La vicenda del terzo mandato in Regione Campania ha raggiunto un livello di esasperazione che rasenta il parossismo, segnato dall’insistenza ostinata di chi, dopo un decennio di governo inconcludente, cerca di aggrapparsi al potere con ogni mezzo. Il presidente De Luca, come un pugile ferito, non accetta di dover lasciare il campo e, nel tentativo di restare protagonista, stravolge ogni principio e cerca di piegare le regole a proprio favore. Eppure, la questione non è giuridica, è politica, anzi è profondamente politica e attiene ai valori democratici che fondano il nostro sistema.
Non si tratta semplicemente di prolungare un mandato, ma di alimentare una deriva autoritaria e personalistica in cui la democrazia viene subordinata agli interessi individuali. Il pensiero di perdere il controllo su una regione di importanza strategica, più vasta di molti stati europei, sembra spingere De Luca e i suoi sostenitori verso soluzioni sempre più discutibili, unicamente per mantenere salde le redini del potere.
La proposta di legge sul terzo mandato è, in questo contesto, una violazione evidente delle norme costituzionali e della legge elettorale regionale già in vigore dal 2009. Ricordo bene i termini di quel dibattito, in qualità di consigliere regionale e membro della commissione statuto: il comma 3 dell’articolo 1 stabiliva chiaramente che «si applicano, inoltre, in quanto compatibili, le disposizioni statali vigenti». Questa disposizione non ha mai lasciato spazio a interpretazioni ambigue. La normativa nazionale è cristallina, e la pretesa di modificarla con interpretazioni di comodo rappresenta un abuso del diritto.
Questa forzatura giuridica si presenta come l’ennesimo tentativo di manipolare le istituzioni per favorire gli interessi personali di chi sembra non voler rispettare le regole del gioco democratico. Un’iniziativa «ad personam» che piega le regole in un palese disprezzo delle istituzioni, mirando a svilirle per tornaconto individuale. Non c’è solo il presidente in questa deriva: ci sono consiglieri disposti a votare una legge obbrobriosa, pronti a sacrificare i principi democratici in cambio di uno sbarramento elettorale che agevoli la loro rielezione. Un accordo indegno, uno scambio che calpesta il mandato ricevuto dai cittadini.
Eppure, il prezzo da pagare per questa norma non dovrebbe mai essere la dignità delle istituzioni. Fare della legge una «merce di scambio» è un insulto alla democrazia e a ogni cittadino.
Non resteremo in silenzio di fronte a questa deriva. È nostro dovere combattere contro questo attacco alla democrazia e alle istituzioni, difendendo l’integrità del nostro sistema e smascherando chi, per mero tornaconto personale, ne mina le fondamenta. Il «campo largo» non può rimanere a guardare questo triste spettacolo, questo mercato delle vacche in cui si baratta ciò che non dovrebbe mai essere barattabile. Serve un intervento forte e coeso, una risposta che riaffermi il senso delle istituzioni e ristabilisca la centralità del bene comune.
Non è solo una questione di leggi o di mandati: è una questione di dignità e di rispetto per la volontà popolare.
Tonino Scala