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La Tammurriata

Gazzettino Italiano Patagónico by Gazzettino Italiano Patagónico
26 de octubre de 2024
in Arte, Giovanni Cardone 
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La Tammurriata
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Giovanni Cardone

Dall’età di venticinquenni ho partecipato alle feste tradizionali, ma dal 1998 ho intensificato ancora di più la mia presenza, ideando insieme all’ amico Giovanni Vitiello un gruppo folk “Li Senza Tiempo” per me era solo un modo per registrare gli eventi. Ho partecipato a tantissimi convegni sui riti e i rituali che mi ha permesso di conoscere il filosofo, simbolista, psicologo ed autore Rai Lorenzo Ostuni riporto con gioia una sua riflessione. Attraverso i reperti archeologici, oggetti, rappresentazioni figurate e le fonti letterarie d’epoca, sono stati identificati gli strumenti musicali impiegati dagli antichi romani, ma anche le combinazioni tra i diversi strumenti, le descrizioni sulle tecniche strumentali, sulla musica, sulla funzione e le occasioni in cui la si ascoltava. Gli antichi romani come gli altri popoli dell’antichità non impegnavano, come norma la scrittura della musica, era considerata un’arte a tradizione orale spesso colta e segreta che si trasmetteva direttamente da maestro ad allievo, tipico dei culti dei misteri e delle tradizioni popolari nelle quali sono tuttora usati alcuni strumenti musicali, così come alcune tecniche e modi per suonarli. Le composizioni musicali sono caratterizzate dallo strumento impiegato, dalle sue possibilità espressive- sonore, melodiche e ritmiche impiegati “modi musicali archetipi” tipici dell’area italica e mediterranea, considerando anche che nella Roma imperiale, a cui s’ispirano e confluiscono culture e strumenti musicali da tutte le parti dell’impero e oltre. Lo strumento che veniva usato era il Timpanum esso veniva costruito e suonato, dallo stesso suonatore come capita per la Tammorra, uno dei maggiori suonatori del Timpanum Romeo Mangino di Pompei, questo lo si evidenzia da un bassorilievo. In un altro bassorilievo si raffigura il suonatore di Cornu uno dei maggiori fu Gaetano Delfini, oggi questa raffigurazione si può ammirare al Museo Altemps di Roma. Anche per la danza abbiamo proceduto utilizzando i medesimi criteri, accostando l’antico al presente, considerando anche che molti gesti e suoni hanno perso la loro devozione divina per un cambio di valori e credenze. La musica come la danza esprimeva direttamente la spiritualità e l’incanto ed erano vissute più come un fenomeno psicoacustico, motorio ed estatico e le ultime ricerche sulle funzioni dell’ascolto confermano “Il potere dei suoni degli antichi strumenti musicali”. I brani musicali erano ispirati ai personaggi mitologici delle rappresentazioni di carattere arcaici preistorici, quali Fauno- Pan e le Ninfe che esprimono il mondo della foresta, dell’incanto e delle forze della natura, i diversi culti legati Magna Mater, ella era patrona Mermnadi di Lidia, nel mito greco fu assimilata a Rea e associata a Demetra e venerata ovunque, in genere sotto l’appellativo di Grande Madre degli dei. La Magna Mater non è altro che Cybele ovvero “La venere del corno”, simbolo della Fortuna della fertilità e dell’abbondanza. Cybele con i suoi cymabali e il suo tamburo, i romani lo hanno portato in giro per tutta Europa, in Egitto Cybele viene raffigurato come Isis o Iside. Ma il vero portatore della cultura delle arti primordiali era Bacco- Dioniso che si manifestava attraverso gli strumenti a fiato e a percussione. Dioniso nella cultura greca rappresentava la forza vitale del mondo vegetale e animale, chi venerava il dio acquisiva il “furore” non inteso come follia bensì come stato d’invasamento divino. Una condizione vicina alla ubriacatura da vino, e per questo il suo nome viene spesso accostato alla vite ed all’uva. Le sacerdotesse di Dioniso erano le “Menadi Danzanti”, mentre egli viene sempre raffigurato insieme ai Satiri, divinità che simboleggia i boschi e le forze fecondatrici della natura. Ritornando alla Tammurriata essa è un ballo, un canto, un suono una delle maggiori espressione musicale e sociale della tradizione della Campania. Essa si