al Museo Maxxi di Roma
Giovanni Cardone
Fino al 3 Dicembre 2024 si potrà ammirare al Museo Maxxi di Roma la mostra dedicata ai Settanta anni della Televisione e ai Cento anni della Radio a cura di Alessandro Nicosia con la collaborazione trasversale di diverse strutture della Rai – fra cui Direzione Teche, Direzione Produzione TV, Museo della Radio e della Televisione, Centro Ricerche e Innovazione Tecnologica, Canone Beni Artistici e Accordi Istituzionali, Direzione Comunicazione è organizzata e prodotta da C.O.R. Creare Organizzare Realizzare sotto il patrocinio del Ministero della Cultura. Dal 1924 ad oggi la comunicazione radiotelevisiva ha giocato un ruolo chiave nella creazione dell’identità nazionale e nell’evoluzione culturale del Paese. La Radio prima, la Televisione poi,sono entrate nelle case di tutti gli italiani portando con sé intrattenimento, cultura, informazione, sport e divulgazione scientifica,modellando e riflettendo i principali cambiamenti sociali degli ultimi cento anni. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla nascita della Televisione e della Radio apro il mio saggio dicendo : Sono sempre rimasto affascinato dalla Radio ancora oggi ascolto tantissime trasmissioni, posso affermare che la nascita della radiofonia si colloca alla fine dell’Ottocento con la nascita dell’elettricità e delle grandi industrie, in un momento in cui il cambiamento umano e antropologico ha a che fare con il vissuto dell’uomo e della sua concezione spazio-temporale. La radio, con la sua nascita, ha determinato i caratteri dell’immaginario sociale e, insieme alla televisione, è stata l’agente principale attraverso la quale l’esperienza culturale della modernità si è concentrata nella dimensione pervasiva e invasiva dell’ascolto domestico. Mezzo senza tempo, è stata lo strumento più importante per la comunicazione e ha costruito nel tempo una piattaforma per un discorso sempre più democratico e diversificato. L’invenzione della radio è il prodotto di una serie di numerosi esperimenti che si sono tenuti alla fine dell’Ottocento e che rivelavano la possibilità di trasmettere informazioni attraverso le onde elettromagnetiche, dette onde radio, che viaggiavano nell’aria e potevano essere intercettate da appositi strumenti. I pionieri di questa scoperta furono lo scozzese James Clark Marwell, teorico dell’elettromagnetismo, che nel 1864 scoprì la possibilità di mandare segnali attraverso l’etere e il tedesco Heinrich Rudolph Hertz che nel 1886 – 1887 ne dimostrò, attraverso sperimentazioni, l’esistenza. Gli esperimenti di Hertz, infatti, provarono l’esattezza delle teorie di Marwell sulla propagazione delle onde luminose e dimostrarono che potevano essere generate delle onde da una sorgente elettrica. Nel 1890, un fisico francese Edmond Brandiy, seguendo i risultati del professor Temistocle Calzecchi Onesti riuscì, mediante un dispositivo chiamato “coherer” a rivelare queste onde. Il mondo scientifico di allora le pensò come pura curiosità, senza grandi applicazioni pratiche, ma la scoperta destò l’attenzione di due fisici intraprendenti, l’italiano Guglielmo Marconi e il russo Aleksander Stepanovič Popov i quali, negli stessi anni tra il 1895 e il 1896, nonostante vivessero in zone totalmente diverse, iniziarono a lavorare, senza saperlo, allo stesso progetto, cioè realizzare uno strumento capace di inviare e ricevere segnali a distanza. Popov, considerato un’autorità in campo elettrico, più volte chiamato dalla Marina Militare per consulenze e interventi tecnici, si aggiornò costantemente sui lavori di Hertz e Brandiy e costruì un ricevitore idoneo a captare segnali emessi da lontano e ne dimostrò poi il funzionamento durante alcuni esperimenti a San Pietroburgo. In Italia, il ventunenne Guglielmo Marconi non stava certo con le mani in mano e a Pontecchio Bolognese, “nel 1895, acquistò alcuni componenti e preparò un trasmettitore e un ricevitore radiotelegrafo che sperimentò nella città natale. L’apparato di trasmissione e di ricezione erano separati da una collina, i segnali Morse furono ricevuti a circa due chilometri di distanza dal fratello di Marconi che segnalò il successo della prova con un colpo di fucile. Il primo esperimento di telegrafia senza fili fu compiuto, così anche la prima trasmissione di un segnale su onde