Protagonista dell’arte Italiana del Novecento
Giovanni Cardone
Fino al 18 Gennaio 2025 si potrà ammirare CUBO-Museo d’impresa del Gruppo Unipol Bologna la mostra dedicata a Filippo De Pisis -Filippo de Pisis. Nascita di un quadro a cura di Ilaria Bignotti e Maddalena Tibertelli de Pisis. La mostra ottiene il contributo diAitArt, l’Associazione nazionale archivi d’artista la cui attività di ricerca e studi favorisce la salvaguardia degli archivi esistenti e promuove la creazione di nuovi, è gode del Patrocinio dell’Associazione per Filippo de Pisis. Il progetto espositivo approfondisce alcuni aspetti ancora inediti della ricerca artistica e del portato culturale di de Pisis, accostando diciotto dipinti a brani letterari, poetici e critici, di suo pugno, selezionati tra i suoi scritti. La mostra si sviluppa intorno al quadro che appartiene al patrimonio artistico del Museo d’impresa del Gruppo Unipol dal titolo “Paesaggio”, datato 1926: un piccolo dipinto ad olio su tela dove l’uomo medita sulla sua dimensione rispetto al grande potere della natura. De Pisis accoglie infatti, in ogni suo dipinto, un riverbero di natura simbolista che vede l’umanità stretta in una profonda comunione con la natura e con il sensibile. Partendo proprio dal “Paesaggio” del 1926, le curatrici hanno scelto una quindicina di altri dipinti provenienti dall’archivio del Maestro e da rinomate Collezioni nazionali, ponendoli in dialogo con una selezione di suoi scritti: sia in forma di pagine di diari e appunti vergati a Ferrara, poi a Roma, a Parigi, a Venezia, e nella clinica di Brugherio durante gli anni della nevrosi, sia in forma di un pensiero critico e storico dell’arte che de Pisis elabora in occasione di conferenze e saggi, articoli e contributi, dimostrando la sua fiducia nel potere che si cela dietro ad ogni quadro.O meglio: ad ogni “nascita di un quadro”. Questa mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Filippo de Pisis nasce dai miei scritti sulla metafisica e dall’incontro tra De Chirico e de Pisis questo raffinato e inquieto artista è stato oggetto di un dibatto nella mia trasmissione il Saggio che va in onda su Radioarte e non solo di tanti saggi scritti da me : Luigi Filippo Tibertelli de Pisis, poi noto con il nome d’arte di Filippo de Pisis, nacque a Ferrara l’11 maggio 1896, era il terzo figlio di una famiglia numerosa, aveva infatti cinque fratelli e una sorella. La sua era una famiglia patriarcale, all’antica, segnata anche da una forte fede religiosa, e vantava come parente un leggendario capitano di ventura pisano, tale Filippo de Pisis, vissuto nel Trecento, che era diventato consigliere e generale d’armata di Niccolò III d’Este dopo l’esilio da Pisa alla fine del periodo ghibellino. Il padre dell’artista, Ermanno Tibertelli de Pisis, era un aristocratico ferrarese, che si impegnava nel finanziare opere pie e associazioni religiose. Fu consigliere comunale di Ferrara e faceva parte delle liste chiericali. Ermanno Tibertelli aveva sposato la bolognese Giuseppina Donini nel 1892. Anche la madre del pittore era fortemente cattolica, era infatti stata educata presso un collegio di suore di clausura. I due, grazie anche alla fortuna maturata dalla famiglia in seguito alle imprese dell’antenato, riuscirono a condurre una vita piuttosto agiata. Iniziati gli studi, de Pisis si rivelò un alunno imprevedibile, che alternava buoni risultati ad altri meno soddisfacenti. Inizialmente non frequentava la scuola pubblica, ma studiava a casa, sotto la guida di sacerdoti. Si appassionò di disegno e pittura fin da molto giovane, iniziò a prendere lezioni fin dagli otto anni e a partire dai quindici il suo maestro di pittura fu Giovanni Longanesi. I genitori erano favorevoli a coltivare la vocazione artistica del ragazzo perché essa faceva parte, nel loro pensiero, del normale percorso di educazione dei rampolli delle famiglie benestanti, non pensavano che potesse diventare la sua professione. Superato l’esame di licenza ginnasiale, nel 1912, de Pisis si iscrisse al liceo classico Ludovico Ariosto di Ferrara .
