Sabato sera, tempo di riposo e dolce rifugio. Amo stare a casa, come un poeta in pensione, con la compagnia fedele dei miei dischi e quella luce tenue della TV che illumina solo a metà il soggiorno. Stavolta, con questo sabato che sa di estate ma ha già il respiro lungo dell’autunno, ho dato un senso a quell’abbonamento Sky che a volte sembra solo un ospite rumoroso. Sky che a volte sembra solo un ospite rumoroso.
E così, in quel miscuglio di ozio e nostalgia, ho scoperto un gioiello: Zamora, diretto e interpretato da Neri Marcoré. Racconta la storia di Walter Vismara, che arriva a Milano in cerca di lavoro e inizia a lavorare per il Cavalier Tosetto, un uomo che ha un’unica, folle ossessione: il calcio. Tosetto è così preso dalla sua mania che costringe i suoi dipendenti a sfidarsi in una competizione calcistica settimanale, con tanto di squadre opposte: scapoli contro sposati. L’azienda diventa un vero campo di battaglia, dove le questioni calcistiche e le gerarchie aziendali si fondono in una miscela di tensione, umorismo e solidarietà.
Ambientato negli anni ’70, in un’Italia che sembra lontana ma ancora vicina al cuore, tra uffici grigi e campi di periferia, il film evoca con grande autenticità i piccoli riti e le ossessioni del passato, in cui ogni sfida calcistica è vissuta come una questione d’onore. La colonna sonora accompagna lo spettatore attraverso questo mondo con canzoni dei gruppi beat e le note languide di Jimmy Fontana, immergendoti in un’atmosfera che sa di nostalgia e di anni ruggenti.
Il tono è ironico e malinconico insieme, e il film esplora con leggerezza temi come il potere, il desiderio di affermazione e la piccola follia che si nasconde nei rituali quotidiani. Tosetto, con la sua stravagante ossessione, diventa una figura comica e quasi surreale, mentre Walter e i suoi colleghi, pur tra battibecchi e rivalità, trovano nel campo di calcio un’occasione per riconnettersi e riscoprire i valori della squadra e dell’amicizia.
Il film scivola via come un ricordo estivo nascosto nella foschia autunnale: caldo, surreale, un po’ ironico e tenero, come le vecchie pellicole in bianco e nero viste nei pomeriggi caldi e assopiti. E mi sono lasciato andare a quel piccolo incantesimo, consapevole che, a volte, la vera bellezza non è nel coraggio di andare avanti, ma nella dolce resa di fronte alla vita e alle sue bizzarre, meravigliose ossessioni.