radio. Marconi poi perfezionò alcuni dispositivi, tra cui il “coherer”, e introdusse l’antenna, elemento fondamentale del sistema” . Le autorità italiane, però, non avevano intuito le potenzialità delle ricerche di Marconi e l’inventore dovette trasferirsi a Londra per proseguire il lavoro dove l’interesse del potenziamento delle reti di comunicazione era molto forte. Qui proseguì il suo lavoro e poté avviare alcune collaborazioni importanti. “Il 5 marzo del 1896 presentò la richiesta per brevettare le proprie migliorie alla telegrafia senza fili, ossia il primo prototipo della radio, anticipando di qualche settimana la prima trasmissione radio di Popov. La corsa all’invenzione del secolo era stata vinta da Marconi, anche se in Russia, tutt’ora, non sono molto convinti” . La conoscenza della verità storica sulla paternità dell’invenzione della radio è strutturata nella rigorosa analisi storica, scientifica e tecnica dell’opera di Marconi. Il segreto del successo, anche se non è mai stato rivelato nei testi di storia della scienza e della tecnica è rappresentato dai 3 fondamentali eventi, verificatisi nel 1895, come già detto, nella villa paterna nei pressi di Bologna. Prima di tutto, l’invenzione di una originale sorgente elettromagnetica che, impiegata come trasmettitore, permise a Marconi di scoprire che l’energia irradiata poteva raggiungere distanze che le teorie scientifiche dominanti negavano nel modo più assoluto; poi l’elaborazione di uno strumento ricevente in grado di registrare un messaggio Morse a distanze che si misuravano già in chilometri, come dimostrano gli esperimenti della collina e del campanello; infine, la fondamentale scoperta della legge fisica che permetteva di prevedere con sicurezza la portata di trasmissione del suo sistema ingegneristico in base all’altezza e alla forma geometrica delle sue antenne. Tutte queste scoperte e invenzioni sono state le uniche che hanno potuto far credere all’immediato sviluppo delle radio comunicazioni. Per quanto riguarda il fisico russo Popov, fu lui stesso a riconoscere a Marconi la primogenitura sulla telegrafia senza fili, infatti, il 14 luglio 1902 definì l’Italiano “Le pere de la telegraphye sans fil”. “Naturalmente il primo apparecchio non era molto potente, ma lo stesso Marconi, che nel 1909 vinse il Nobel, provvide a migliorarlo per smentire gli scettici che pensavano fosse impossibile utilizzare le onde radio per comunicazioni su lunghe distanze” . Nel 1912, il naufragio del transatlantico Titanic segnò la prima dimostrazione dell’efficacia del mezzo radio inventato da Marconi. Durante questa tragedia, il segnale di soccorso fu captato da David Sarnoff, marconista dell’American Marconi e futuro presidente della RCA (Radio Corporation of America). Questo evento ebbe un enorme impatto e contribuì notevolmente alla diffusione del mezzo radio a livello globale, specialmente come mezzo di comunicazione sociale. Infatti, le trasmissioni radio navali, che divennero obbligatorie a bordo delle imbarcazioni, e le comunicazioni militari, soprattutto durante la Grande Guerra, furono i primi utilizzi sociali della radio telegrafia. Il Novecento è il secolo in cui, attraverso l’etere, nel mondo industrializzato, per la prima volta, vengono messi i prodotti delle idee e dell’immaginazione a disposizione di tutti e assumono un ruolo centrale nella vita delle masse. La radio, insieme all’automobile, ha cambiato la percezione del tempo e dello spazio, la televisione, insieme all’uso di massa del trasporto aereo, cambierà poi il senso dell’identità e della velocità. Il piacere, lo si voglia o no, è uno dei connotati fondamentali di questa modernità, radio e televisione procurarono in modo diretto e con semplicità e senza mediazioni di sorta, piacere. “Ho in mente un piano che potrebbe fare della radio uno strumento domestico, come il grammofono o il pianoforte. Il ricevitore sarà progettato nella forma di una scatola radiofonica musicale adatta a ricevere diverse lunghezze d’onda che si potranno cambiare a piacimento spingendo un bottone. La scatola musicale avrà un amplificatore e un altoparlante telefonico incorporati al suo interno. Sarà tenuta in salotto e si potrà ascoltare musica, conferenze e concerti” . Con queste parole Davide Sarnoff, presidente dell’American Marconi