Giovanni Cardone
Ho sempre visitato la Cappella di San Severo da quando avevo venti nel tempo ho provato sempre la stessa emozione, perché io penso che sia un luogo pieno di mistero che ti rapisce e al tempo stesso ti affascina come la città di Napoli quel vivere tra luci ed ombre. Raimondo di Sangro Principe di San Severo fu alchimista, letterato, pittore, dalle idee rivoluzionarie, il VII principe di San Severo, duca di Torremaggiore, marchese di Castelnuovo, principe di Castelfranco, signore di molte città, Grande di Spagna di prima classe, gentiluomo di corte di sua Maestà Carlo di Borbone re di Napoli e Sicilia, comandante dell’Ordine Equestre di San Gennaro, nato a Torremaggiore – Foggia nel 1710, discendente da stirpe Carolingia, figlio di don Antonio e di Cecilia Caetani d’Aragona, questi era Raimondo de Sangro, personaggio indissolubilmente legato alla Cappella Sansevero. Infatti è impossibile parlare dell’uno senza parlare dell’altra. Per comprendere il messaggio storico-artistico, spirituale, filosofico della Cappella Sansevero, è necessario conoscere la vicenda biografica del suo mecenate, Raimondo di Sangro Principe di Sansevero. La fonte principale per la ricostruzione di gran parte della sua vita è, per ricchezza e minuzia di informazioni, il secondo volume dell’Istoria dello Studio di Napoli (1754) di Giangiuseppe Origlia; fondamentali sono anche l’anonima Breve nota di quel che si vede in casa del Principe di Sansevero (la prima edizione, del 1766, fu corretta e ampliata nel 1767) e le opere pubblicate dallo stesso di Sangro, nonché la sterminata messe di notizie contenute in guide e resoconti di viaggiatori settecenteschi, epistolari, testi letterari e documenti d’archivio nazionali e internazionali. Egli fu affidato alle cure del nonno Paolo, sesto principe di Sansevero e cavaliere del Toson d’Oro, a un anno Raimondo fu trasferito a Napoli, allora capitale del Viceregno austriaco, ove i suoi antenati avevano fissato la propria dimora in un imponente palazzo in largo San Domenico Maggiore. A Napoli egli ricevette la prima educazione e fu avviato allo studio di letteratura, geografia e arti cavalleresche. Ben presto, però, si comprese che la sua era una mente eccezionalmente dotata. Racconta infatti l’Origlia che “la soverchia vivacità del suo spirito, e la troppa prontezza” indussero il nonno e il padre tornato da Vienna intorno al 1720 a inviarlo a Roma presso il Collegio dei Gesuiti, la scuola più prestigiosa dell’epoca. Sotto la direzione di insigni maestri, Raimondo si dedicò con sorprendente profitto alla filosofia e alle lingue (arriverà a padroneggiarne almeno otto), alla pirotecnica e alle scienze naturali, all’idrostatica e all’architettura militare. Su quest’ultima materia compose, ancora giovanissimo, un trattato rimasto inedito. Nel seminario romano ebbe modo di conoscere anche le opere e il museo naturalistico di Athanasius Kircher, celebre scienziato ed egittologo seicentesco, i cui testi erano fitti di rimandi alla tradizione ermetica. Il 1729 segnò il suo sbalorditivo esordio da inventore: dando prova del suo “meraviglioso intelletto”, egli progettò, in occasione di una rappresentazione teatrale, un ingegnoso palco ripieghevole, che destò lo stupore perfino di Nicola Michetti, ingegnere dello zar Pietro il Grande. Intanto, morto il nonno paterno, era stato Raimondo a ereditarne nel 1726 il titolo e il patrimonio, grazie alla rinuncia del padre: si era venuto così a trovare, a soli sedici anni, alla guida di una delle più potenti famiglie del Regno. Terminati gli studi nel 1730, egli visse tra Napoli e Torremaggiore fino al 1737, anno in cui si stabilì definitivamente in Palazzo Sansevero, nel cuore del centro antico di Napoli, che nel 1734 era divenuta capitale del nuovo Regno guidato da Carlo di Borbone. Quando il principe convolò a nozze con la cugina Carlotta Gaetani dell’Aquila d’Aragona, ereditiera di