è sempre realizzata, sin dalla notte dei tempi, questo fenomeno della Tammurriata è legato soprattutto a momenti ritualizzanti della collettività e della sacralità devozionale, lo riesce descrivere in maniera eloquente, Erich Fromm il quale diceva: “È necessario far rivivere nella loro interezza rituali ed arte collettivi nei quali l’uomo ritrova se stesso liberato dal delitto, dalla nevrosi e dallo squilibrio. Indubbiamente un villaggio relativamente primitivo nel quale vi siano ancora delle vere feste, manifestazioni artistiche comuni e condivise e che abbia un analfabetismo totale, è culturalmente più progredito e mentalmente più sano della nostra cultura di istruiti lettori di giornali e radioascoltatori. Nessuna società sana può essere costruita sulla conoscenza puramente intellettuale e sull’assenza quasi completa di esperienza artistica condivisa”. La Tammurriata prende vita spontaneamente attraverso l’indipendenza del ballo, del suono e del canto, mediata sempre dal vino e dallo spazio sacro. La Tammuriata è un rito legato alla terra e alla quotidianità, in molte feste popolari della Campania vengono festeggiate tra il mese di marzo e quello di aprile cioè nel periodo della primavera dove l’uomo si sveglia dal torpore dell’inverno, e dove il contadino inizia ad arare la terra ed infine il famoso raccolto. Le ultime occasioni per vedere ballare e suonare le tammurriate sono la festa di Sant’Anna a Lettere che viene festeggiata il 26 luglio, oppure a Materdomini il 14 Agosto. Un tempo, per festeggiare le Madonne benefattrici, i pellegrini giungevano dalle campagne limitrofe al luogo del culto, a piedi sullo sciaraballo,un enorme carro trainato un tempo dai cavalli o buoi, oggi invece dai moderni trattori. Sciaraballo è un termine campano mutato dal francese char a bal che significa appunto carro da ballo, infatti su di esso cominciavano, e tutt’ora cominciano, le esecuzioni delle tammurriate durante il tragitto che conduceva sul luogo della festa. Questa macchina da festa veniva addobbata con estrema cura dalla popolazione del paese ,con fronde di palma, fiori, frutti, di stagione e con l’aggiunta di salami, caciocavalli e altri prodotti contadini, inoltre non può mancare il vino per abbeverare i vari cantori, gli sfrenati ballatori e sonatori.

Così lo sciaraballo, da semplice mezzo di trasporto si trasforma in fulcro creatore di forza vitale, di energia, di magico incantesimo, sul quale donne e uomini, vecchi e giovani, possono pian piano abbandonare tutte le loro tensioni per giungere al luogo sacro in piena libertà di sensi. Questa libertà si esprime con il ballo fonte del movimento è l’anima e l’arte della danza che nella tammurriata si esprime in un modo rituale e magico, essa è legata a tutti quei valori antichi che uniscono quel trascendente che ancora tutt’oggi riesce ad unire la piazza al sagrato di una chiesa della Madonna o Santo festeggiato. La tammurriata è una danza a coppia, eseguita da un uomo e una donna, o da due uomini, o da due donne, senza alcuni limiti di età, questa danza campana esprime rappresentazioni rituali che riguardano mai il quotidiano, quanto piuttosto ciò che il quotidiano nega e reprime. Non deve essere associata alla tradizionale forma di danza d’amore o comunque all’idilliaco gioco coreutico tra uomo e una donna, cosa che invece può essere rappresentato nella tarantella, il ballo r’ ‘e campagnole, ossia il ballo dei contadini, è costituito da una gestualità tutta ritualizzata che nel momento collettivo, assume un significato simbolico e magico. I suoi gesti possono essere spontanei, derivati che si effettuano durante il duro lavoro quotidiano dei campi o in casa, come setacciare la farina o spezzare i maccheroni, zappare la terra, raccogliere i frutti, vendemmiare, ecc.., o imitazione degli atteggiamenti degli animali, come voli di uccelli e gestualità tipiche dei gallinacei. Quando la musica comincia a scandire il suo tempo, tra i potenziali ballatori, attraverso un gioco di sguardi avviene la ricerca del partner, poi l’incontro dei due e infine la formazione della coppia di ballerini. Nella prima fase del ballo sembra che i due danzatori cerchino la giusta tra loro e assaporino bene il ritmo della tammorra, sul quale poggia