Company, aveva per primo immaginato di dare corpo a un progetto commerciale che potesse rivolgersi a un mercato più ampio di consumatori. In Gran Bretagna venne così trasmesso dalla stazione Marconi di Chelmsford in Cornovaglia il primo regolare servizio radiofonico della storia per due ore consecutive al giorno, per un periodo di due settimane. Il fenomeno divenne rapidamente inarrestabile e si misero le basi per la nascita del monopolio pubblico della British Broadcasting Company, costituita ufficialmente il 18 ottobre 1922, formata da alcune fra le maggiori compagnie industriali britanniche. Due anni dopo John C. W. Reith, direttore generale per la prima volta della BBC, scriveva “Se l’etere fosse stato venduto al denaro e al suo potere; se non ci fosse stata responsabilità etica e intellettuale; se interessi diversi da quelli pubblici avessero preso il sopravvento, la BBC non sarebbe mai diventata quella che è” . In Italia, tra il terzo e il quarto Governo Giolitti mentre il Paese stava attraversando la sua prima rivoluzione industriale, si iniziò a discutere sulla possibilità di istituire servizi radioelettrici e radiofonici non più a livello sperimentale, ma studiando un’organizzazione operativa per sfruttarli in senso commerciale. La prima legislazione sulle comunicazioni senza fili risale al 1910, grazie a un progetto sviluppato da Carlo Schanzer, presentato in Parlamento dal ministro delle Poste Augusto Ciuffelli. Il progetto destinò l’esercizio delle radiocomunicazioni solo alla sfera dei servizi pubblici. Lo scoppio della Grande Guerra e la successiva crisi postbellica interruppero i progetti in corso e impedirono l’attuazione delle prime norme legislative promulgate dal Parlamento in materia di comunicazioni radio. La questione delle trasmissioni radio non venne affrontata nuovamente fino all’avvento del regime fascista. Tuttavia, ciò non implica che l’origine della radiofonia in Italia sia da attribuire esclusivamente al Fascismo. Piuttosto, fu una coincidenza fortuita, poiché nel periodo intorno al 1920, all’apice della modernità, la presenza predominante dello Stato influenzava tutti gli aspetti della vita sociale e produttiva del Paese, non solo in Italia. Si stava sviluppando un modello di radiofonia che, pur tutelando gli interessi privati, rifletteva l’importanza del servizio pubblico, ponendo il mezzo radio sotto il controllo e la tutela dello Stato. Guglielmo Marconi, in Italia sin dal 1902, aveva concesso gratuitamente, per vent’anni, l’uso dei suoi brevetti alle amministrazioni dell’Esercito e della Marina. Oltre al premio Nobel per la fisica, ricevette la nomina a senatore dall’onorevole Salandra nel 1914: nel 1921, Marconi fondò la Società Italiana per i Servizi Radiotelegrafici e Radiotelefonici (SISERT) con l’aiuto di Luigi Solari, suo assistente, che inizia a mediare con lo Stato italiano. Nel 1923 la SISERT viene sostituita da Radiofono, una società dove confluisce Marconi e altri attori italiani ed esteri. L’interesse per questa invenzione in Italia non si capisce subito perché non si coglie l’utilizzo, ma la si adotta proprio per non rimanere indietro rispetto agli altri Paesi. La radio non venne vista come uno strumento di informazione perché c’era poco investimento emotivo e culturale; si amplierà l’uso con il Governo fascista. Nel 1922 e nel 1924 si comincia a pensare ad una radio italiana. Nel 1924 nascevano il Ministero delle Comunicazioni con a capo Costanzo Ciano e l’Unione Radiofonica Italiana (URI). Ciano, amico di Solari e di Marconi, capì il forte potenziale della radio dal punto di vista politico e decise, perciò, che la radio dovesse avere un sistema di radiodiffusione. Nel 1923 venne trasmesso via radio un discorso di Mussolini dal teatro Costanzi, allestendo le piazze di Roma con punti di ritrovo e altoparlanti dove il pubblico poteva ascoltare la voce del Duce. Il 6 ottobre del 1924 alle ore 21, con il discorso della violinista Ines Viviani Donelli, si inaugurò l’inizio delle trasmissioni radiofoniche nel Bel Paese. La radio in quegli anni si trasmetteva in diretta e la trasmissione di suoni era costosa e problematica. Veniva considerata come strumento di immediatezza e non si pensava potesse essere registrata e, se lo era, doveva essere detto.
