astratto e rappresentazionale’ del 1954 che quest’arte è astratta “non perché sintomo di decadenza, ma semplicemente perché accompagna per caso una decadenza della storia dell’arte”), avanguardie ritenute rappresentative nella loro globalità di quegli artisti che operano a New York, senza peraltro sottolinearne le evidenti individuali differenze stilistiche. Da quel momento il termine viene utilizzato sia nei confronti di artisti con l’indole più anarchica come De Kooning e Pollock, quanto per artisti più riflessivi come Rothko e Motherwell. Si afferma, quindi, una diversa iconografia dell’arte astratta, con la scomparsa delle forme geometriche dipinte su uno sfondo e con una pittura definita da pennellate libere, segni e sbavature, in un ‘campo’ che non rinvia più ad una idea di figura-sfondo. Gli artisti, ora, affermano di prelevare dalle emozioni, dai sentimenti e dall’inconscio, con esplicito richiamo alle teorie psicanalitiche di Jung (che conosce l’arte e per il quale é importante come sogniamo, diversamente dalle teorie freudiane che del sogno fanno un racconto attraverso i comprensibili codici archetipici dell’arte). Il critico e gallerista americano Sidney Janis nel suo saggio Abstract and Surrealist Art in America del 1944 individua nella inusuale mescolanza di surrealismo e astrattismo il timbro identificativo della nuova pittura americana, riferendosi in particolare a pittori come Rothko, Gottlieb, Gorky e Motherwell, creatori secondo lui di un nuovo linguaggio portato a rappresentare la soggettiva esperienza di ciascuno mediante un uso più libero del colore, mediante visioni biomorfiche, mediante l’automatismo, già elemento classico per i surrealisti. Tale iniziale entusiasmo per il Surrealismo fa sì che molti di tali artisti indirizzano comunque quella ispirazione verso un segno fortemente individuale che per molti di loro si trasformerà in uno stile personalissimo protratto con continuità nelle loro opere. Ma il momento più significativo in relazione ai futuri sviluppi dell’espressionismo astratto (che determina anche la differenza con ciò che tende verso il profondo inconscio del surrealismo e delle sue tecniche di automatismo) avviene quando si dichiara: “Noi sosteniamo l’espressione semplice del pensiero complesso. Noi siamo per la forma ampia, perché essa possiede l’impatto dell’inequivocabile. Noi desideriamo riaffermare la superficie del dipinto. Noi siamo per le forme piatte poiché esse distruggono l’illusione e rivelano la verità”. E’ all’interno dell’Informale che in America si colloca il fenomeno dell’action painting, basato su un rapporto energetico con il supporto. Avviene in quel periodo storico-artistico un vero e proprio passaggio di poteri: l’espressionismo astratto determina la nascita dell’arte americana, spostando nettamente il centro del mondo dell’arte da Parigi a New York, come ad affermare anche nel campo dell’arte l’America quale nazione più potente del mondo. Diversamente da quanto accaduto in Europa durante la guerra, con il logorante esilio di tanti artisti e intellettuali, negli Stati Uniti la fine della guerra dà inizio ad una fase di costruzione del nuovo modello culturale nord americano in rapporto alla situazione egemonica del paese nel nuovo scenario mondiale: nei sussidi alla ricostruzione dell’Europa, in campo artistico rientra anche la grande promozione della nuova pittura dell’ ‘Espressionismo astratto’, eretta a emblema dell’identità nazionale nordamericana da figure di altissimo livello, come Clement Greenberg, famoso critico che sin dagli inizi degli anni ’40 se ne presenta come il difensore, contribuendo a far divenire quel fenomeno come un riferimento mondiale di modernità per tanti artisti. Vero è che quel passaggio di testimone da Parigi a New York si afferma anche, come accennato, attraverso l’arrivo in America, a New York in particolare, di molti artisti, letterati ed intellettuali europei (soprattutto delle tendenze astratte e surrealiste) che fuggono dalla barbarie nazista e dalla guerra. Dopo la chiusura del Bauhaus nel 