Il giovane artista, già a dodici anni, scriveva e disegnava molte ore al giorno, manifestando fin da subito una passione per i fiori, di cui conosceva i nomi comuni e scientifici e che spesso raccoglieva. Al pari con la sua passione per la pittura, il giovane sviluppò anche quella per la botanica e soprattutto per la letteratura. Egli passava molto tempo con la sorella Ernesta, che condivideva i suoi stessi interessi. «Sapesse come sono nato «poeta» – scriverà nel 1939 al critico d’arte Giuseppe Marchiori più ancora che pittore. Nella mia primissima giovinezza coprivo fogli e fogli (chili) di impressioni, quasi tutte ispirate a Ferrara e la sua campagna…» . De Pisis trascorse l’estate del 1915 in villeggiatura alla Croara, una località nella valle del Savena, nel bolognese. Durante questo soggiorno, il giovane scrisse la maggior parte dei poèmes en prose che formeranno il suo primo libretto, I Canti della Croara, composto da brevi componimenti che riguardano soprattutto sensazioni fuggitive cariche di vitalità e sincerità. Il giovane Tornò a Ferrara a settembre per ricominciare la scuola, dove si sottopose anche alla visita della leva militare, che non passò perché dichiarato “rivedibile” a causa delle frequenti cefalee. Alla fine dell’anno, dopo svariate visite, egli venne definitivamente esentato dal servizio militare a causa delle nevrastenie. L’esonero dal servizio militare non fu approvato dal padre che, secondo le direttive ufficiali della Chiesa, era convinto che i cattolici avessero il dovere di combattere nella guerra. Filippo de Pisis fu infatti l’unico dei suoi fratelli, tra quelli in età per essere arruolati, a non aver partecipare al conflitto. Nel 1915 de Pisis si iscrisse all’Università di Bologna, dove studiò lettere. Negli anni dell’università conobbe Raffaello Prati, Giuseppe Raimondi e Giovanni Cavicchioli, suoi fedeli amici. Nel 1916 pubblicò i Canti della Croara, dedicati al Pascoli, e chiese ai fondatori della rivista “La Brigata” di poterli leggere. Nel giugno 1915, i fratelli Giorgio e Andrea de Chirico si recarono a Ferrara, da Parigi, per sottoporsi anch’essi alla visita militare, in cui però vennero entrambi dichiarati non idonei. Vennero assunti come scritturali e risiedevano in un appartamento preso in affitto di fronte a casa Tibertelli, motivo per cui entrarono da subito in relazione con il giovane artista. L’amicizia con i due diede a de Pisis nuovi slanci e ambizioni. Giuseppe Raimondi visitò lo studio di de Pisis a Ferrara durante l’estate del 1916. In quest’occasione egli introdusse al giovane amico il movimento Dada. Nel settembre dello stesso anno, infatti, de Pisis scrisse personalmente a Tristan Tzara, inviandogli tre prose inedite affinché potessero essere pubblicate nella sua rivista, «Cabaret Voltaire». Con questo atto il poeta e pittore si impegnava, insieme all’amico Alberto Savinio, a diffondere tale rivista anche in Italia. Tzara però non pubblicò le prose di de Pisis, neanche dopo le numerose lettere di sollecitazione da parte dell’artista. Nel 1917 il giovane artista conobbe il professore Alfredo Panzini , con cui coltivò anche un’amicizia epistolare in modo che egli intercedesse presso editori e direttori di riviste affinché venissero pubblicate due opere: Il verbo di Bodhisattva (colui che ha raggiunto la perfezione), che firmò con lo pseudonimo Maurice Barthelou e che scrisse probabilmente con l’aiuto della sorella; e Mercoledì 14 novembre 1917, un’opera pseudo-metafisica. Sempre nel 1917, scrisse anche al musicista futurista Francesco Balilla Pratella e a Giuseppe Ravegnani . Carlo Carrà si recò a Ferrara, dove venne ricoverato insieme a de Chirico nell’ospedale militare per malattie nervose. In questo frangente, i due artisti dipinsero gomito a gomito opere metafisiche, ricevendo frequenti visite da de Pisis, ignaro degli umori contrastanti che i due provano nei suoi confronti. Nel 1918, de Pisis si recò a Roma per raggiungere Napoli, dove doveva consultare la biblioteca di Benedetto Croce . L’artista fu particolarmente attratto dalla città eterna, dove visita anche lo studio di de Chirico, che scrisse a Carrà: «Qui a Roma ho visto a poco a poco formarsi il deserto intorno a me, ovunque incontro ostilità e indifferenza… Ad accrescere il mio pessimismo e la mia misantropia è venuto anche quello scemo di de Pisis che mi rompe le scatole da mane a sera» . In questo periodo, l’artista iniziò a farsi chiamare Filippo, suo secondo nome, perché riteneva il primo troppo legato alla sua infanzia. Strinse un rapporto di stima reciproca e di amicizia con Giovanni Comisso, con cui intraprese anche un lungo scambio epistolare, che continuò fino alla morte del poeta pittore. La coppia di amici iniziò a frequentare la casa di Angelo Signorelli e di sua moglie Olga , luogo importante perché ospitava quadri di pittori di avanguardia a cui i due fanno da collezionisti e mecenati, ed erano infatti già amici di de Chirico e Carrà. Nel 1920 de Pisis si laureò all’Università di Bologna con una tesi intitolata La pittura ferrarese (dalle origini agli albori del secolo XV), dopodichè decise di trasferirsi a Roma, dove cominciò a lavorare come insegnante di scuola media. Nel suo diario aveva affermato, riferendosi ai motivi per cui voleva lasciare Ferrara: «La città dove sono nato e fino a ora, salvo brevi interruzioni, ho passato i miei giorni, come si dice, è per me letale» . Nella capitale, de Pisis realizzò la sua prima mostra di disegni insieme a de Chirico, anche se purtroppo non sono rimaste testimonianze fotografiche né cataloghi di tale avvenimento. Fu un periodo in cui egli iniziò a dipingere molto, principalmente nature morte, ma nonostante l’impegno pittorico e letterario egli si trovava comunque nella condizione di dover avere un altro lavoro, insegnava infatti, come supplente, all’Istituto Alessandro Volta. A Roma il pittore intraprese anche l’attività di conferenziere e tenne