Per questa immediatezza non abbiamo molte testimonianze se non qualche lettura di Marinetti rimasto come frammento del discorso inaugurale. In questo periodo le trasmissioni erano serali e c’erano anche poche pubblicità, ma col passare del tempo le promozioni trasmesse nell’etere assumeranno un ruolo importante dal punto di vista funzionale ed economico. L’ascolto collettivo avviene con la messa in onda in diretta del Gran Premio di Monza del 1928 che andò a rappresentare la prima testimonianza della sonorità che catturò molte persone, infatti, si cominciò a trasmettere eventi sportivi con lo scopo di andare ad intrattenere, educare e informare la gente. La radio diventò così la fonte di intrattenimento più accessibile perché non costava nulla e non c’erano molti divertimenti. Dopo la crisi postbellica e all’indomani della normalità raggiunta dopo la Marcia su Roma, il quadriennio 1922/1925 fu un periodo di rilancio in tutti i settori dell’economia. In questa situazione, il controllo degli strumenti di informazione costituì un fattore di indiscutibile vantaggio per aumentare il potere delle oligarchie politiche e finanziarie. In questo scenario avviene l’inserimento della Fiat e del suo Presidente, Giovanni Agnelli, protagonista di alcune vicende editoriali, da quella del “Resto del Carlino” a quella del “Corriere Italiano”, fondato a Roma nel 1923 con i capitali FIAT . Ad Agnelli non sfuggì, quindi, il valore potenziale del nuovo mezzo radiofonico ed ebbe, per volontà del Governo fascista, una partecipazione azionaria nell’Unione Radiofonica Italiana. Questa partecipazione non divenne di dominio pubblico, ma solo nel 1930 figurò apertamente nel consiglio di amministrazione dell’EIAR, che venne inaugurata a Torino e si cominciò ad avere il boom delle trasmissioni radiofoniche. Nel dopoguerra con lo smantellamento delle stazioni di Roma I e Roma II da parte dei tedeschi, lo spostamento verso Nord di molti dipendenti per collaborare con la radio della Repubblica di Salò, chi si nasconde, chi rompe le linee per collaborare con la radio degli Alleati. Inizia una guerra tra Alleati e Repubblica di Salò, tra partigiani e nazisti, a colpi di onde medie e corte, con le radio alleate che hanno maggiori disponibilità e sfruttano la radio come strumento per diffondere libertà e donare aria fresca a un’Italia spaccata in due. Sono questi gli anni di “Italia combatte”, sulle frequenze di Radio Bari, la quale svolgerà un ruolo importantissimo in questi anni di transizione tra la fine della guerra e del regime fascista e l’inizio di un nuovo corso. La radio pugliese, infatti, ebbe la possibilità e la capacità di uniformare le diversità spesso contrastanti dell’antifascismo meridionale. L’anno chiave per quello che sarà il passaggio più importante della storia della radiofonia, ma anche della televisione, italiana è il 1944, anno che vede ripristinate le libertà politiche e consente alcune forme di propaganda ai partiti, il ritorno dei territori liberati sotto l’amministrazione italiana, le emittenti romane tornano a funzionare dopo essere stati cacciati i tedeschi. Anche qui ci fu un attento controllo affinché i commenti politici non si discostassero troppo dalla politica decisa dagli anglo-americani, come si evince dal caso di Radio Napoli, all’interno del quale convissero giornalisti comunisti e socialisti con collaboratori dell’emittente di Monte Dio, che arrivavano dal giornalismo fascista. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale si determinarono in Italia le condizioni per un cambiamento radicale all’interno della radiofonia, essa deve ristrutturarsi, rimodellarsi, partendo dall’apparato organizzativo. L’EIAR andava ricompattata, bisognava respingere le richieste di autonomia provenienti da varie emittenti, un altro compito fondamentale era quello di limitare fortemente il potere acquisito dalla radio durante la dittatura fascista e riportare la comunicazione a un livello più “umano”, perché la radio negli anni fascisti aveva trasmesso flussi di comunicazione incontrollabili, esaltando in maniera negativa le ragioni della lotta alla liberazione. Proprio in funzione di questo discorso, i nuovi ruoli che assumeva l’ente concessionario andavano tutti intesi come “servizio” reso alla nazione, in contrapposizione al ruolo che aveva avuto il mezzo radiofonico durante il periodo