1933 da parte dei nazisti molti artisti si portano a New York e tra questi, una delle figure più importanti per quello che sarà poi l’Espressionismo astratto è quella di Hans Hofmann, anche lui in fuga dalle persecuzioni naziste. Duchamp, Piet Mondrian, Max Ernst e sua moglie Peggy Guggenheim, conosciutissima collezionista d’arte e mecenate, fuggita nel 1941 dalla Francia occupata dai nazisti. Molto si attivano i surrealisti e vengono organizzate mostre e conferenze e si dà vita ad un dibattito culturale che coinvolge anche giovani artisti americani. In particolare l’opera di Peggy Guggenheim è fondamentale in questa fase con la creazione della ‘Galleria Art of this Century’, nella quale espone assieme opere di artisti surrealisti e di artisti astratti in un ambiente assolutamente nuovo e innovativo per l’epoca, con dipinti sospesi per aria, con pareti curve ed altri lavori poggiati semplicemente in terra. E in quella Galleria vengono esposti anche i primi lavori di artisti americani, che saranno poi gli artefici ed i massimi rappresentanti del nuovo linguaggio newyorkese come Jackson Pollock, Clyfford Still, Mark Rothko, Arshile Gorky, Willem de Kooning, tutti pittori della stessa generazione e che abitano a New York, cresciuti in un clima culturale simile e tutti con lo scopo di superare i canoni espressivi codificati per giungere, seppur per vie diverse, ad una nuova riflessione sul mondo contemporaneo. Le loro esperienze individuali o collettive, seppur manifestando le loro diversità, dimostrano atteggiamenti simili di rivolta esistenziale contro tutto ciò che è standardizzato e tradizionale, con un rifiuto di tutto ciò che è figurativo e, quindi, con la ricerca di un linguaggio pittorico astratto e attraverso una strada di libera individualità. In questa fase storico-culturale la figura di Peggy Guggenheim assume davvero tutta la sua centralità per l’affermazione dell’arte americana contemporanea nel panorama internazionale. Dopo aver fatto sì che la sua collezione cominciasse ad assumere il carattere di un documento storico con la creazione di svariate mostre con la sua ‘Art of This Century’, nel 1948 la Guggenheim (dopo un precedente breve passaggio a Venezia) viene chiamata ad esporre la sua collezione alla Biennale. Accade per la prima volta che in Europa vengano presentate opere cubiste, astratte e surrealiste insieme ad opere di artisti come Pollock, Rothko e Gorky, che ancora non sono conosciuti, formando quindi una esposizione complessiva ed illuminata di tutto ciò che rappresenta il modernismo dell’epoca. E dopo quella prima esposizione, la sua collezione viene presentata a Palazzo Reale a Milano, a Palazzo Strozzi a Firenze e, nel 1950 contemporaneamente al Museo Correr di Venezia (l’intera collezione dei quadri di Pollock) ed al padiglione statunitense della Biennale di Venezia con il debutto dello stesso Pollock in quell’evento. In quegli anni c’è un dualismo tra New York e Roma, anche per merito degli Oscar del cinema neorealista italiano. I giovani artisti (Turcato, Vedova, Dorazio, Sanfilippo, Accardi, ecc) si affacciano sulla scena dell’arte, grazie alla illuminata figura di Palma Bucarelli, direttrice della GNAM di Roma, che con borse di studio ne invia molti a Parigi a conoscere le opere di Braque, di Kandinskij e di Picasso. A Roma, oltre all’alleanza Bucarelli-Argan-Prampolini, ci sono artisti della generazione precedente come Mafai, Guttuso, De Chirico, anch’essi interessati al cambiamento anche se il perbenismo corrente era in evidente disaccordo: Emilio Vedova è molto contrastato dal Partito Comunista che rifiuta l’astrattismo ( è ben noto un articolo su Rinascita di Rodrigo di Castiglia, pseudonimo di Palmiro Togliatti, che dopo una mostra a Bologna attacca fortemente gli astrattisti, sostenendo che l’oggetto dell’arte deve essere la realtà e che avrebbe voluto solo la rappresentazione del mondo comunista, con i canoni classici del lavoratore con falce e martello). Malgrado ciò, tutti quegli artisti, dopo le emozioni parigine e la scoperta di Picasso, cominciano