delle lezioni al corso libero di Storia dell’arte antica e moderna presso l’Accademia dell’Arcadia, dove teneva anche conferenze sui pittori ferraresi del Cinquecento e delle letture di Pascoli. I suoi discorsi riscossero parecchio successo. In questo periodo egli iniziò a tessere anche legami sociali importanti: frequentava l’Accademia di Francia e quella d’Inglese, era spesso nella villa di Armando Spadini ai Parioli e venne invitato ad alcune cerimonie in Vaticano. Continuò a frequentare il salotto letterario di Olga Signorelli, in cui si recavano spesso anche de Chirico, Savinio, Eleonora Duse, Severini, Marinetti, Pirandello e altri. Il pittore riprese anche il rapporto con de Chirico, tanto che lo seguirà nei suoi spostamenti, fino al 1943. Durante il soggiorno ad Assisi l’artista venne costretto a recarsi a Ferrara a causa della morte del padre Ermanno, avvenuta il 5 giugno 1923. In quest’occasione venne a sapere che il padre aveva perduto gran parte del suo patrimonio, ma la scarsa eredità gli permise comunque di tornare a Roma all’inizio del 1924. A Roma, il pittore allestì uno studio in un granaio di Palazzo Fornari, che chiamò “la gabbia d’oro” . In questo studio, de Pisis iniziò ad abbandonare le sue tendenze pittoriche futuriste e metafisiche per dedicarsi, invece, alla pittura dal vero, inizialmente ritraendo statue, poi modelli viventi. Il 29 giugno 1924 de Pisis era a Gogna di Cadore, al tempo rinomata stazione termale. Era la prima volta che si recava in montagna con la madre, abitudine che poi mantenne negli anni successivi. Affittò un tabià, il Casera Cornon, in cui organizzò uno studio. Era particolarmente affascinato dai fiori. Durante questo soggiorno si interessò anche dell’arte locale del Cadore. Tra la primavera e l’autunno aveva dipinto molto anche tra Roma e Assisi. I quadri di questo periodo vennero esposti in una mostra inaugurata il 1° novembre nel Ridotto del Teatro Nazionale di Roma. De Pisis aveva proclamato un gran successo per la mostra, ma in generale ricevette commenti negativi e pochi estimatori. Fortunatamente, però, il professor Signorelli acquistò vari quadri esposti. De Pisis ottenne un trasferimento «per titoli» all’Istituto Vincenzo Gioberti di Roma, come insegnante di italiano di scuola superiore. Allo scadere del suo contratto da supplente, de Pisis decise di recarsi a Parigi, dove voleva dedicarsi alla pittura. Giunto a Parigi, de Pisis alloggiò inizialmente all’Hotel Bonaparte, poi al più economico Hotel Hesperia. Visitò Jacque-Emile Blanche , Giovanni Boldini, e Albert Besnard, che aveva conosciuto quando quest’ultimo era direttore dell’Accademia di Francia. Ebbe l’occasione di incontrare diversi pittori e poeti e riuscì ad ottenere una stanza per trasformarla in atelier. Visitava spesso i musei e venne influenzato soprattutto dalla palette romantica di Delacroix, ammirava inoltre Manet e tutti gli impressionisti. In questo periodo scrisse: «Mi pareva di essere «ratto in rapimento» al Louvre […] davanti a certi pezzetti di Corot di Manet di Courbet etc.…» . Quando si stanziò nella nuova città, l’artista strinse un’intensa amicizia con Marino Moretti , con cui intraprese un viaggio in Belgio, visitando Bruxelles e Ostenda. Tornato a Parigi, espose alla mostra “Exposition de Peintures”, dove venne apprezzato dal pubblico, anche se era ancora difficile per lui vendere i suoi lavori. Il pittore tornava in Italia ogni estate per recarsi in villeggiatura sulle Dolomiti. Nell’estate del 1925 si recò insieme alla madre e il fratello a Valle di Cadore, presso Villa Agnoli, dove continuò i suoi studi sull’arte locale, progettando un catalogo che raccogliesse tutte le opere del Cadore, scrisse inoltre una serie di articoli a riguardo per “L’Eco del Piave”, un giornale di Treviso. Nell’articolo Opere d’arte in Cadore de Pisis affermava che l’arte cadorina era frutto delle influenze dell’arte veneta, ma anche di quella tedesca e fiamminga, non mancando però di caratteristiche proprie. Dopo il Cadore, de Pisis si fermò anche a Venezia, per scendere poi sulla costa dell’Adriatico fino a Cesenatico. De Pisis nel dicembre dello stesso anno tornò a Parigi. Il 5 gennaio il pittore 1926 tornò in Italia, a Milano, perché, grazie all’aiuto di Carrà che gli scrisse la presentazione del catalogo, riuscì ad inaugurare un’altra mostra. «La tua resistenza, il tuo ardore, la tua freschezza, la tua gioventù – gli scrive Marino Moretti – sono tutte cose miracolose. Sei una creatura degna di invidia… artista quasi celebre, assumi l’importanza di un mito» . Il 1° luglio 1926 de Pisis lasciò Parigi per recarsi in villeggiatura a Calalzo di Cadore. Continuò le sue ricerche sull’arte locale recandosi anche a Pozzale, dove è presente la Pala di Pozzale di Vittore Carpaccio. Dipinse molto e si dedicò anche alla pittura murale, realizzando delle lunette sopra le porte di una casa a Pieve di Cadore e nella Chiesa della Madonna del Carmine a Valle. A ottobre de Pisis tornò a Parigi perché un mercante d’arte polacco, Sierpski, si era offerto di lanciarlo e venderlo. A Parigi c’erano molti artisti e risultava difficile vendere quadri, motivo per cui molte opere dell’artista venivano spedite al fratello Pietro, in Italia, dove sperava di trovare acquirenti. Nel 1927, de Pisis espose con gli “Italiani di Parigi”, Gino Severini e Arturo Tosi . Il 22 settembre 1927 venne inaugurata l’Esposizione d’Arte Italiana ad Amsterdam, in cui de Pisis espose con Tozzi, de Chirico, Parese, Campigli e Prampolini . Nel novembre del 1927 de Pisis realizzò un’intervista per il giornale parigino “Comoedia”, intitolata L’Italie et nous: avec M. Filippo de Pisis qui à préféré la France à l’Italie, in cui il pittore affermò: Non sono fascista. Lo ero una volta, avendo avuto per compagni di scuola Italo Balbo e Dino Grandi che sono oggi ministri di Mussolini. Quando il figlio della cuoca di mia madre fu ucciso dai comunisti, feci