anche il canto, e ballando cominciano anche a saggiare il loro rapporto con lo spazio. In questo momento di ricerca, i due esprimono la volontà psicologica di possedere uno spazio proprio entro cui agire protetti sia dalla barriera che si è venuta a creare tra la coppia, sia da quella formata dagli astanti, i quali, a loro volta, sono sempre dei potenziali partecipanti alla danza stessa, visto che potrebbero intervenire in ogni istante. Infatti, durante l’esecuzione di una tammurriata non esistono attori e spettatori, non vi sono barriere fra i partecipanti alla festa, né esistono palcoscenici, ma si formano spontaneamente dei cerchi con tutti i presenti, all’interno dei quali si fondono, in tutt’uno, suonatori, cantori, ballatori e spettatori. Il cerchio simboleggia la volontà umana di sfuggire al tempo canonico, si tenta attraverso di esso di fermarlo, almeno per quel momento di festa donato alle divinità. Il duro vivere quotidiano viene così dimenticato ed esorcizzato. Il cerchio formato dagli aspetti serve a potenziare le energia umane dei partecipanti alla tammurriata; nel suo interno la danza si svolge regolarmente sempre sulla ritma dello schioccare delle castagnette, tenute in mano un po’ da tutti, e tra gli sguardi e reciproci dei ballatori. In alcuni momenti di spontaneo eccitamento però, la frase musicale, che segue la scansione ritmica dei versi del cantatore, tende a stringere gli accenti; in questo momento, uno dei due danzatori comincia da assumere un aggressivo, di evidente avvicendamento amoroso o di sfida, assecondato o scacciato dall’altro. Quest’ ultimo può solo indietreggiare, perché incalzano dal compagno o compagna, oppure di decidere di accettare il corteggiamento o il duello, questo gesto può assumere nel contempo una valenza o di debolezza o di paura, questo lo si può esprimere attraverso la mimica facciale ed in particolar modo attraverso gli sguardi dei due danzatori. Possiamo dire che questa fase del ballo è la più coinvolgente e frenetica ed è chiamata rotella o vutata, che è il simbolo della sfida o dell’accoppiamento, perché vi può essere un rifiuto da parte della donna o un rifiuto da parte dell’uomo che sta corteggiando, la coppia allora si può spezzare dato che in quel momento può entrare una nuova coppia oppure un altro corteggiatore. Possiamo notare una cosa fondamentale, in questa fase anche la ritmica musicale e la parte cantata; infatti la tammorra batte in uno, il cantante canta su una sola nota molto prolungata, modo tecnicamente chiamato melismatico, o aggiungere dei versi più brevi per seguire i due danzatori che girano su loro stessi, quasi incatenati. In questo momento della vutata, nei danzatori soprattutto, si assiste alla totale liberazione e allo sblocco di tutte le tensioni muscolari, mentre nella girata l’andamento della danza, nella maggior parte dei casi, è antiorario, come se lo sforzo dell’uomo fosse quello di arrivare alla sospensione- appropriazione sia dello spazio che del tempo, è in questo istante che si attende una teofania, poiché del resto è proprio nella sospensione spazio- tempo che si manifesta il dio, Lorenzo Ostuni filosofo e Simbolista dice: “Il sangue è il tempo che scorre nutrendo nello spazio corporeo, mentre l’anima è lo specchio, dove spazio e tempo si riflettono perpetuamente. Il Simbolo è il crocevia dove spazio e tempo si capovolgano nell’eterno, l’universo e il tempo fusi eternamente nella luce, Dio, è Dea dell’amore, ovvero colui o colei che genera perpetui universi viventi nell’infinità e intimità dell’essere”. La danza certamente a un’infinità di corteggiamenti che sono basati sulla forza e sull’energia interiore dell’uomo e nel contempo mette a nudola sensualità della coppia. Certamente il ballo non è soltanto frenesia oppure perdita della coscienza, l’acme ovvero il dischiudersi di nuovi orizzonti, questo momento si manifesta nell’entusiasmo che esisteva nella danza estatica della menadi greche, tanto sembra il loro sforzo per perdere, a tutti livelli il contatto con essa. L’estasi non altro che l’estrinsecarsi dell’essere umano, ovvero quella sublimazione dell’animo che porta ad essere simile a Dio, anzi diventi come Dio stesso. Questo momenti di estasi viene messo in evidenza da Lorenzo