fascista. Per rafforzare questa volontà nel 1944 venne istituita una Commissione per le attività radiofoniche dell’Italia centro-meridionale, che vedeva in Luigi Rusca il commissario straordinario dell’EIAR. La gestione amministrativa e i rapporti col potere politico riguardo al controllo sull’attività di radiodiffusione erano più che problematici, sia il Ministero delle poste e telecomunicazioni sia il sottosegretariato per la stampa e l’informazione desideravano fossero affidati a loro i compiti che nel periodo fascista facevano capo al Ministero della cultura popolare. Spataro, sottosegretario per la stampa e l’informazione, quando il Ministero delle poste propose che fosse affidata a essa il controllo sull’azienda di radiodiffusione, scrisse a Bonomi, il quale condivise il punto di vista del sottosegretario e diede mandato all’ufficio di studi e legislazione di preparare uno schema di decreto istitutivo di una Commissione di vigilanza. In seguito alla creazione di uno schema di decreto relativo alla riorganizzazione della radiodiffusione, nasce nell’ottobre del 1944 la società Radio Audizioni Italia (Rai), che nasce come “organo consultivo per il coordinamento ed il controllo dei programmi radiofonici, presso il sottosegretariato per la stampa e l’informazione”. Rusca mantenne il suo ruolo fino all’aprile del 1945 quando venne costituito il primo vero e proprio consiglio di amministrazione della Rai e Armando Rossini divenne il nuovo direttore generale. Cinque giorni dopo tutte le stazioni radiofoniche attive nel settentrione ripreso a funzionare regolarmente sotto il controllo del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI). La divisione che vede il servizio radiofonico al nord controllato dal CLNAI e del centro-meridione controllato dalla Rai continuò ancora per molti mesi. Il discorso della comunicazione e dell’informazione ha sempre avuto una forte componente politica e nel nostro paese non è stato diversamente. Alle elezioni del 18 aprile 1948 la stragrande maggioranza degli italiani votò per il partito della Democrazia cristiana, questo infatti rispecchiava nel migliore dei modi il modello ideologico-sociale del nostro paese, un modello retoriconazionalistico alimentato nell’orizzonte della famiglia piccolo-borghese. Parte fondante di questa vittoria si può riconoscere nell’alleanza con la Chiesa e nella comune gestione dei mezzi d’informazione. Proprio la Chiesa, infatti, ha sempre giocato un ruolo fondamentale nei processi di informazione, grazie anche alla lungimiranza che essa dimostrò nel cercare di sfruttare la risorsa radiotelevisiva, insieme al cinema, per allargare la base sociale di intervento religioso, culturale e politico. La chiesa riesce ad arrivare a quello strato di popolazione dove invece il fascismo aveva fallito, creando spesso più del regime stesso veri e propri caratteri di massa. Quindi, anche grazie all’aiuto della Chiesa, il partito democristiano vince le elezioni del 18 aprile 1948, legando il gruppo dirigente della Rai al partito cattolico. Ci troviamo negli anni della guerra fredda, all’interno della quale la Chiesa dimostra una chiara opposizione al bolscevismo e in Italia ciò si traduce in una accanita ostilità verso le sinistre, più precisamente contro comunisti e socialisti. Questi anni saranno caratterizzati da una radio italiana molto di parte, anche se ridimensionato stiamo parlando dello stesso modello che il fascismo adottava durante gli anni della propaganda. Il partito della Democrazia cristiana e la Chiesa in questi anni creano un modello che i mezzi di informazione, posti sotto il loro controllo, si incaricano di conservare e sviluppare. Dalle sinistre arrivano continui reclami e mozioni che condannano la faziosità della Rai e del suo giornale radio. Una faziosità innegabile, nel giornale radio del 2 giugno 1950 era stata praticamente ignorata la ricorrenza della nascita della Repubblica, il 10 giugno la radio aveva passato in silenzio la ricorrenza della morte di Matteotti, il 17 giugno l’appello dell’URSS contro la bomba atomica era stato totalmente ignorato. Venivano inventate notizie, inoltre campionando varie edizioni del giornale radio si era potuto constatare come in un periodo di tempo di due settimane “fossero state passate “126 righe” di trasmissione alla riunione