una prosa lirica che venne pubblicata in un opuscolo. Ma non sono più fascista. Il mio temperamento è così lontano del tutto dalla politica! Avrei potuto sollecitare un posto brillante. Ho preferito vivere in Francia . Il quotidiano locale di Ferrara riprese questa affermazione, si diffuse una polemica che accusava il pittore di tradimento e ci fu persino chi voleva togliergli il passaporto, fu quindi costretto a chiarire di non aver alcuna idea antifascista. Nel 1929 l’artista aveva portato nel suo studio parigino due modelli e, mentre dipingeva, uno dei due lo aveva colpito con una grossa bottiglia, per poterlo derubare. Fortunatamente de Pisis riuscì a chiamare aiuto, rompendo i vetri di una finestra. Fu il primo di diversi incidenti simili che caratterizzarono il periodo di fama e successo dell’artista. Durante la villeggiatura a Cavalese del 1929, la madre del pittore, Giuseppina Donini, ebbe un attacco cardiaco e morì poche ore dopo all’ospedale di Trento. La perdita della madre fu un duro colpo per de Pisis che ci era particolarmente legato. Per due estati successive de Pisis si recò in villeggiatura a Cortina d’Ampezzo. Il 19 luglio 1930 era all’Hotel Tiziano, dove alloggiavano anche gli amici Cavicchioli e Comisso. In questo primo soggiorno l’artista non si rivelò particolarmente soddisfatto del luogo, a causa degli abitanti che egli giudicò troppo chiusi, a tal punto a definire Cortina Locus nefastus amori . Il 1° agosto 1931 il pittore soggiornò presso la pensione Casa Nuova a Cortina, nuovamente insieme agli amici Comisso e Cavicchioli. In questa seconda occasione, il suo arrivo fu annunciato da “Il Corriere di Cortina e delle Dolomiti”, onorato di dare il benvenuto ad un pittore che «proviene direttamente da Parigi, ove ha esposto con successo e ha ottenuto risonanza veramente mondiale». Durante questo soggiorno de Pisis dipinse e scrisse molto. Tra gli scritti, Il sogno felice è la descrizione dell’imprimitura di una tela che suscita l’evocazione della madre, mentre Lanciamo una moda è uno scritto teorico in cui propone una pittura che si inserisca nell’arredamento moderno. Nell’aprile del 1933 de Pisis venne invitato dal mercante Anton Zwemmer ad andare a Londra in occasione di una mostra. Condivise lo studio con Vanessa Bell, sorella di Virginia Wolf. Di ritorno a Parigi, scrisse a Comisso: «A Londra ho fatto dei bei paesaggio che ho venduto abbastanza bene e passo buonissime giornate a dispetto dei mercanti di Milano terribili» . Nel 1935 de Pisis tornò a Londra con il suo segretario Edoardo Languasco, che aveva conosciuto nel precedente soggiorno e che seguì il pittore negli anni successivi. Fu nuovamente ospite dello studio di Vanessa Bell. Organizzò una mostra dove espose 36 quadri e ottenne tanto successo che venne celebrato anche da un articolo sul Times. Nel 1936, per recarsi in ospedale a causa di un’ernia, si recò a Milano. Tra 1937 e 1938 De Pisis non uscì da Parigi a causa della situazione politica internazionale: temeva infatti che, se si fosse recato in Italia per la solita villeggiatura estiva, non sarebbe più potuto tornare in Francia. L’artista tornò al Londra nella primavera del 1938 con Marino Moretti, questa volta non per motivi di lavoro ma per svago, dato che Zwemmer non era riuscito ad organizzare un’altra mostra. Nel 1939 decise di abbandonare definitivamente Parigi, in cui aveva trascorso gli ultimi tredici anni della sua vita. Nel 1939 de Pisis tornò in Italia in fretta a causa dello scoppio della guerra. In Italia si stabilì inizialmente a Milano, presso l’albergo Vittoria, anche se presto partì per Cortina, invitato da Mario Rimoldi, che gli offrì vitto e alloggio in cambio di suoi quadri. Il pittore riportò le sue impressioni durante il periodo passato a Cortina, un periodo sicuramente felice e produttivo. Scrisse, infatti, nel suo diario: Periodo beato della mia vita. La bella tela delle trote, compro le trote. Mostra d’arte con Rimoldi. Faccio le tro te con buona minestra con Marullo e Gigi il caro. 14 agosto – Sento il fumo della celebrità. Periodo felice della mia vita. Sono in una magnifica forma per la pittura e altro. Delizioso atelier rosa di falegname. Il berrettino di vel luto del delizioso bambino. 18 agosto – La mattina faccio la bellissima pittura . Nel 1941 a Cortina venne inaugurata al Palazzo Municipale la “Mostra di Arte Moderna Italiana” della Raccolta Rimoldi, che ospitava quaranta lavori di de Pisis, che però in quest’occasione non si recò nella località ampezzana. La mostra venne trasferita, nei mesi successivi, a Trieste. Essa venne poi riproposta a Cortina durante l’estate. In quest’occasione, de Pisis scriverà a Rimoldi: «si sa che un pittore deve sottoporsi a un gran lavoro per giunger in alto, ma non si deve esporre tutto ciò che fa» . De Pisis giunse a Cortina nell’estate dello stesso anno. Il pittore godeva di un momento molto fortunato, ricco di ispirazione, tanto che esplicitò ad un amico la sua volontà di lasciare Cortina al più presto «Altrimenti Rimoldi fa un affare troppo grande perché sono molto in vena. Dipingo senza sosta…». Durante il soggiorno ampezzano, l’artista subì un furto da parte di uno dei suoi modelli. Quando si recò in questura a denunciare tale fatto, de Pisis raccontò anche degli aneddoti della sua vita privata per i quali si decise di aprire un dossier a suo carico come “perturbatore della morale”. Nel 1941 il pittore lasciò l’Albergo Vittoria di Milano grazie al suo ormai fedele segretario, Languasco, che gli aveva trovato un appartamento in via Rugabella. In questi anni, de Pisis soleva anche recarsi, dopo la villeggiatura in montagna, a Rimini, presso l’albergo Montefeltro, dove aveva anche un piccolo studio nel quale egli realizzava molti dipinti . Nel 1942 de Pisis pubblica la prima edizione delle sue Poesie presso l’editore Vallecchi. Nell’estate del 1942 il pittore si recò nuovamente a Cortina da Rimoldi, soggiornando