Ostuni il quale ci racconta: “Che il tempo è lo spazio che attraversa i nostri corpi diventavano tutt’uno. Il corpo è lo spazio che cattura il tempo, mentre la mente è colei che si libera dello spazio, mentre il sogno è il punto dove lo spazio prende il tempo. Infine l’immagine è l’occasione dove il tempo prende lo spazio, e il sesso è la soglia dove spazio e tempo si baciano”. Non esiste scuola per imparare questo ballo, ma solamente iniziazione; quando si è ragazzi si comincia a ballare con gli anziani e in questo bisogna solo seguire i passi e imitare senza mai prendere l’iniziativa, seguire con lo sguardo colui che ti guida per essere perfettamente in sintonia. La tammurriata,come abbiamo cercato di mettere in evidenza, ha delle caratteristiche ben precise ma è necessario parlare a questo riguardo di alcune distinzioni coreutiche che interessano certi paesi della Campania.  Questa diversità viene messa in evidenza nella diversità e complessità dei paesi e città, per capirci meglio; la tammurriata scafatese è certamente la più ballata ovunque, grazie ai suoi atteggiamenti basati essenzialmente sulla sensualità. Il suo fine è il corteggiamento, reso più evidente dall’ondeggiamento morbido e fluente di due corpi in movimento. Essa appartiene a tutta la zona dell’Agro-nocerino-Sarnese, in particolare a Pagani, a Scafati, a Marra di Scafati e tutta la provincia di Salerno. La paganese è una danza più saltellante rispetto a quella precedentemente osservata; i ballerini presentano minori momenti di attaccamento e la stessa vutata mantiene i suoi protagonisti distaccati. Le nacchere qui ritmano un doppio battito che guida la danza con un movimento alternato in basso e in alto. In questo tipo di tammurriata il corteggiamento sembra lasciare il posto a una sorta di sfida tra ballatori, un terzo tipo di tammurriata lo chiameremo giuglianese, dove la caratteristica principale è costituita dalla presenza, nel gruppo musicale di un doppio flauto, del tamburello e dello scacciapensieri, se ascoltiamo bene ci accorgiamo che il ritmo musicale è più veloce e nel contempo più ossessivo, in particolar modo nel ballo il quale diventa saltellante e le braccia dei danzatori sono tenute stese e il senso di sfida si fa sempre più accentuato. Nella vutata, poi, uno dei ballatori stende la gamba tra quelle del partner il quale la accetta dato che si forma il numero quattro il quale numero simboleggia l’erotico femmineo. La giuglianese appartiene soprattutto al folclore di Giugliano (Napoli ) e a quello di Villa di Briano . L’ultimo modo di ballare la tammurriata è quello dell’avvocata in onore della Madonna Avvocata, la sua caratteristica fondamentale è la presenza di un numero elevato di tammorre, suonate contemporaneamente, dove possono arrivare sino a dieci. C’è una tammorra principale che guida il tempo e insieme alla voce dà il numero dei colpi della vutata secondo il testo delle barzellette intonate, possiamo osservare che la musica e i movimenti sono dei veri e propri richiami guerreschi, incitamento agli uomini nei momenti di combattimento. Oltre al ballo la tammurriata e supportata dalla grande magia del canto dove l’uomo si rispecchia e dove il suo animo si eleva spiritualmente. Il canto della tammurriata poggia su una struttura tutto particolare dato che ogni sillabazione che il cantore canta viene supportato da una ritmica. I versi cantati appartengono al tradizionale repertorio dei canti popolari campani che sono formati per la maggior parte da strambotti endecasillabici, quali vengono articolati per lo più a due versi per volta e la struttura musicale segue questa articolazione chiudendosi alla fine di ogni distico. La scansione metrica subisce molte modifiche a seconda delle canzoni e dei cantanti, inoltre bisogna considerare che gli uomini cantano in toni molto acuti e gli attacchi del loro canto avvengono in battere mentre le donne cominciano spesso in levare. I versi degli strambotti possono essere cantati di seguito, uno dopo l’altro, oppure ripetendo due volte ogni verso, o ancora ripetendo due volte un verso e il seguente, o i seguenti, no. Come possiamo vedere che la forma è più complessa dato che il distico dà luogo a momenti diversi e a pronunzie diverse, visto che