«Ci capisce, lui sa bene come stiamo vivendo e conosce i nostri problemi». In estrema sintesi è quanto le cronache americane raccontano sulle ragioni del voto popolare e di massa che ha riportato Donald Trump, il miliardario con una collezione di reati da record alla Presidenza degli Stati Uniti. Anche di fronte alle sue battute più truci e pericolose il suo popolo sembra non farci caso, anzi lo considera simpatico, un uomo che porta un pizzico di buon umore. Ed ecco che di fronte ai giornalisti di Milwaukee, scandalizzati perché Trump aveva definito la loro città la più brutta e orribile d’America, che intervistando i cittadini si sentono rispondere: «Ma scherza, è vero che la nostra città non è proprio bella ma sarà proprio lui a renderla migliore». E che Trump sia una persona che mette allegria, che anche quando pensa cose orribili sembra un tipo da scherzo, mi è capitato di ascoltarlo anche tra i miei giovani familiari: «Eddai, è come Berlusconi, è il BerluTrump a stelle e strisce». In effetti c’è qualcosa, successo in questa campagna elettorale americana, che avvicina i due. Dalle analisi svolte tra le associazioni filo Trump, quella molto popolosa dei religiosi evangelici e loro affini. Fino a poco tempo fa non era molto convinta di Trump, non proprio in linea con i loro precetti. Poi il miracolo, il colpo di fucile che lo ha ferito all’orecchio dopo che lui un attimo prima aveva spostato la testa. Dall’attentato su Trump, che ha subito sfruttato l’accaduto, è scesa l’aura divina, e tutti in ginocchio a pregare per Trump ‘scelto da Dio per sconfiggere il male, predestinato a vincere’. E qui la mente ricorda Berlusconi, il suo intervento a fine novembre del 1994 all’assemblea dell’Udc, dove il Cavaliere si presenta come «l’unto del Signore». Chi «è scelto dalla gente – dice al suo primo mandato come premier- è come unto dal Signore: c’è del divino nel cittadino che sceglie il suo leader». A fagiolo con quanto accaduto per Trump in America. Voi capite che di fronte a questa comunicazione che è passata e ha conquistato più di 70 milioni di cuori e menti americane la narrazione di Kamala Harris e del suo Partito Democratico per conquistare la maggioranza dei consensi non fa ridere per niente, solo piangere. Uno si chiede come sia possibile che cotanta gente colta, raffinata, che ha frequentato le migliori scuole, che ha studiato, che si è messa a fare politica a favore dei più deboli e per migliorare le loro condizioni di vita, proprio da questi sia mal vista, avversata e considerata nemica proprio da loro. Non ha votato in massa Democratico la popolazione nera, eppure in campo c’era la prima candidata nera; non ha votato in massa i Dem nemmeno la popolazione dei cosiddetti latinos, eppure i sostenitori di Trump li disprezzano; per non parlare di quella che un tempo si definiva la classe operaia, travolta dai cambiamenti dello sviluppo tecnologico che i Dem hanno snobbato e che Trump ha conquistato. Per non parlare della maggioranza delle elettrici donne, Kamala ha ricevuto consensi femminili in percentuale minore da quelli presi a suo tempo da nonno Biden. Fa rabbia pensare ai miliardi spesi per la comunicazione di Kamala Harris, soldi dati a gente che, di fatto, ha lavorato per gli avversari. Come si fa a mandare la candidata tra la gente che ha bisogno di sapere come potrà arrivare a fine mese, come fare per pagare le cose che aumentano, le spese per i figli, a dire che bisogna difendere la democrazia dal ritorno del cattivone Trump, che la priorità è la difesa dei diritti, anzi che bisogna battersi per allargarli anche agli altri, a tutti quelli che arrivano a casa loro e che in questi anni hanno avuto più attenzione e aiuti di chi lì vive da sempre. Problemi veri, drammatici a volte, che i Dem di Kamala e dei suoi amici – e ci metto non solo nonno Biden ma pure i Clinton e gli Obama e tutta l’elite dei miliardari che frequentano con loro tanti bei posti- in questi ultimi decenni hanno non solo snobbato ma proprio schifato. E così Trump ha portato a casa il risultato della vita, con il suo vice presidente Vance, uno peggio di lui per quanto va affermando, che già si prepara a prendere il suo posto fra quattro anni. E il Pd qui da noi che fa? Ha capito la lezione? Capiti gli errori dell’amica Kamala la segretaria Schlein si sta attrezzando per correggerli, per trovare e mettere a punto risposte politiche vincenti e comprensibili per sconfiggere il sempre più forte malumore che anche da noi è ormai maggioranza? (basta guardare alla metà degli elettori che ormai schifa il voto). Al momento non mi pare, Dagospia riferisce dell’incontro di Schlein a casa di Mario Draghi. Per carità, personalità formidabile, salvatore della Patria nel momento più buio ma, con un occhio a quanto capitato ai Dem in America, forse non l’interlocutore adatto a rilanciare le ragioni degli ultimi. Si è parlato del piano Draghi per rilanciare le politiche europee e le ingenti risorse a favore del welfare, è stato detto. Ma in quel piano, che tanti paesi europei hanno già bocciato, una gran parte è dedicata alle tante risorse per riarmare e rafforzare gli eserciti. E se di soldi comunque ne girano pochi, di fronte al tam tam martellante che sempre più ci assalirà, sul bisogno di sicurezza da garantire, voi pensate che alla fine i soldi andranno al welfare? Senza contare poi che, a proposito della grande strategia delle alleanze da cercare tra le opposizioni, costi quel che costi, che una figura non tanto amata come Draghi potrà aiutare invece a far ‘mettere insieme’ chi in questa fase politica è difficoltà: Salvini della Lega e Conte del M5S, tutti e due, ma che coincidenza, fan di Donald Trump. Forse per Schlein, in attesa di vedere il risultato elettorale delle vicine elezioni regionali in Emilia-Romagna e Umbria, oltre alle comparsate e agli instant message in risposta alla destra che governa, sarebbe meglio organizzare in tutto il Paese momenti di discussione articolata con i vari protagonisti sul tema dei temi: come assicurare ai cittadini che vivono oggi un lavoro dignitoso e sufficiente a mantenere una famiglia. Come fare per avvicinarli ai lavori del futuro dove prevale il servizio al posto della catena di montaggio. Se si vuole sconfiggere la rabbia e la rassegnazione di chi si auto emargina qui sta la vera sfida. Al contrario, se si pensa solo di vincere a colpi di slogan forse è meglio convincersi che gli avversari in questo sono sempre più bravi.
Nico Perrone