all’Hotel Corona, di proprietà del collezionista. Tornato a Cortina, si trovò davanti un posto diverso da quello che aveva lasciato e si dichiarò scontento delle nuove costruzioni di case finto-rustiche e dei numerosi turisti che affollavano il paese. Di ritorno a Milano in autunno, iniziarono i bombardamenti sulla città. Il 6 novembre 1942 il quartiere in cui de Pisis viveva venne danneggiato dai bombardamenti. In quest’occasione scrisse a Comisso: «L’ho passata brutta per tre gravi pericoli (bomba, fuoco e persiana di tre metri cadutami in testa) scongiurati però. La mia casetta, ut olim Pindarica… uscì illesa dalle fiamme» . Le indagini aperte per il furto che il pittore aveva subito a Cortina volsero a termine e la Prefettura di Milano, secondo le leggi fasciste, condannò il pittore al confino a causa dei «perturbamenti alla morale», per cui sarebbe stato mandato in qualche isola insieme ad altri omosessuali condannati. De Pisis, fortunatamente, venne informato in tempo e fuggì da Milano, rifugiandosi a Portofino. Riuscì infine a raggiungere Roma i primi di marzo del 1943, dove la guerra si sentiva di meno e lui poteva lavorare. Il periodo veneziano, la malattia e la morte L’incidente di de Pisis a Milano non passò inosservato a lungo e nel 1943 la questura di Roma lo cercò per ordinargli di comparire davanti alla commissione per il confino. Fortunatamente lo aiutò Pareschi , un suo vecchio compagno di scuola che faceva parte del governo e che fece in modo che cessasse ogni azione contro l’amico. Le accuse furono rimosse del tutto dopo il 25 luglio, quando cadde il fascismo . Il pittore tornò quindi a Milano, alla sua casa in via Rugabella, che fu però nuovamente colpita da un bombardamento da cui de Pisis si salvò per poco. In seguito all’Armistizio di Cassibile dell’8 settembre 1943, in un periodo di relativa calma, de Pisis decise di trasferirsi a Venezia, dove aveva comprato una casa a San Bastian e uno spazio per realizzare il suo studio a San Barnaba. Fu un periodo di grande fortuna economica per l’artista. La crescente inflazione della lira imponeva a molti di investire i propri averi negli acquisti più svariati, fra cui le opere d’arte. Il 20 maggio 1945 sul quotidiano «Giornale delle Venezie» venne riportata la notizia di una festa alquanto libertina che si era tenuta a casa di Edoardo Languasco, a cui anche il pittore aveva partecipato, e che venne terminata dalla polizia che condusse tutti i partecipanti in Questura. De Pisis, dopo una notte di reclusione, firmò una diffida a suo carico: «A tenere nella di lui abitazione od altrove riunioni scandalose o che possano comunque ledere la moralità ed il buon costume. Il de Pisis Filippo si dichiara edotto di quanto sopra e si obbliga a scanso di severi provvedimenti amministrativi o penali, di osservare scrupolosamente a non trasgredire minimamente la presente diffida» . Durante l’estate il pittore si recò in villeggiatura tra Auronzo e Cortina, dove subì un tentativo di furto da due ragazzi che aveva fatto posare. A causa però dei suoi recenti problemi con la legge, la Questura decise di espellerlo da Cortina per “condotta irregolare”. L’undici gennaio 1946 il “Gazzettino” riportò un’aggressione subita dal pittore nella sua abitazione veneziana, seguita dal furto di denaro e di oggetti preziosi. In questo periodo de Pisis fu colpito da cefalee, stanchezza, insonnia, depressione e ansia, che aveva sempre accusato, ma che si fecero più frequenti ed intense, probabilmente a causa dell’esposizione al clima umido e ventilato della Laguna, che gli provocò anche febbri misteriose. Essendogli Cortina vietata, nell’estate l’artista 1946 si recò in villeggiatura ad Auronzo. Nel 1947, un’indagine del fisco sui guadagni del pittore gli procurò una multa molto salata. Nello stesso anno egli lamentava spesso problemi causati dalla pressione alta e i medici gli proibirono di fumare la pipa e di bere alcolici. De Pisis tornò in Italia per dedicarsi alla Biennale del 1948, dove espose alcune opere. Non vinse nessun premio e si diffusero voci secondo cui non venne celebrato a causa delle sue abitudini scandalose. Egli soffriva di insonnia, era dimagrito spaventosamente e aveva la pressione altissima. Il pittore continuava a non sentirsi bene e si recò a Cortina, dove credeva di trovare un clima meno umido che a Venezia, ma l’altitudine lo fece stare ancora peggio. Tornato nella sua abitazione veneziana, si sottopose all’elettroshock, una cura molto di moda all’epoca per le malattie nervose. A ottobre de Pisis venne ricoverato nella clinica “Villa Fiorita” nei pressi di Monza e poi tornò a Venezia. Avrebbe dovuto recarsi, verso la fine dell’anno, prima a Bologna, poi a Firenze e a Roma per delle mostre, ma un collasso nervoso improvviso lo portò in una casa di cura bolognese, “Villa Verde”, dove venne ricoverato, utilizzando anche l’elettroshock. In clinica continuò a dipingere diversi quadri. I medici faticavano a comprendere la causa della malattia e de Pisis non migliorava, neanche quando venne portato alla clinica psichiatrica universitaria. Nel gennaio del 1951 venne trasferito in una clinica chirurgica a Milano a causa di un ascesso polmonare. Tra il 1954 e il 1955 de Pisis venne ricoverato all’ospedale psichiatrico di Villa Turro, a Milano, trasferimento reso necessario dall’aggravarsi delle sue condizioni. Il 28 marzo 1956 una trombosi celebrale provocò la paralisi di tutta la parte destra del corpo. Dopo un’agonia di cinque giorni, venne trasportato nella casa del fratello Francesco, dove morì alle 11 del 2 aprile, all’età di sessant’anni. La pittura di de Pisis può essere compresa considerando due fattori principali: il primo è il rapporto tra la sua scrittura e la sua pittura, l’altro riguarda l’evoluzione della sua pittura negli anni, avendo egli colto le influenze del panorama artistico del primo Novecento utilizzando una varietà di modi espressivi differenti.