a guardare il reale in maniera nuova, non retorica, con una idea di astrattismo. E creano un Gruppo con la ‘Rivista Forma’, che fa solo un numero e, quindi, ‘Forma 1, scrivendo nel loro manifesto “ ci interessa la forma del limone, non il limone”, intendendo affermare la loro particolare attenzione al sociale e l’allontanamento dall’espressionismo, con un distacco comunque dalla realtà, come sarebbe stato inimmaginabile da parte di artisti di sinistra. Contemporaneamente Palma Bucarelli crea il Gruppo Origine, che da spazio e cavalca la via dall’astrazione (anche Burri ne fa parte seppur con scarsa convinzione e per brevissimo tempo), mentre, per ritornare ad una scena più allargata, la Guggenheim crea all’isola tiberina di Roma la ‘Galleria La Tartaruga’ (poi divenuta L’Obelisco), dove espone Pollock e De Kooning. Tutto questo nuovo ambiente culturale è fondamentale per la nascita e la affermazione transnazionale della nuova avanguardia americana, il cui processo di sviluppo afferma, come già accennato, valori di libertà, individualità e intraprendenza, quale american way of life, intesa come nuova esperienza di vita. In questo senso, la pittura d’azione, ‘l’action painting’, particolarmente con Hofmann (precursore europeo delle nuove tendenze americane), Pollock, De Kooning, Gorky e Kline sottolinea filosoficamente che l’atto del dipingere, l’atto in sé più che il risultato, è autenticamente dimostrativo della creatività dell’artista, con un linguaggio soggettivo, violento anche, improvviso e improvvisato e soprattutto libero dai precedenti canoni stilistici e da schemi identificativi di una ricercata razionalità. E’ il grande critico Clement Greenberg ad inventare il termine ‘action painting’ per specificare una maniera così esclusiva di dipingere, nella quale non vi è un punto centrale né un verso diosservazione, e la composizione si mostra senza una determinata direzione, a tutto campo. E’ un nuovo modo di dipingere che vede in Pollock il simbolo riconosciuto unanimemente che esprime ‘l’atto puro’, ‘l’azione pura’, come essenza autentica all’interno di una nuova dimensione fenomenologica. Certamente fuori da ogni quotidiano conformismo, come forma individualistica di opposizione, non necessariamente caratterizzata da esplicite scelte politiche, che finisce per confermare ideologie e valori dominanti (il senso di libertà individuale) del nuovo sistema capitalistico americano, traslati in una idea di società così libera e aperta da legittimare anche coloro che vi si pongono contro. Posso dire che il lavoro di Helen Frankenthaler è collegato all’espressionismo astratto, movimento nel quale il suo estro è germogliato, anche se la sua arte si è evoluta in modo significativo rispetto ai suoi contemporanei. Sin dai primi anni della sua carriera, Frankenthaler entrò in contatto con alcune delle figure più influenti di questo movimento, come Jackson Pollock, Willem de Kooning e Mark Rothko. Fu proprio nel contesto dell’espressionismo astratto che sviluppò il suo interesse per il colore e la composizione non figurativa.Tuttavia, Frankenthaler differiva dai suoi colleghi per l’approccio alla pittura. Se gli espressionisti astratti utilizzavano spesso il gesto violento e marcato per esprimere le loro emozioni sulla tela, Frankenthaler preferiva un approccio più lirico e poetico, che si manifestava nel suo utilizzo fluido del colore. Era influenzata dal lavoro di Pollock, ma trovò un modo per trasformare la sua tecnica del dripping (gocciolamento) in qualcosa di più sottile e meno aggressivo, e soprattutto sottoposto a un più serrato controllo. L’arte di Helen Frankenthaler è dunque una combinazione equilibrata di varie anime: la poesia e l’astrazione, la tecnica e la fantasia, il controllo e l’improvvisazione. Lo si vede bene in un’opera come Open Wall del 1953: si trattava, disse l’artista, di “un esperimento per creare una sorta di senso di spazio e di confine… In definitiva l’essenza del dipinto, ciò che suscita una reazione, ha ben poco a che fare con il soggetto in sé, ma piuttosto