nel canto vengono inseriti espressioni funzionali che foneticamente sono importanti e le più usate e sono: e ccòre, e bbà, e nnella, ecc.. Questi versi ottonari hanno generazione delle filastrocche ottonarie indipendenti, chiamati da tutti i cantatori barzellette. Esse sono costituite soprattutto da versi faceti e a volte spinti che fanno sorridere il pubblico. Tutto questo appartiene al lazzo del cantore e dalle fonti orali che essi hanno appreso certamente possiamo dire che il cantore è colui che rispetta a pieno la tradizione però la modifica attraverso elementi fonetici e gestuali ripercorrendo un canovaccio già scritto dove l’esecutore sembra strano diventa una maschera della Commedia dell’Arte. Con il novecento si sono cambiati i canoni grazie agli studi condotti da grandi pionieri tra cui ricordiamo Ernesto De Martino il quale è stato uno dei primi studiosi della tradizione popolare, l’altro grande e stato Roberto De Simone il quale studiando e nobilitando la musica popolare facendola divenire opera in musica con La Gatta Cenerentola. Certamente in questa sede non possiamo dimenticare i vecchi cantori o cantatori-contadini come Giovanni del Sorbo, Antonio Torre, Vincenzo Pepe, erano agricoltori di Scafati in provincia di Salerno, essi spesso inaugurano i famosi carri in festa della Madonna dei Bagni dove ogni cantore esprime la fatica della terra e del raccolto. Oggi con l’evoluzione della tammurriata essa è divenuta metropolitana cioè appartenete non più alla terra ma alla città, dove però in parte si tende di mantenere il sapore della tradizione. Gli strumenti usati nella tammurriata sono molteplici e spesso variano a seconda dei luoghi, lo strumento principale della tradizione è la tammorra o tammurro. Esso è formato da una fascia di legno circolare, ricoperta da una pelle di capra ben tesa, del diametro che varia dal trentacinque ai sessanta centimetri. La fascia presenta, in tutta la sua circonferenza, delle aperture rettangolari dove vengono collocati dei singoli ricavati da vecchie scatole di latta che prendono il nome di ‘e cicerre oppure ‘e cimbale (i cimbali) o i cincioli. Esiste anche una tammorra muta cioè senza cincioli, usata in particolare nei paesi montagnosi della Campania, la tammorra campana è strettamente imperniata al bendir arabo e la sua origine si perde nella notte dei tempi vista la moltitudine di testimonianze che vanno dalla civiltà araba a quella greco- latina. La tecnica per suonare questo strumento è abbastanza complessa e richiede soprattutto un ottimo intuito musicale e ritmico, oltre una notevole resistenza fisica da parte del tammorraro/a, visto che lo strumento viene suonato interrottamente per giornate intere, lo strumento viene impugnato in basso dalla mano sinistra e viene percossa la pelle con la mano destra, tale modo di suonare la tammorra viene detto maschile, mentre l’impugnatura con la destra viene detta femminile. Attualmente la tammorra è suonata come dono della Madre Terra e non mancano suonatrici femminili tra cui vogliamo ricordare la grande Concetta Matrone di Marra di Scafati madre di Antonio Matrone detto ‘lione grande costruttore di tammorre e suonatore ancora legato alla tradizione contadina. Egli ci spiega come viene costruita una tammorra durante le feste, la tensione della pelle dove il calore tende quindi rende la pelle più dura dove il suonatore più suonare senza inibizioni mentre l’umidità rende più molle e quindi il suonatore deve attendere che la pelle si indurisca prima di suonare. Altri strumenti importanti nella tammurriata sono le nacchere o castagnette esse non fanno altro che scandire il tempo con un movimento circolare del polso, c’è tutta una simbologia sulle castagnette le quali se sono legate a un significato di omosessualità poiché la tradizione un paio detto maschio e l’altro detto fammina, evidentemente impugnandole nelle due mani, chi balla è contemporaneamente maschio e femmina, questo simboleggia un’antica raffigurazione ermafrodite e in molte immagini di Madonne meridionali che hanno nell’iconografia il sole sempre collocato a destra e la luna collocata a sinistra. Le castagnette sono composte da due a parti concave di legno di ulivo o di limone oppure di arancio, vengono abbellite