Il primo fattore, ossia il rapporto tra la scrittura e la pittura di de Pisis, ha diverse declinazioni. Innanzitutto, si può notare l’attenzione del pittore-scrittore nella descrizione cromatica degli oggetti nelle sue prose e poesie, che si riflette nella sua capacità di rendere i soggetti dei dipinti della sua fase più matura con rapidi tocchi di colore e quasi trascurando il disegno. Gli esempi riguardanti quest’attenzione del de Pisis scrittore sono moltissimi. In secondo luogo, è interessante notare come l’evoluzione dello stile letterario di de Pisis andasse di pari passo al suo sviluppo pittorico: infatti, quando attorno agli anni Venti scrisse I canti della Croara (1916) e Città delle cento meraviglie (1923), egli inserì in essi motivi che riprendono la sintassi metafisica dell’amico e collega de Chirico, che ispirò anche le sue prime opere pittoriche . Infine, la corrispondenza tra scrittura e pittura nell’opera di de Pisis è ancora più evidente ed esplicita nei suoi svariati diari, dove egli annotava in modo molto preciso i soggetti che intendeva dipinge, i colori che voleva utilizzare e gli errori da evitare. Ne è un esempio il seguente passaggio del suo diario pittorico del 1931, che egli annotò durante la villeggiatura a Cortina e in cui definiva le caratteristiche che i suoi quadri avrebbero dovuto avere. Per quanto riguarda il secondo fattore invece, ossia l’evoluzione nello stile, possiamo affermare che de Pisis non fu un pittore immediato ed istintivo, ma un artista che seppe rinnovarsi e crescere continuamente, senza mai ancorarsi alle correnti pittoriche del suo tempo, esclusa la parentesi metafisica della sua giovinezza. Possiamo quindi distinguere una serie di periodi in cui dividere la produzione del pittore ferrarese, che spesso coincidono con i suoi spostamenti fisici e che vedono l’influenza delle tendenze artistiche del Novecento, italiane ed internazionali, che però non diventarono mai preponderanti rispetto al suo modo di dipingere molto personale: nell’opera di de Pisis trovano quindi posto ispirazioni metafisiche, impressioniste, romantiche e venete, ma non solo, che si fondevano in uno stile unico. Il giovane pittore, ad esempio, aveva anche assistito ad una “serata futurista” nel 1911, ma egli non aderì mai al gruppo in quanto rifiutava le dichiarazioni programmatiche del movimento di voler fare tabula rasa del passato e dei musei, pur rimanendo interessato alla tecnica letteraria dei futuristi. In generale, parlando della pittura di de Pisis, possiamo affermare che i suoi soggetti più frequenti siano nature morte, interni, vedute e ritratti, e che, per quanto semplici, essi lasciano trasparire la sensibilità di un grande artista. Giorgio de Chirico e Alberto Savinio si recarono a Ferrara nel 1915 per sottoporsi alla visita militare. Dichiarati non idonei a partecipare al conflitto mondiale, essi si stabilirono nella città estense, dove conobbero un Filippo de Pisis appena ventenne. Di lì a poco, si trasferì a Ferrara anche un altro importante artista, Carlo Carrà. Quest’ultimo, assieme ai fratelli de Chirico, «diede vita a degli spazi assurdi e da scatola magica che formavano una specie di prontuario della pittura metafisica, prima che fosse stampato quello del surrealismo». La frequentazione di questi artisti fin dagli anni giovanili esercitò un’influenza decisiva per la formazione del de Pisis pittore, offrendogli stimoli imprescindibili per l’apertura al linguaggio moderno. Quando de Pisis incontrò la Metafisica, egli era prevalentemente uno scrittore piuttosto che pittore. L’artista osservò infatti a proposito di de Chirco: «Io somministravo idee materiali all’amico, lui mi offriva immagini e sensazioni; lui cercava una pittura mai vista, io cercavo le basi di una nuova prosa». Da questa affermazione possiamo anche notare come de Pisis non si poneva come allievo del più anziano de Chirico, ma come una figura al suo pari e anzi quasi complementare al collega. Esistono però anche svariate opere pittoriche di de Pisis che mostrano in modo evidente la sua adesione alla Metafisica anche in pittura, ne sono esempio Natura morta metafisica del1919 o Il pane sacro del 1925. Le caratteristiche della pittura metafisica di de Pisis sono il senso di solitudine e l’assenza di figure umane, alle quali sono preferiti statue e manichini, la malinconia, l’onirismo che sfiora l’incubo, il mistero, la geometricità delle forme, la grecità. Alcuni di questi elementi misteriosi sono da ricondurre all’interesse del pittore per l’esoterismo, che condivideva con la sorella Ernesta, a cui era particolarmente legato in questo periodo della sua vita. Per l’esperienza artistica di de Pisis è fondamentale il breve periodo trascorso ad Assisi, durante il quale decise di dedicare la propria vita alla pittura piuttosto che alla scrittura. Inizialmente, la pittura per de Pisis era soprattutto «un ausilio per registrare le sue curiosità botaniche, entomologiche, antiquarie, o al massimo per replicare gli artisti antichi». Durante il soggiorno ad Assisi, la pittura di de Pisis avveniva en plein air: egli dipingeva infatti soprattutto paesaggi per poi iniziare a concentrarsi sulle nature morte. In entrambi i casi, la pittura di de Pisis, da questo momento e per tutta la sua carriera, si basò sempre sull’osservazione del dato reale. Il pittore, infatti, affermava: «Trovo che con tutto lo spirito di questo mondo, è difficile fare un disegno buono sul serio, senza un appoggio nel vero: in genere io non faccio un tratto se non dal vero e scelto con cura attenta». La prima natura morta marina dipinta da de Pisis fu la Marina con conchiglie del 1916. L’opera risente del rapporto del pittore ferrarese con de Chirico e Carrà e possiamo infatti scorgere in essa i tratti della poetica metafisica. Le nature morte degli anni Venti segnarono l’inizio di un percorso di evoluzione stilistica