con l’interazione degli spazi e la giustapposizione delle forme”. La sua arte si distinse per la capacità di creare superfici fluide e trasparenti, in cui il colore sembrava galleggiare sulla tela in una delicata armonia di forma e caos. Questo approccio, che combinava l’azione spontanea con una raffinata sensibilità per il colore e la composizione, la collocò all’interno del movimento, ma allo stesso tempo ne segnò una certa distanza. Frankenthaler non replicò certo la gestualità esplosiva di Pollock, ma colse comunque importanti spunti dalla libertà e dall’approccio non convenzionale alla pittura che egli introdusse, ricavando da Pollock l’idea della pittura come un processo intuitivo. A proposito dell’opera Numero 14 di Pollock, una delle opere del suo collega che più l’hanno ispirata, Frankenthaler ebbe a dire: “Era più di semplice disegno, tessitura, intreccio, gocciolamento di un bastoncino immerso nello smalto, più di semplice ritmo. Sembrava avere una complessità e un ordine tali da suscitare, in quel momento, una mia reazione. Qualcosa di più barocco, più disegnato e con alcuni elementi di realismo astratto o di Surrealismo, o un loro riflesso. È un dipinto totalmente astratto, ma per me aveva in più questa qualità”. Gli aspetti più celebri del lavoro di Frankenthaler è lo sviluppo della tecnica “soak-stain” (“imbibizione a macchia”), che segnò una svolta radicale nel modo di fare pittura negli anni Cinquanta. Introdotta nel 1952, la tecnica consisteva nel versare o diluire il colore direttamente sulla tela non preparata, permettendo al pigmento di penetrare e “macchiare” il tessuto. Questo metodo le permetteva di ottenere effetti di trasparenza e fluidità impossibili con i tradizionali metodi di pittura a olio o acrilico. L’opera che segna il debutto di questa tecnica è Mountains and Sea (1952). La tela, di grandi dimensioni e leggera come una macchia d’acqua, rivoluzionò il mondo dell’arte astratta. L’uso di vernice diluita ad olio applicata su tela non trattata consentiva al colore di essere assorbito e diffondersi, creando un effetto etereo e sfumato che sarebbe diventato la firma di Frankenthaler. La tecnica prevedeva quattro passaggi. Primo, la preparazione della tela: Frankenthaler utilizzava tele di grandi dimensioni, non preparate con gesso e colla (questa scelta permetteva ai colori di essere assorbiti direttamente nelle fibre della tela). Secondo, la diluzione del colore: i colori a olio venivano diluiti con trementina o altri solventi per ottenere una consistenza fluida e trasparente. Questo processo facilitava la diffusione del colore sulla tela. A partire dal 1962, Frankenthaler iniziò a sperimentare anche con i colori acrilici, adottandoli definitivamente in seguito. Terzo, l’applicazione del colore: sulla tela distesa orizzontalmente, Frankenthaler versava, spruzzava oppure applicava i colori, permettendo loro di espandersi e assorbirsi nel tessuto. L’ultimo passaggio era l’intervento dell’artista sul dipinto. Helen Frankenthaler utilizzava una varietà di strumenti per manipolare i colori, come pennelli e spugne di diverse forme e dimensioni, rulli per applicare il colore in modo uniforme, stracci per spandere o sfumare il colore, mani e dita per un controllo diretto, pipette e siringhe per applicazioni precise, bastoni, spatole e rastrelli per graffiare o disegnare sulla superficie fresca. La sua creatività la portava anche a utilizzare oggetti non convenzionali, come un cucchiaio per spaghetti, evidenziando un approccio pratico e innovativo. Uno dei tratti distintivi dell’opera di Frankenthaler è il modo in cui ha utilizzato il colore non solo come elemento visivo, ma come linguaggio emotivo. Sin dalle sue prime opere, il colore è stato al centro della sua ricerca artistica, e il modo in cui lo ha applicato alle sue tele ha ridefinito il ruolo del colore nell’arte astratta. Frankenthaler utilizzava il colore in modo espressivo, cercando di evocare stati d’animo e sensazioni piuttosto che descrivere forme o figure In opere come Alassio(1960), dipinta