molti feudi nelle Fiandre, Giambattista Vico dedicò loro un sonetto e Giambattista Pergolesi musicò la prima parte di un preludio scenico in onore degli sposi. In virtù del suo prestigio e della intimità con il giovane sovrano, Raimondo fu nominato gentiluomo di camera con esercizio di Sua Maestà e, nel 1740, fu insignito del titolo di cavaliere dell’Ordine di San Gennaro, onorificenza riservata a una ristretta élite prescelta dalla Corona borbonica. Con l’animo sempre “applicato a nuove scoperte”, egli si distingueva intanto per le sue invenzioni: già nel 1739 aveva infatti realizzato un’innovativa macchina idraulica e un archibugio in grado di sparare sia a polvere che ad aria compressa, di cui fece dono a Carlo di Borbone. Come per ogni buon “mago” che si rispetti, anche sulla morte del principe Raimodo di Sangro, c’è un alone di mistero leggendario: si crede che abbia voluto sfuggire alla morte. Infatti con l’aiuto della chimica e delle forze del male, come narra la leggenda, egli dispose tutto in modo di poter resuscitare dopo qualche mese dalla morte. Volle restare solo per preparare il suo incantesimo e fece allontanare la sua famiglia, mandandola presso le sue tenute in Sansevero. La sua morte sarebbe dovuta durare nove mesi, facendo credere a tutti che era partito da Napoli, lasciando le istruzioni al suo aiutante, uno schiavo moro, il quale seguendo le sue indicazioni lo tagliò a pezzi e lo mise in una cassa dalla quale sarebbe poi uscito integro, da solo, senza ausilio alcuno, a tempo prestabilito, resuscitato ed immortale. Ma, come in ogni cosa, c’è sempre un imprevisto: il Principe non aveva messo in conto il fatto che la famiglia si fosse insospettita dall’aver ricevuto sue lettere, nelle quali rispondeva a domande che essi non avevano posto. I congiunti costrinsero allora il servo a svelare il segreto, si precipitarono quindi sulla cassa in cui era rinchiuso il cadavere e la scoperchiarono, prima del tempo in modo da far fallire l’incantesimo! il Principe fece in tempo ad uscire, ma cadde definitivamente morto, non avendo rispettato i tempi del sortilegio. Ma dal Principe ci si poteva aspettare di tutto: il suo corpo non si è mai trovato; ancora oggi a Napoli si sostiene che nel vicolo dove è ubicato il palazzo del principe di Sangro, di notte si odono passi e i tintinnii di speroni, rumori notturni, del frastuono degli zoccoli dei cavalli della carrozza del principe, lungo la via Francesco de Sanctis, nelle notti di luna nera. Mentre nella notte di Natale si intravedono le fiammelle delle candele dai finestroni della Cappella Sansevero e si sente musica sacra proveniente da un organo. L’alone di mistero intorno allo scienziato, alla sua dimora, alla sua cappella esercita ancor oggi un fascino morboso e suggestivo che mai si estinguerà. Raimondo di Sangro Principe di San Severo fu anche Gran Maestro della Massoneria Napoletana nella descrizione fatta dall’illuminista Antonio Genovesi il quale dice: “Signore di corta statura, di gran capo, di bello e gioviale aspetto, filosofo di spirito, molto dedito nelle meccaniche, di amabilissimo e dolcissimo costume, studioso e ritirato, amante la conversazione di uomini di lettere”. Entra in scena e subito la domina: i vicoli si animano,mille occhi curiosi furtivamente scrutano dalle finestre, da dietro i carretti, dai crocchi, dalla chiesa e dall’osteria. Tutta la massa del popolo che si assiepa intorno al suo palazzo rispetta e riverisce “sua Eccellenza ‘O Principe” ma anche lo teme. “Ssst jesce ‘o Principe”. Dai bassi e dalle botteghe sguardi indagatori seguono, senza darlo a vedere la carrozza con i valletti intento di scoprire la destinazione del Principe. È un personaggio strano, come il suo palazzo, e quella sua chiesetta che ha riempito di statue strane che non si capisce che hanno a che fare con la religione: Come quella donna “che da sotto un velo di marmo trasparentissimo ti sbatte in faccia due zizze belle tonde e che lui ha chiamato La Pudicizia”, o quel “povero cristo di pescatore finito nella sua stessa rete e che si dibatte per liberarsi e che ha chiamato il Disinganno”. Il popolo rispetta e teme il Principe,ma non lo capisce. E come potrebbe? Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero, è senza dubbio uno dei personaggi più affascinanti e misteriosi del Settecento napoletano. Non si può comprenderne appieno la figura, o capire l’essenza delle sue opere se non si considerano le sue origini ed il contesto storico in cui visse. Fu scrittore arguto e brillante, intellettuale illuminato dall’ingegno vivacissimo e dai molteplici interessi, dedito a studi e ricerche spesso discutibili. La sua conoscenza del pensiero dell’epoca, è dimostrata dalla sua biblioteca: 1600 volumi circa con opere autografe di Pierre Bayle, Denis Diderot, Montesquieu, Voltaire, Condillac, Rousseau, e tanti altri. Innumerevoli le opere a carattere tecnico-scientifico. L’unico testo di carattere cabalistico era Il Conte di Gabalis, scritto dall’abate francese Villars de Mountfauçon, che il Principe aveva nell’edizione originale francese del 1742 e che aveva tradotta in Italiano e pubblicata nel 1752. Esponente di primo piano della nobiltà del Regno,fu tuttavia aperto alla borghesia del tempo,considerando nobili “coloro che mostrano ingegno virtù ed onestà”, Gran Maestro della Massoneria napoletana dalla personalità anticonformista e poliedrica, dopo aver suscitato l’ammirazione e la curiosità dei contemporanei, ma anche forti ed irriducibili opposizioni, ha continuato ad esercitare, nel corso dei secoli, un fascino del tutto particolare, assumendo talvolta gli inquietanti tratti di uno stregone, dell’iniziato e dell’alchimista, dell’inventore, sempre, tuttavia, quelli di un personaggio quanto mai enigmatico. Sarà per tutte queste caratteristiche, per l’enfasi un po’ guascona con cui presentava se stesso e ogni sua creazione, che tra gli animi più avvedutiun’aura di maldicenza ne accompagna la memoria. “O principe è ‘nu riavulo”, ripete ancora e sempre la voce del vicolo; consufficienza e una punta di fastidio, la casta dei sapienti precisa: “il principe è solo un ciarlatano, credulo nelle antiche fandonie sulla magia alchimistica”. E lui rivendicava la magia quale scienza di ciò che è ancora ignoto in grembo alla Natura. Magia pervasa dal soffio del divino. In questo senso si voleva Mago. Ma la vita del Principe de Sangro è un insieme di simbologie alchemiche, magiche, massoniche ed ermetiche, in accordo con l’originariadottrina egizia, secondo la quale, per ottenere l’illuminazione bisogna operare un cammino che prevede di tagliare simbolicamente a pezzi il proprio corpo ed aspettare che esso attraversi la sua fase di putrefazione affinché risorga a nuova vita, una vita dominata dallo spirito. È la trasposizione del mito della morte e resurrezione di Osiride che, posto all’interno di un sarcofago delle sue dimensioni e fatto a pezzi dal fratello Seth, verrà ricomposto da Iside per dare alla luce il figlio Horus, lo spirito splendente d’oro. È ormai noto che la società dei Liberi Muratori in Europa ebbe il suo primo embrione in Calabria con la scuola Pitagorica, denominata per antonomasia Scuola-Italica, ed i misteri di Iside ed Osiride, coi rispettivi rituali delle iniziazioni arcane e misteriose. Dato che si vuole che lo stesso Numa Pompilio sia stato iniziato a questa Scuola misterica, possiamo dire che Scuola Pitagorica, Scuola Italica e Massoneria Italiana sono da sempre legate da un unico filo che parte dall’Egitto, ed in ossequio alle loro origini, i liberi muratori del Grande Oriente di Napoli si mostrarono sempre gelosi nel custodire le dottrine dell’Ordine ed, a fronte di qualunque ostacolo, ne propagandarono i principi che sono pervenuti sino a noi attraverso molti secoli, I Figli del Sebeto mostrarono sempre coraggio e