della CISL e nemmeno una riga dell’attività della CIGL”. Ciò che veniva richiesto dalle sinistre alla Rai era di attenersi alla rappresentanza proporzionale delle forze parlamentari. La sinistra, specialmente il comunismo, trovò nelle radio estere e soprattutto in Radio Praga una valida alleata, in questo modo tentava di proseguire nel suo intento, ovvero nell’informazione clandestina. A modo suo, la sinistra si preparava a possibili svolte ribelli, sovversive. Il partito comunista e più in generale la sinistra, si rifiutava di approcciarsi ai nuovi media, alla televisione in primis, considerandoli mezzi frivoli, la politica culturale del Pci infatti negli anni ’50 riteneva “che la Rai lungi dallo svolgere, attraverso il nuovo mezzo tecnico, una funzione tendente all’elevamento culturale del popolo, allo sviluppo delle sue capacità critiche, all’affinamento della sua sensibilità estetica, cerca all’opposto di estraniare le masse dai problemi concreti della vita nazionale, di ottundere ogni capacità di giudizio, di degradare il gusto, di propagandare, in maniera più o meno velata, l’ideologia della classe dominante.” Intanto era diventato presidente della Rai Cristiano Ridomi, che condusse in gran segreto il rinnovo della convenzione del 1952. La convenzione aveva un’importanza cruciale, dal punto di vista politico rappresentava un incremento dei vantaggi per la concessionaria, ovvero aumento dei fondi di finanziamento, il monopolio, il controllo solitario veniva rafforzato e in più i controlli sull’attività dell’azienda venivano ridotti di gran lunga. Questi non saranno gli unici problemi, sempre nel 1952 venne costituita l’ARA, ovvero l’Associazione radioabbonati e ascoltatori, per difendere i diritti del pubblico, le sinistre continuarono nella loro campagna di attacchi al gruppo dirigente Rai, chiedendo delucidazioni sulla concessione dei servizi televisivi, chiedendo di abolire il regime del doppio finanziamento (pubblicità e canone), per non dimenticare le spinte autonome provenienti dalle sedi di Torino, Firenze e Napoli. Queste richieste da parte delle sedi sopracitate nascono soprattutto dalla volontà di trasferire, o meglio accentrare, la direzione di tutti i programmi a Roma. A livello di ascolti, nonostante una notevole ripresa rispetto alle perdite avute luogo durante la guerra, l’Italia rimaneva agli ultimi posti in Europa, era necessario un intenso lavoro di espansione della radiofonia in tutta la penisola. Gli “anni d’oro” dell’espansione radiofonica possono essere considerati quelli che vanno dal 1948 al 1952, con incrementi maggiori del 200% di abbonati, il consolidamento finanziario della Rai, l’aumento del canone (che nel 1954 arrivò a 15 mila lire annue). Tutto ciò fu reso possibile da un’attenta politica di contenimento spese, dall’incremento del gettito pubblicitario gestito dalla SIPRA, che entrò insieme alla Rai a far parte del gruppo IRI, diventando così uno dei fiori all’occhiello dell’economia italiana. Per quanto riguarda invece la programmazione è importante dire che essa rimane distinta, per il Nord e per il Sud, fino al dicembre del 1946, quando si decide di istituire due programmi in onde medie: la rete rossa e la rete azzurra (le odierne Rai Radio 1 e Rai Radio 2). Questa rimane la suddivisione in programmi fino al 1951, quando venne attuata la distinzione in programma nazionale (ex rete rossa), secondo programma (ex rete azzurra) e terzo programma, istituito l’anno precedente. Questa suddivisione viene messa in atto per assecondare le esigenze del pubblico; infatti, i tre programmi risponderanno a esigenze di ascolto del pubblico differenti: il programma nazionale si rivolgerà a un pubblico medio con notizie italiane ed estere, avvenimenti politici e quant’altro, il secondo programma avrà una caratura più ludica, ricreativa, mentre il terzo sarà improntato sulla cultura. La dirigenza Rai si impegnò al massimo per cercare di comprendere le sfaccettature e i gradimenti del pubblico, in modo da offrire un servizio ampio e variegato, e funzionò: dal 1946 in poi gli abbonamenti salirono al ritmo di mezzo milione l’anno fino ad arrivare tra il 1950 e il 1953 quando il numero di abbonamenti si stabilizzò verso i 4 milioni e mezzo. Volgendo lo sguardo alla programmazione vera e propria notiamo come le preferenze