durante un periodo di lavoro in Liguria, i colori sembrano sgorgare dalla tela, creando un senso di fluidità che trasmette un’emozione immediata e palpabile. I gialli, i blu profondi, i rossi traslucidi non sono solo toni cromatici, ma veicoli di espressione. Questa sensibilità per il colore non era solo visiva, ma anche tattile: i suoi dipinti suggeriscono spesso un senso di leggerezza e movimento, come se i colori fossero stati soffiati sulla tela o si fossero naturalmente espansi in uno spazio infinito. In questo senso, Frankenthaler è stata tra gli artisti del Color Field che sono stati in grado di trasformare il colore in un’esperienza visiva. Negli anni Settanta, questa sua attitudine conobbe un ulteriore sviluppo: all’epoca infatti sperimentò dei panorami intensi, d’atmosfera, sfiorando talvolta la monocromia. Esempio di questa fase è il dipinto Ocean Drive West #1, di cui lei stessa disse: “Su Ocean Drive West ti ritrovi sempre a fissare la linea dell’orizzonte… Ci sono zone sfocate di Long Island oltre il Sound, alcune sono visibili, altre no. Non stavo guardando la natura o un paesaggio marino, ma il disegno presente nella natura, proprio come il sole o la luna possono essere visti come cerchi o come luce e ombra”. Una delle figure centrali della sua vita e nella sua carriera fu Clement Greenberg, uno dei critici d’arte più influenti del XX secolo. Greenberg fu non solo un mentore e sostenitore, ma anche un compagno sentimentale dell’artista per molti anni. Il loro rapporto, iniziato nei primi anni Cinquanta, ebbe un impatto significativo sulla carriera di Frankenthaler, poiché Greenberg era uno dei maggiori promotori dell’espressionismo astratto e, più tardi, del “Color Field”. Greenberg vide in Frankenthaler un’artista che poteva spingere avanti i confini dell’astrazione lirica e la supportò nel trovare una voce personale all’interno del contesto dell’arte astratta. Il critico era affascinato dalla sua capacità di fondere un linguaggio pittorico raffinato con una sperimentazione tecnica innovativa. Frankenthaler, da parte sua, apprezzava l’intelligenza critica di Greenberg, sebbene cercasse di mantenere la propria autonomia artistica. Il loro legame fu una collaborazione intellettuale oltre che romantica, e Greenberg giocò un ruolo importante nel promuovere il lavoro di Frankenthaler presso gallerie e musei. L’artista riuscì comunque a dimostrare la propria indipendenza creativa nel corso degli anni, distaccandosi gradualmente dall’ombra di Greenberg per affermarsi con forza come una delle principali esponenti della pittura astratta americana. Organizzata cronologicamente, l’esposizione ripercorre lo sviluppo della pratica creativa di Frankenthaler con ogni sala dedicata a un decennio della sua produzione dagli anni ’50 ai primi anni Duemila. Le sue innovazioni artistiche, accostate a dipinti, sculture e opere su carta di artisti a lei contemporanei, permetteranno di mettere in luce le sinergie e le affinità tra questi autori. La mostra mette così in scena la consolidata influenza di Jackson Pollock su Frankenthaler negli anni Cinquanta, con Number 14 (1951), un dipinto in bianco e nero a confronto con Mediterranean Thoughts di Frankenthaler (1960), un colorato lavoro a olio che presenta analoghi «elementi di realismo astratto o di Surrealismo», frase che Frankenthaler usò per descrivere l’opera di Pollock dopo averla vista di persona la prima volta. Tutti-Frutti (1966), un dipinto a soak-stain di nuvole colorate fluttuanti, trova un analogo tridimensionale in Untitled (1964), scultura in acciaio dipinto di David Smith, composta da forme geometriche impilate l’una sull’altra, appoggiate su quattro piccole ruote. Heart of London Map (1972), un assemblaggio in acciaio, si pone a confronto invece con Ascending the Stairs di Anthony Caro (1979-1983), nella sua costruzione pezzo per pezzo. Nel percorso della mostra le opere degli anni Ottanta, Novanta e Duemila sono la testimonianza di un’artista che non ha mai smesso di infrangere le regole per esplorare nuovi modi di fare arte.