virtù nell’affrontare arditamente i patiboli e col “non far di berretto o inchinarsi giammai all’odiatissimo dispotismo”. Fu per effetto di questi principi che si proclamò in Napoli il Regime Repubblicano e la Repubblica Partenopea, che costava al popolo tanti sacrifici, non così facilmente si sarebbe spenta se non fosse stata stroncata dal fanatismo religioso appoggiato il dispotismo. Nel napoletano il secolo dei lumi si caratterizza come un momento di fervente attività in ogni campo. È un periodo storico, che lascia una traccia profonda nella storia del Mezzogiorno d’Italia, sia sotto l’aspetto culturale che per gli avvenimenti di carattere socio-economico che ebbero a verificarsi. Può ben dirsi, per le iniziative di varia natura che vi si presero, che questo secolo contribuì notevolmente a creare una Napoli proiettata nel futuro. Il suo apporto ad uomini illuminati come e non fece mancare il suo contributo in questo secolo particolare alle donne. Fu appunto questa notevole ripresa culturale della Napoli settecentesca che, assieme all’incrementato scambio con altri paesi, dette quello che poi venne definito: «l’Illuminismo napoletano» che anche sul piano socio-politico, doveva porre i presupposti per quella grande pagina di storia che fu la Rivolta e la gloriosa Repubblica Partenopea. Grande posizione assume in questo quadro, appena accennato, il fenomeno Massonico, per gli uomini che ne furono i propulsori ma anche per la tenace azione da essa assolta nella storia di questo secolo. Fu infatti dalla Massoneria Napoletana che si manifestarono importanti componenti ideali che troveranno poi la loro identificazione più evidente, nei paesi più liberali. Nel luglio del 1750 viene iniziato Libero Muratore Raimondo di Sangro Principe di Sansevero, il quale l’anno successivo assume il titolo di gran maestro.
Questo aprirsi di Raimondo alla borghesia, questo considerare «nobili» coloro i quali mostrano ingegno, virtù, ed onestà, è di certo dovuto all’evolversi del suo pensiero massonico. Tale attività la mantenne fino al 1751 anno in cui, Carlo III di Borbone dovette con un editto cancellare le logge napoletane e bandire la massoneria dal regno. Comunque la Napoli di quegli anni è da considerarsi un vero crogiuolo di attività esoteriche, di sodalizi iniziatici di diversa matrice, che, amalgamatisi gradatamente fra loro, originarono un complesso regime esoterico di natura sincretica, dalla prevalente e spiccata matrice italico-egizia-caldaica. È proprio a Napoli che nacque e prosperò quel centro tradizionale che, secondo Brunelli, “di volta in volta diede manifestazioni di sé attraverso l’ispirazione di fratellanze esoteriche di particolare importanza” a noi noti come “Rito di Misraim, Alta Massoneria, Ordine della Stella Fiammeggiante”; strutture iniziatiche che, come osserva il Kremmerz, “originatesi dalle scuole magiche osiride e, propriamente di origini italiche, e passate insospettate fino alla seconda metà del secolo XVIII, (sono) ritornate poi nell’ombra della storia, tanto che ora non si sa dove stiano e se ancora esistano”. Ad ogni modo, ancora oscuri e scarsamente documentati appaiono i primi indizi dell’ermetismo di ispirazione egizia nel pensiero del secolo dei “lumi” che, nella Massoneria, troveranno i “segni” più incisivi della loro riscoperta. La fondazione di una loggia con connotazioni egizie, anche se non sicuramente documentata sembra risalire al tempo del viceregno austriaco in Napoli, ma dati più certi si hanno per la metà del XVIII secolo. La notizia è in buona parte confermata da un ms. compilato appena dopo il 1750 da un anonimo Curioso dilettante di novità. La particolarità dell’officina napoletana della Perfetta Unione che, come vedremo, assumerà la denominazione di “Primaria Loggia”,era quella di far uso di un sigillo caratterizzata da una piramide sormontata dal sole raggiante, davanti alla quale vi era la sfinge, e la