per la musica leggera sfociarono nel Festival di Sanremo, istituito per la prima volta nel 1951 e vinto da Nilla Pizzi con “Grazie dei fior”. Ciò che appare davvero evidente però è l’attenzione verso il pubblico giovanile, con programmi ludici ma anche altri più formativi, da qui il progetto “La radio per le scuole” istituito nel 1947 e volto a colmare le lacune culturali e le curiosità di chi non poteva permettersi nemmeno di acquistare i libri scolastici. Menzione d’onore in questo caso merita il programma “Motoperpetuo”. Numerosi programmi di successo si ebbero anche nello spettacolo leggero come “Cico e Pallina” scritto da Federico Fellini, che consisteva in una serie di radioscene, altro programma che divenne apprezzatissimo, nonostante inizialmente fosse uno sconosciuto, fu “Vi parla Alberto Sordi”. Per ampliare maggiormente il pubblico si realizzò una nuova rubrica “Voci dal mondo”, con l’inconfondibile speaker Guido Notari, e trattava temi come politica, sport, costume. Se è vero che il terzo programma rispondeva alle esigenze di un pubblico più di nicchia, è anche vero che l’obiettivo di fare della Rai una vera e propria fonte di cultura e insegnamento viene perseguito anche dai primi due programmi, con appunti quali “L’Accademia della radio” e “Al caffè si discute” con ospiti del calibro di Paolo Stoppa, Vittorio De Sica, Alberto Moravia e tanti altri. Col passare del tempo si notò sempre più la preparazione e l’efficienza della scuola di giornalismo radiofonico nata negli anni Trenta, ciò ebbe riscontro durante l’alluvione del Polesine nel novembre del 1951, quando attraverso inappuntabili servizi e collegamenti la Rai assicurò una copertura continua dell’evento. Si potrebbero citare altri mille programmi come “Il motivo in maschera” condotto dal mitico Mike Bongiorno, “Il microfono è vostro” che fece diventare famoso lo slogan “Miei cari amici vicini e lontani, buonasera; buonasera ovunque voi siate!” , il nuovo giornale orario del secondo programma che prese il nome di Radiosera , “La palla è rotonda”, “Rosso e Nero”, il più famoso programma leggero del dopoguerra, e tantissimi altri, ma ciò che conta è capire che finalmente la radio italiana stava iniziando ad occupare il posto che meritava e aveva ormai creato una solida base di pubblico, con un’ampia scelta di programmi e di generi differenti. Era tutto pronto per l’inizio di un’epoca nuova, un’epoca fatta di immagini, non più solo di suoni. Un’epoca che stava per rivoluzionare la vita di milioni di italiani e non solo, un’epoca che stava per dare alla luce la Radiotelevisione Italiana. Quando si parla di televisione è necessario fare un salto indietro nel tempo rispetto agli anni di ampliamento della rete radiofonica italiana di cui si è parlato nel finale del capitolo precedente. È vero che la Rai assume la definizione di Radiotelevisione italiana solo dal 10 aprile del 1954, ma i primi esperimenti riguardanti la televisione sono datati all’inizio del secolo scorso, quando Lee De Forest inventò l’Audion, una valvola che sta alla base del processo di funzionamento della televisione, ma anche della radio stessa. Mentre per quanto riguarda il primo servizio televisivo regolare, la Gran Bretagna lo annunciò il 2 novembre 1936, ben 18 anni prima rispetto al Belpaese. In Italia durante gli anni Trenta la televisione era ancora un progetto in evoluzione, con qualche piccola dimostrazione che teneva però tutti con gli occhi esterrefatti di fronte a quella scatola magica, capace di riportare un fatto, un evento, non più solo sotto forma di suono ma riproducendo un’immagine. Al tempo era naturalmente l’EIAR ad occuparsene, la prima dimostrazione vera e propria si ebbe durante la “Mostra nazionale della Radio”, nel settembre 1932, e successivamente alla “Mostra di Leonardo e delle Invenzioni”. Il primo, embrionale, inizio di trasmissioni nella nostra penisola è da datare nel dicembre del 1938, quando l’EIAR le riproduce, a Roma nelle zone limitrofe di Monte Mario, dove venivano registrate. Le trasmissioni sono coordinate da Alfredo Sernicoli e inizialmente sono rudimentali numeri musicali, interviste sportivi, dizione di versi, esibizioni. Nella prima ricerca di indirizzo creativo la televisione viene concepita come “radio che si può vedere e cinema domestico” Gli esperimenti