verso la maturità che il pittore raggiunse durante gli anni parigini. Il giovane artista iniziò a sviluppare quella serie di caratteristiche personali che lo rendono difficile da collocare nelle categorie della storia dell’arte, anche se nelle opere del periodo romano continuano a rimanere alcuni tratti che si rifanno alla pittura metafisica, soprattutto quando il pittore si cimenta nelle nature morte marine. Tali tratti così evidenti andranno poi sfumano quando il pittore farà esperienze artistiche lontane dalla Metafisica, ma rimarranno sempre, in maniera meno evidente, nei suoi quadri. Negli anni romani, infatti, de Pisis prediligeva campiture piene e la definizione puntuale del disegno, risolvendosi in una generale rigidità di forme da ricondurre plausibilmente all’influenza esercitata dal clima di ritorno alla tradizione diffuso in Italia, prima intorno alla rivista romana “Valori plastici” di Mario Broglio , nata per diffondere le idee estetiche della pittura metafisiche e delle correnti d’avanguardia artistica, e successivamente nelle più complesse declinazioni del gruppo Novecento fondato da Margherita Sarfatti , col quale de Pisis entrerà in contatto negli anni parigini. Nelle intenzioni della Sarfatti, attorno alla quale, nel 1922, si erano inizialmente radunati sette pittori Bucci, Marussig, Sironi, Dudreville, Oppi, Malerba e Funi, obiettivo primario del gruppo era respingere le tentazioni individualistiche impegnandosi a partecipare sempre collettivamente alle mostre. In seguito, mettendo da parte la parte preliminare che si riferiva alla produzione artistica di matrice classicista e rivolgendosi invece alla migliore arte italiana, il gruppo si trasforma in «Novecento italiano», allestendo due grandi esposizioni, nel 1926 e nel 1929 a Milano, e molte altre all’estero, a cui de Pisis prende parte. È necessario però sottolineare che, quando nacque il gruppo del Novecento, de Pisis sfruttò l’occasione per esporre insieme ai colleghi, ma non entrò mai effettivamente a fare parte del movimento. Una volta stabilitosi a Parigi, de Pisis ebbe i primi contatti con l’arte francese e venne colpito soprattutto dai capolavori del romanticismo, tra cui prediligeva Delacroix per la sua palette, e dalle opere degli impressionisti. Giunto nella capitale francese, però, egli incontrò anche moltissimi pittori italiani che vivevano all’estero, come de Chirico, Palazzeschi, Senzani e Savinio, con cui condivise alcune mostre. Per opera di Mario Tozzi , infatti, sorse il gruppo Les Italiens de Paris, che aveva lo scopo di valorizzare l’arte italiana contemporanea in Francia. Oltre a Tozzi ne fecero parte anche de Pisis, de Chirico, Severini, Campigli e Paresce. L’atmosfera parigina ebbe un ruolo fondamentale sul mutamento dello stile di de Pisis, che, in seguito l’incontro con la luce della capitale francese, iniziò a dare più leggerezza e ariosità ai suoi soggetti. La prima opera del pittore arrivato a Parigi è Rue des Volontaires (Parigi con la Tour Eiffel) , del 1925, che dimostra fin da subito la vivificazione della tavolozza del pittore a favore di una visione più immediata rispetto alle vedute del periodo romano. Della pittura di questo periodo si può quindi affermare che risenta da un lato del linguaggio moderno francese di Manet e degli impressionisti, e dall’altro del patrimonio iconografico che aveva maturato in Italia. Nel 1932, infatti, Gino Severini scrisse come presentazione delle opere di de Pisis esposte alla XVIII Biennale di Venezia: De Pisis dei francesi ha intelligentemente assimilato quello che più si confaceva alle sue attitudini: per esempio la nobiltà dei toni di Manet, la spigliatezza degli impressionisti senza però l’abuso dei complementari ma usando invece ampiamente del tono locale sapientemente e sensibilmente contrastato . Le similitudini con gli impressionisti sono giustificate dal fatto che de Pisis dipingeva in modo particolarmente rapido, ma ciò non significa condividesse la poetica del gruppo francese dell’Ottocento: le somiglianze sono di tipo tecnico e riguardano soprattutto le pennellate veloci, ma il significato delle opere è completamente diverso. A tal proposito, Elena Pontiggia affermò che «l’attimo di De Pisis non è quello scientifico e atmosferico degli impressionisti: è un’unità di tempo filosofica di chi ha capito che qualunque durata è un’illusione». Le pennellate rapide del pittore ferrarese non vogliono catturare l’istante luminoso, ma sono invece necessarie per catturare nel minor tempo l’immagine, prima che essa cada nell’oblio: «sono pennellate ansiose, che rendono attuale la tecnica impressionista di de Pisis». Una delle opere più importanti del periodo parigino è Natura morta col pesce del1931, dove risulta un’altra volta evidente il legame tra la pittura e la letteratura nell’opera di de Pisis: il pittore, infatti, parlò approfonditamente del quadro nelle Confessioni e Aldo Palazzeschi ne raccontò la genesi nel racconto Il ritratto della regina, per il giornale “L’Europeo”, a vent’anni di distanza. Il quadro raffigura, in primo piano, una natura morta con una carpa, alcuni crostacei e delle verdure, mentre lo sfondo, poco definito, sembra mostrare una chiesa con il campanile, affiancata da una serie di alberi alti e sottili. Lo sfondo è un paesaggio a metà tra il reale e il fantastico, in quanto si possono riscontrare somiglianze con la pianura ferrarese, la Badia di Pomposa e i rilievi della Croara. Il soggetto di questa natura morta è la carpa, che de Pisis dipinse da viva e che, una volta finita l’opera, egli liberò nella Senna. Il pesce non solo era vivo, ma si era dimostrato anche parecchio agitato, trasformando e stravolgendo il senso di questa natura morta: la carpa, da oggetto allegorico deborda nello spazio della vita, è l’arte che interferisce e modifica la realtà . Interessante anche il racconto del pittore stesso, che si