Biografia di Helen Frankenthaler
Nasce a New York nel 1928 dove frequenta la Dalton School, ricevendo una prima formazione artistica da Rufino Tamayo. Nel 1949 si laurea al Bennington College, nel Vermont, dove è allieva di Paul Feeley. In seguito ha studiato brevemente con Hans Hofmann. Nel 1950, Adolph Gottlieb seleziona il dipinto Beach (1950) per inserirlo nella mostra intitolata Fifteen Unknowns: Selected by Artists of the Kootz Gallery. La sua prima mostra personale viene presentata nel 1951, alla Tibor de Nagy Gallery di New York, e nello stesso anno un suo lavoro viene incluso nella storica mostra 9th St. Exhibition of Paintings and Sculpture. All’inzio degli anni Cinquanta, Frankenthaler era entrata in contatto con l’opera di Jackson Pollock, rimanendo affascinata dalla potenza espressiva dell’uso del colore nelle tele del maestro dell’Action Painting. Nel 1952 crea Mountains and Sea, un dipinto di rottura rispetto alla tradizione astrattista statunitense della prima generazione: il colore, diluito, viene versato direttamente sulla tela grezza, creando un effetto di sovrapposizione di campiture translucide, “ad acquerello”. L’astrazione si apre così a suggestioni figurative e paesaggistiche trattate come macchie di colore fluttuanti nello spazio. Con l’opera Mountains and Sea le ricerche di Frankenthaler si avvicinano a quelle del gruppo di artisti riconosciuti da Clement Greenberg come appartenenti alla scuola del Color Field, tra cui spiccano, oltre alla Frankenthaler stessa, Morris Louis e Kenneth Noland. Nel 1959, la Frankenthaler vince il primo premio alla Première Biennale de Paris e nel 1966 è chiamata a rappresentare gli Stati Uniti alla XXXIII Biennale di Venezia, insieme a Ellsworth Kelly, Roy Lichtenstein e Jules Olitski. La sua prima grande mostra museale risale al 1960, al Jewish Museum di New York, e la seconda, nel 1969, al Whitney Museum of American Art, seguita da una tournée internazionale. Negli anni successivi verrà promossa una grande retrospettiva organizzata dal Modern Art Museum di Fort Worth, che successivamente fu allestita anche presso altre importanti istituzioni americane come: il Museum of Modern Art di New York, il Los Angeles County Museum of Art e il Detroit Institute of Arts di New York (1989). Infine, alla National Gallery of Art di Washington fu organizzata, nel 1993, una mostra dedicata esclusivamente alle opere su carta e stampe. Frankenthaler ha ricevuto la National Medal of Arts nel 2001; ha fatto parte del National Council on the Arts del National Endowment for the Arts dal 1985 al 1992; è stata membro dell’American Academy of Arts and Letters (1974-2011), di cui è stata vice-cancelliere nel 1991; infine, è stata nominata Accademico onorario della Royal Academy of Arts di Londra nel 2011, anno in cui si spense.
Palazzo Strozzi Firenze
Helen Frankenthaler. Dipingere senza regole
dal 27 Settembre 2024 al 26 Gennaio 2025
dal Lunedì alla Domenica dalle ore 10.00 alle ore 20.00
Giovedì dalle ore 10.00 alle ore 23.00
Foto Allestimento Mostra Helen Frankenthaler. Dipingere senza regole Photo ElaBialkowska, OKNO Studio. Courtesy Fondazione Palazzo Strozzi, Florence.