rappresentazione della luna crescente. Dalla “Lettera Apologetica” si rileva la profonda erudizione del di Sangro relativamente agli Egizi e alle loro conoscenze delle costellazioni, del ritrovamento del Corpus di conoscenze metafisiche di Adamo e delle opere di Ermete Trismegisto. Inoltre, da profondo conoscitore della lingua ebraica, il Sansevero era in grado di consultare gli antichi testi cabalistici nella loro stesura originale, anche se per evitare gli strali della censura ecclesiastica,fu costretto ad attribuire l’origine del geroglifico, e quindi la nascita dell’intelligenza dell’umanità, ad Adamo e alla “ebraica nazione”. In questo modo, usando un linguaggio ironico, sembrava accettare la generale impostazione della chiesa che la conoscenza divina passi dalla sapienza ebraica a quella dell’Egitto e che questa sia stata trasmessa da Misraim, nipote di Cham. Questa affermazione apparentemente non eretica viene ribadita dal termine Memphis-Misraim con il quale più che far precedere una tradizione all’altra si tende a far comprendere che esse si trovano entrambe ad oriente del nostro mondo. Dopo il “tradimento” del principe e la fuga del barone Tschudy, la Primaria Loggia o della Perfetta Unione, presumibilmente, venne “assonnata”. Tale gesto da alcuni fu interpretato come atto di vigliaccheria, da altri come unico atto possibile per salvare i fratelli, disciogliendo l’ordine. Il progetto del di Sangro era di far risorgere la nobiltà napoletana, spesso accusata di essere dedita solo alla vita di corte, alla caccia, e di essere legata solo ai propri privilegi feudali. Riscattarla quindi dal letargo per aprirla ai fermenti innovatori che in Europa si facevano sentire. Dopo i fatti del 1751,la repressione,la scomunica ed il tentativo a vuoto dell’Inquisizione di tradurlo a Castel Sant’Angelo, Raimondo si vede costretto a chiudere la tipografia in cui stampava i manoscritti da lui stesso tradotti, a volte sotto pseudonimo. Due gesuiti, in particolare, tallonavano da presso il Principe: Innocenzo Molinari e Francesco Pepe che riferivano ai responsabili superiori dei «servizi» vaticani circa le opere e le iniziative del Principe. Soprattutto si scagliavano, nei loro rapporti, contro le opere «pericolosamente scientifiche» che Raimondo stampava e divulgava. Costretto al silenzio, Raimondo di Sangro non trovò altra maniera di dialogare con il mondo intelligente che quello di scrivere il proprio testamento spirituale nella Cappella, da lasciare a quella parte di mondo che, animata dalla sete della conoscenza, avrebbe profuso sforzi ed energia per interpretarlo. Mancano notizie certe fino al 1768, data di una petizione da parte di Jean Rodolphe Passavant alla Grand Lodge of England per essere autorizzato a ricostituire in Napoli la loggia regolare La Perfetta Unione, portandola, successivamente, alla dignità di Gran Loggia Provinciale. In seguito Raimondo di Sangro Principe di San Severo riuscì ad avere un grande successo che coinvolse la borghesia di tutta Europa ma questo però portò l’invidia del clero locale che costrinse per la prima volta nel suo regno era il 1751 Carlo III di Borbone emanò un editto che condannava e proibiva la Massoneria nel Regno. Dopo la sua rinuncia all’appartenenza all’Ordine Massonico,deluso ed amareggiato, il Principe si concentra sui lavori della sua Cappella e sulle sue amate ricerche: “abbandonando ogni altro intrapreso suo studio nello stesso anno 1751, pensò di darsi del tuffo allo studio della Fisica sperimentale come la più profittevole per l’umana società, con animo di tentar nuove esperienze, e illustrar con nuove scoperte una si famosa, e necessaria Scienza”. Intraprende quindi delle nuove esperienze fisiche e fa costruire in un sotterraneo del suo palazzo una fornace, sul tipo di quelle adoperate dai vetrai”ma di una particolare costruttura”, aggiungendovi diversi altri forni “a fuoco di riverbero”; poi, in un altro locale, fece installare un “Laboratorio Chimico con ogni sorta di fornelli, di Vasellami, o di ordigni per qualunque operazione”.
