Il Terzo settore in Italia piace, e cresce la percentuale di cittadini che ne percepiscono il valore, sia in termini di benefici sociali che di «opportunità professionale». Lo rivela un’indagine condotta dalla rivista Vita insieme all’osservatorio Swg. Su un campione rappresentativo di 2mila persone di età compresa tra i 18 e i 74 anni, emerge che il 79% degli intervistati riconosce l’effetto sociale positivo che le organizzazioni non profit apportano nel nostro Paese. L’analisi ha rilevato inoltre che tra gli italiani prevale la convenzione che il lavoro delle associazioni sia «essenziale» nel settore dell’assistenza; per il 28% degli intervistati, esercitano un’azione «centrale» nel tutelare le persone con disabilità e i loro familiari; il 24% mette in luce questo valore rispetto agli anziani, mentre il 23% rispetto ai migranti. Inoltre, per il 67% dei cittadini gli organismi del Terzo settore portano avanti un lavoro che ha ricadute positive sull’economia del Paese. Non solo: sempre più italiani – il 43% – riconosce che il settore «no profit» fornisce opportunità lavorative solide, ma anche un ambiente più sano rispetto a quello «profit», dove i lavoratori sono percepiti più felici, coraggiosi e meno stressati. Secondo dati di Istat del 2023, al 2020 si contavano 363.499 organizzazioni attive con 870.183 dipendenti. L’apprezzamento per il settore del sociale come opportunità d’impiego sorpassa addirittura la percentuale di coloro che invece sono disposti a fare volontariato: il 35%. Cantiere terzo settore, avverte che a partire dal 2021 – dopo la pandemia di Covid 19 – il numero di volontari in Italia è calato. Ma già nel 2020 si registrava un -15% rispetto ai dati del 2015, con 4 milioni e 661mila volontari. Openopolis invece informa sui settori da cui gli under 25 sono più attratti, e quindi che coinvolgono maggiormente: associazioni ecologiche, per i diritti civili e la pace. Tra i 18 e i 19 anni, interessano difesa e promozione dei diritti dell’ambiente. Stefano Arduini, direttore di Vita, commenta: «Il Terzo settore è diventato parte integrante dell’economia del Paese, capace di comprendere e rispondere a bisogni profondi dei cittadini, ma sempre di più anche motore di sviluppo sostenibile attraente anche per chi vuole realizzarsi professionalmente». A confermare la fotografia è anche l’indagine ‘La percezione dei cambiamenti degli ultimi 10 anni e l’orientamento verso le donazioni e i lasciti solidali’ realizzata da Walden Lab-Eumetra per il Comitato Testamento Solidale. L’analisi fa sapere che quattro italiani su dieci ritengono che l’Italia, come il resto del mondo, sia diventato un posto peggiore in cui vivere negli ultimi dieci anni. Nonostante questo, due terzi dà valore all’azione del Terzo settore, vedendolo un soggetto «concretamente impegnato» nella costruzione di una società migliore. Il 69% è favorevole al «lascito solidale», ossia a destinare tutta o parte della propria eredità a organismi che promuovono azioni in ambito ambientale, sociale o culturale. Il 21% degli intervistati – che rappresentano ben 5,5 milioni di italiani – affermano di averlo già fatto o di essere orientati a farlo. Ben 66 cittadini su cento poi affermano di fare volentieri donazioni in denaro. A ricordare quanto è radicata l’azione di associazioni, enti solidali e organismi religiosi in Italia è Stefano Zamagni, professore di Economia politica nell’Università di Bologna e presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali-Pas, nel suo intervento dal Meeting di Rimini 2024. A rilanciare le sue parole è ancora la rivista Vita: «L’Italia ha inventato 850 anni fa quegli enti che si chiamano Organizzazioni a movente ideale-Omi» ha detto l’esperto, chiedendo di superare la definizione di «terzo settore», inventata negli Stati Uniti nel 1973 «perché veniva dopo lo Stato e dopo il mercato», inteso come una sorta di «croce rossa sociale che aiuta». «Noi siamo legati alla società civile- aggiunge- ecco perché dovremmo chiamarlo ‘settore civile'».
Alessandra Fabbretti