sofferma su dettagli cromatici come il piano di «marmo freddo di un davanzale nobile (marmo rosato del Trentino, marmo rosso di Verona)» e il tendaggio rosso, «lacche carminate di Giorgione e Tintoretto, garanzie di Tiepolo e Fragonard», rimarcando quindi anche la componente più veneta della sua pittura. Alla produzione di nature morte de Pisis affiancava a Parigi ancora una volta la pittura en plein air, ma con alcune differenze rispetto a quella prodotta nel periodo romano. Le opere parigine colgono tutta la freschezza della sensazione e la rapidità con cui si consuma l’atto conoscitivo, sempre mirabilmente associate a una grande efficacia descrittiva. Nello snodarsi della lunga successione di scorci della città, realizzati durante l’arco di quattordici anni, si coglie un’evoluzione che investe il piano stilistico; il rinnovamento che coinvolge anche i ritratti e il genere delle nature morte, a partire dalla metà degli anni Trenta, trova nelle vedute la più alta e completa manifestazione. Negli ultimi anni parigini, il colore assume un’autonomia sempre maggiore e diventa più espressivo, il segno è più frammentato e rapido, gli spazi sono meno definiti e più dinamici. Questi esiti stilistici risentirono, oltre che dell’esperienza parigina, anche dei soggiorni londinesi. Dopo l’esperienza delle vedute londinesi de Pisis operò infatti una riduzione della sua pittura, divenendo sempre più attento all’essenziale, meno legato a naturalistiche rifiniture, a indugi calligrafici. Ne sono esempio le opere Ring Square (1935) eseguita a Londra e Strada di Parigi (1938. Durante il lungo soggiorno parigino, de Pisis eseguì anche numerosi ritratti, un genere che sviluppò in maniera maggiore una volta tornato in Italia. Tra i capolavori dell’artista è necessario citare Il marinaio francese del 1930, un’opera che rimanda ancora, per certi versi, alla Metafisica: il pittore ferrarese sembra infatti citare il collega e amico de Chirico ponendo un guanto sullo sfondo, elemento che è presente in alcune opere di quest’ultimo, come Chant d’amour del 1914. La composizione è semplice, sul primo piano è dipinto il marinaio, un giovane con una giubba bicolore e un cappello nero con un pompon rosso, mentre sullo sfondo, di colore azzurro, sembrano fluttuare diversi oggetti. Ancora una volta è quindi interessante notare come de Pisis fu in grado di inserire nei propri quadri elementi che richiamano il lavoro di altri artisti e movimenti, senza emularne lo stile ma integrandolo con le proprie caratteristiche personali. Costretto a tornare in Italia a causa dello scoppio della Seconda Guerra mondiale, dopo un breve periodo a Milano, de Pisis si trasferì a Venezia, città che lo ospitò per tredici anni. Guido Ballo osservava che «Con le sue luci, i colori, i suoi segreti, Venezia rispondeva più di altre al temperamento inquieto dell’artista, che amava la sorpresa il mistero, l’illuminazione improvvisa, il miracolo dell’attimo che continuamente si distrugge e rinasce». In questo periodo la sua pittura fu ulteriormente semplificata, le opere divennero meno dense di segni e l’atmosfera si fece rarefatta, mentre i soggetti rimasero sempre gli stessi, anche se, a partire dall’esperienza milanese, aumentò il numero dei ritratti. Di ritorno dalla Francia, soprattutto durante il soggiorno a Milano, de Pisis si concentrò quindi in modo maggiore sui ritratti, pur non cessando di dipingere i soliti fiori, interni, vedute e nature morte. A Venezia dipinse numerosissimi ritratti di amici, militari, gondolieri, pugili in cui si possono riscontrare caratteristiche simili: un’attenzione particolare al colore dell’incarnato, il disegno accentuato delle labbra, il modo di definire il profilo evidenziando le linee eleganti del collo e il disegno degli occhi “stellati”. Anche durante la malattia continuò a dipingere ritratti, che però diventarono sempre più semplificati, definiti solamente da linee sottili. Ne è un esempio L’infermiera Norina , del 1949, ritratto che esegue durante il ricovero presso “Villa Verde”. Tra le correnti pittoriche che influenzarono l’opera di de Pisis è necessario citare l’impressionismo e la Metafisica, ma non è di meno la pittura veneta. Giovanni Cavicchioli, in una monografia dell’artista del 1932, scrisse infatti: «Io concedo ai critici dotti le derivazioni di de Pisis dagli impressionisti francesi, dalla scuola ferrarese, e da qualsiasi altra pittura… E perché non nominare anche Guardi, Tiepolo o Spadini?» . Ulteriore obiettivo della mostra, quello di provare a portare alla luce un altro de Pisis, inquieto e profondo, rivolto ad un’indagine sofferta sui moti dell’animo e della psiche, ponendosi in un confronto empatico proprio con le cose e i luoghi più semplici e quotidiani, non solo con lo sfavillio delle grandi metropoli all’alba della modernità. È noto che sovente molti oggetti, alcuni in modo ricorrente e con affascinanti variazioni di forma e dimensione, campeggiano nei suoi dipinti: sono questi elementi iconografici e iconologici della sua pittura che la mostra a CUBO vuole appunto porre in evidenza, quali “spie” affascinanti per indagare l’aspetto più intimo e complesso del grande Maestro. Il progetto espositivo si completa di un catalogo che oltre alla riproduzione di tutte le opere in mostra accoglie le vedute espositive nelle due sedi museali ed è arricchito sia dai contributi delle due curatrici, Ilaria Bignotti e Maddalena Tibertelli de Pisis, sia di una ricca selezione antologica degli scritti del Maestro.
CUBO Museo d’Impresa Unipol Bologna
Filippo de Pisis. Nascita di un quadro
dal 18 Ottobre 2024 al 18 Gennaio 2025
Lunedì dalle ore 14.00 alle ore 19.00
Martedì dalle ore 9.30 alle ore 23.30
dal Mercoledì al Venerdì dalle ore 9.30 alle ore 20.00
Sabato dalle ore 9.30 alle ore 14.30
Domenica Chiuso
Filippo de Pisis.Nascita di un quadro_Installation view CUBO in PE@Vincenzo Ruocco