Realizza dei cristalli e delle pietre dure artificiali e riprende a fare degli esperimenti, già precedentemente tentati, sulla rigenerazione della vita dei granchi e sulla formazione del sangue dal cibo, facendo “altre belle scoperte… alcune delle quali sembrano fuori dell’ordine della Natura”. Fra queste va ricordato soprattutto il cosiddetto Lume Eterno, ampiamente descritto nelle Lettere indirizzate al Cavaliere fiorentino Giovanni Giraldi ed all’Abate Nollet dell’Accademia Reale delle Scienze di Parigi. Nell’orazione del Principe di Sansevero riportata nell’opera di H.T. Tschudy che dice: “Sono molto lusingato di potervi dare questo titolo, e di poter col tempo rivelarvi tutte le gloriose prerogative che esso comporta. Accettati, per il vostro medesimo desiderio e per un suffragio che vi assicurano le vostre qualità personali, nella nostra rispettabile società, dopo aver sfidato i pregiudizi del secolo, le opinioni del profano, dopo aver superato con costanza precisa le prove differenti che vi hanno condotto nell’augusto santuario della massoneria, è infine giusto che vi metta a parte della luce che avete cercato con tanta cura, e non contento di aver colpito i vostri occhi con il vivo fulgore dei suoi raggi, che io vi riscaldi il cuore, lo animi, illumini la vostra anima e il vostro spirito, svelandovi i misteri delle nostre logge, facendovi conoscere il vero oggetto dei lavori, lo scopo vero della nostra associazione, le regole per la nostra condotta ed i principi della nostra morale. Tutto ciò che facciamo è relativo alla virtù, è il suo tempio che noi costruiamo, e i semplici e grossolani strumenti di cui facciamo uso non sono che i simboli dell’architettura spirituale di cui ci occupiamo. Voi vedrete, fratelli, avanzando nei gradi dell’Ordine, cosa che il vostro zelo meriterà senza dubbio, fino a che punto l’allegoria ne sia sottilmente sostenuta: io posso, per adesso, rivelarvi solo quei segreti ai quali lo stato di apprendista vi permette di essere iniziati: non traccerò la storia della nostra origine; consultate i libri santi, voi la troverete all’epoca della sublime costruzione che consacrò con la saggezza del più grande dei re, un magnifico monumento alla gloria e al culto dell’Eterno. Questa breve spiegazione, fratelli, dissipa il prestigio che vi ha potuto preoccupare prima di conoscervi… noi non ci lasciamo ingannare né dai nostri principi, né dai nostri sentimenti: riuniti dallo stesso zelo noi siamo fratelli e ne facciamo gloria… Opere simili di una stessa provvidenza, siamo tutti uguali, la nascita, i ranghi, la fortuna non ci fanno uscire da questo giusto livello… Uomini semplici, modesti nei piaceri, essenziali nelle amicizie, fermi negli impegni, puntuali nei doveri, sinceri nelle promesse.” Le sue scoperte scientifiche divennero anche nel contempo tacciate di alchimia e magia tant’è vero che i riti usati da Raimondo di Sangro furono: “Il Rito egizio di Misraim, era un alchimista che attraverso lo studio della cabala e dell’ermetismo, si era avvicinato all’Ordine Rosacrociano, divenendone un adepto, come dimostrano i suoi studi, le sue scoperte, la stessa simbologia che volle dare ai gruppi simbolici della Cappella di Sansevero. Fu uno di quelle guide dell’umanità che solo periodicamente compaiono su questa terra, per essere di esempio, con l’azione e con il servizio che all’umanità stessa rendono. Raimondo di Sangro, che pur essendo vissuto nell’Era dei Pesci, era nato sotto il segno astrologico dell’Acquario, seppe essere, con l’azione di tutta la sua vita operosa, uno spirito puro proiettato nell’Era Nuova, ad indicare ai suoi simili, come facendo fiorire la rosa sulla sua Croce, dovrà essere l’Uomo dalla mente concreta dell’Era dell’Acquario. Il Principe voleva a tutti i costi essere padrone di quella sottile linea di confine che passa tra la vita e la morte,ossia la soluzione della immortalità terrena. Si racconta, che uccise sette cardinali e che con le loro ossa realizzò sette seggiole, ricoprendone il fondo con la loro pelle. Si narra che, quando sentì avvicinarsi la morte, provvide ad organizzare la sua resurrezione.