nella loro parte esterna, dal disegno di un cuore rovesciato, le due parti sono unite da uno spago che ne attraversa quella superiore. Questo cordoncino che le regge insieme viene infiltrato tra uno o due dita, indice e anulare, per permetterne il battito, anche per quanto riguarda le due parti concave si fa una differenza fra la parte maschio e quella femmina. In questo connubio fortemente legato tra l’uomo e la donna si evidenzia sempre la pratica erotico-sessuale che fa parte della gestualità dei ballatori i quali tendevano ad infuocare la danza, il fuoco che veniva prodotto dallo sfregamento del legno, faceva sì che nascesse la relazione con la sfera magica delle emozioni soprattutto di tipo sentimentale e sessuale. Un altro strumento che veniva usato nelle tammurriate è il putipù ‘o caccavella o ancora cupe-cupe, una sorte di tamburo a frizione, costituito da un recipiente di terracotta o da una vecchia scatola di latta, su cui è tesa una pelle che porta infissa e legata al centro una canna. Il suono ritmico è simile a una pernacchia, è uno sberleffo, un gesto di scherno questo viene prodotto inumidendo una spugnetta che viene che viene fatta scivolare lungo la canna. l tricchebballacche o triccabballacche è composto da tre martelletti di legno fissati in basso nella scanalatura di una base di legno, il martello centrale è fisso mentre i due laterali sono mobili e vengono impugnati nelle due mani per batterli contro quello centrale, producendo un particolare suono anch’esso uguale a uno scoppiettio. Lo scacciapensieri, morza in Campania meglio conosciuto come tromba degli zingari, è uno strumento idiofono formato da una sbarretta curva a forma di spallina militare su cui è fissata una linguetta, entrambe di metallo.  Tenendola tra i denti, si sollecita la linguetta pizzicandola con un dito si ottiene in questo modo una caratteristica vibrazione amplificata della cavità orale che funge da cassa di risonanza. Il fiato emesso ritmicamente e con forza contro la linguetta, consente di elevare l’intensità del suono e di produrre effetti di staccato, terzine, acciaccature altri abbellimenti. Lo scacciapensieri, strumento appartenente a tutta l’area mediterranea, è presente in molte tammurriate. Mentre lo scitavaiasse invece è uno strumento tipico della Campania e della Puglia, si tratta di una specie di raschiatoio ricavato da un’asse di legno con un bordo intagliato a denti di sega, con o senza una serie di piattini metallici applicati sulla faccia più larga. Un bastone viene fatto scorrere ritmicamente sui denti provocando l’emissione del suono, anch’esso senza intonazione. Il flauto nella versione campana è una canna tagliata su cui vengono praticati dei fori digitali ed è chiamato sisco, cioè il fischio. Il doppio flauto anch’esso presente durante l’esecuzione di tammurriate in alcuni paesi è uno strumento antichissimo rappresentano numerose pitture e sculture di epoca greco-romana. Oggi questo strumento è quasi del tutto dalla tradizione campana e lo si ritrova soltanto a Somma Vesuviana in provincia di Napoli e in alcuni centri dell’avellinese. Esso è composto da due canne delle quali una è detta maschio, con quattro buchi e l’altra femmina con tre buchi, il doppio flauto si suona soffiando contemporaneamente nelle due canne e impugnando la canna maschio a destra e quella femmina a sinistra. Anche il suono di questo strumento ha un’intonazione melodica e il suo uso a seconda dei luoghi e del sonatore. La chitarra battente, quasi del tutto scomparsa dalla musica popolare campana, presenta una struttura costituita da una cassa che si trova più alto rispetto alla chitarra normale, da un fondo non piatto ma convesso e il piano armonico inclinato all’altezza del ponticello non incollato; inoltre le corde metalliche sono ancorate alla fascia inferiore relativamente poco tese e accordate senza bassi , allo scopo di produrre esclusivamente suoni acuti. Raccontare della tammurriata dei suoi luoghi per me è stato un momento importante, capire la sua importanza sociologica e antropologica che mette a nudo l’identità di popolo che ancora, dopo secoli si rispecchia nella tradizione come momento collettivo e di comunicazione.

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