L’ambizioso progetto era quello di creare un luogo magico,dove chi avesse la conoscenza dell’Arte Regia (l’Alchimia) e delle regole della Massoneria, avrebbe poi decifrato il messaggio nascosto dal Principe nelle sue opere. Un messaggio tra il sacro e profano, tra mitologia e teologia, tra il naturale ed il sovrannaturale, il tutto coronato dalla sua ossessione verso il simbolismo e verso quella sapienza che deriva dagli antichi Egizi. Non più scrivendolo nei libri ma criptandolo nelle opere raccolte nella sua,la cappella costruita su un luogo dove anticamente vi era un tempio dedicato alla dea Iside. Un messaggio non ancora svelato ma, come le sue opere, semplicemente “velato” da un simbolismo allegorico. Quel “velo” sotto il quale s’intravede la vera realtà dell’esistenza umana. Solo l’occhio attento di colui che ha intrapreso il cammino dell’iniziato riuscirà a carpirne il vero significato. Un significato che non ha più nulla di arcano se la conoscenza ha donato le chiavi. In tal modo si spiega anche l’uccisione dei sette cardinali e sette è il numero dell’Illuminazione e corrisponde alle sette chiese dell’Apocalisse o ai “Sette Saggi” dei libri della fondazione egizia, iscritti sulle pareti del tempio di Horus a Edfu. Si tratta, della forza del serpente che si snoda lungo la colonna vertebrale dell’uomo e che, attivando tutti i sette centri energetici, dona illuminazione e vita eterna. Un simbolismo che si ritrova nel caduceo del dio Mercurio, presente all’interno della cappella nelle mani della statua della “Sincerità”. Il simbolismo che impiegò il de Sangro, probabilmente volontariamente “mitizzato” dai suoi “discepoli”, è riscontrabile proprio sull’altare della cappella, dove è visibile un volto dorato di chiara ispirazione sindonica. Gli alchimisti, eredi di una tradizione antica, consideravano la Sindone quale”veste del corpo di gloria” del risorto, cioè il raggiungimento della Pietra Filosofale. Questo spiega anche perché il Principe volle nella sua cappella la statua di un Cristo “velato” dalla Sindone in quanto essa era simbolo di quell’immortalità dalla quale era tanto ossessionato. Il principe se ne andava in un giorno di primavera. Il 22 marzo 1771, Sessantun anni appena compiuti. Un uomo relativamente ancora giovane. Che da tempo, però, avvertiva dolori, soffriva. Aspettava, da un giorno all’altro, che la sua compagna di sempre, la morte, lo chiamasse a sé per l’ultima e definitiva volta, e serenamente era spirato, in pace con se stesso e con la Chiesa come attesta l’atto di morte: “A’ 22 Marzo 1771.L’eccellentissimo Signor don Raimondo de’ Sangro, marito della eccellentissima signora donna Carlotta Caietani d’Aragona, Principe di Sansevero, abitante nel proprio palazzo, ricevuti i Santissimi Sacramenti, morì in Comunione di Santa Chiesa, a di detto, e fu seppellito nella propria Cappella pubblica; era dell’età sessantadue anni circa” . Destino curioso. Morto lui, si perde ogni traccia delle sue mirabolanti invenzioni. Ne resta una descrizione non sempre chiara, negli scritti di suo pugno o da lui ispirati, nulla più. Volatili, pura intenzione, restano una serie di opere spesso annunciate mai tradotte nero su bianco. I funerali furono solenni, fastosi, come si addiceva a un nobile del suo rango. Tra velluti, ori, argenti, la pompa, e anche questo era da mettere in conto, prese il sopravvento sulla tristezza, che solo si poteva leggere nei tratti tirati di Carlotta Gaetani e nello sguardo compunto di qualche amico. La primavera aveva fatto il suo ingresso proprio il giorno precedente.