si susseguono incessanti ma lo scoppio della Seconda guerra mondiale ne frena l’ascesa, solo dopo la fine del conflitto si tornerà a sperimentare le grandissime innovazioni che la televisione stava portando. Ciò accade precisamente tra il 1947 e il 1949, quando, da lì a pochi anni, verrà messo a punto il primo servizio televisivo circolare. Inizialmente ci si serve di ricetrasmettitori americani, con varie esposizioni nelle solite Torino e Milano, soprattutto il capoluogo piemontese sarà palcoscenico di ottime dimostrazioni con la regista Alda Grimaldi, per lasciare poi il testimone alle più attrezzate sedi Rai di Milano, che inizieranno a produrre la maggior parte delle trasmissioni sperimentali. Il democristiano Spataro coglie nel pubblico che si interessa alla televisione, non solo le classi intellettuali e quelle di studiosi, ma vede una partecipazione anche popolare e penserà, come nel passato, a un programma non solo ricreativo ma anche informativo e educativo. Milano e Torino continuano a essere il fulcro dei primi anni di vita della televisione italiana e nel 1952, più precisamente dal 12 al 27 aprile 16, parte un piccolo ciclo di trasmissioni sperimentali, della durata di circa sei ore al giorno. Il 9 settembre dello stesso anno viene addirittura trasmesso il primo telegiornale nella storia della televisione italiana. L’annunciatrice è Fulvia Colombo, a gestire le operazioni di regia basti ricordare dei giovanissimi Guglielmo Morandi e Vito Molinari. In più possiamo ricordare figure di spicco presenti quel giorno come Nino Manfredi, Febo Conti, Elda Lanza. A partire dall’anno successivo venne potenziata l’attività sperimentale, con un’attenta analisi delle preferenze del pubblico di modo da poter studiare una programmazione che accontentasse una fetta sempre maggiore di popolazione (cercando di comprendere non solo i programmi più graditi ma anche le fasce orarie in cui trasmetterli per avere un bacino d’utenza maggiore). Con il funzionamento dello studio di Roma, il collegamento di esso con lo studio di Milano e la costruzione anticipata di altri trasmettitori nelle zone di Portofino e Firenze, all’incirca, era tutto pronto per l’inaugurazione del servizio televisivo italiano. Perché si parla di costruzione anticipata? Dopo la guerra e vista la difficoltà nel creare una rete unitaria sia radiofonica che televisiva l’Italia risultava “spezzettata” in più gruppi: il primo, quello del Nord con le stazioni di Torino e Milano, il secondo, Roma e Firenze per intenderci, e il terzo, quello del meridione. Nella convenzione era scritto che il funzionamento e l’inizio dell’attività dei trasmettitori del primo gruppo sarebbe avvenuta indipendentemente dal funzionamento degli altri, creando, perlomeno inizialmente, due programmi diversi, uno per Milano e Torino e uno per Roma. Il costo sarebbe stato troppo elevato per le finanze del tempo e soprattutto la televisione italiana avrebbe perso quel carattere di nazionalità, che qualsiasi parte coinvolta nella vicenda ci teneva invece a sottolineare. Fatto sta che nel giro di un paio d’anni la rete televisiva venne allargata a tutto il Centro Italia e nel 1955 arrivò in Campania per poi “toccare”, l’anno successivo, anche la Sicilia.
Come specificato anche nel capitolo precedente, la Rai assume la denominazione di Radiotelevisione Italiana a partire dal 10 aprile 1954. Se la Rai intesa come impresa radiofonica era collegata per la maggior parte all’industria elettrica e radioelettrica, ora invece essa assume un ruolo del tutto diverso: nonostante non sia questo il momento di massima espansione e di attenzione verso la televisione e gli abbonamenti a essa, si presenta comunque con una situazione economica molto solida, è guidata dal gruppo IRI ed è diventata un punto di riferimento, capace di spostare anche gli equilibri economici del paese. Grande merito della nascita della televisione è quello di aver alleggerito il carico che versava sul settore agricolo, spostandone un po’ su quello industriale. In questi anni avvenne infatti una grande espansione industriale in Italia, con incrementi nel settore elettromeccanico, della gomma e naturalmente dell’elettronica e dell’elettromeccanica. La televisione continua nella sua scalata, nella sua ascesa, nel giro di pochi anni si registra un aumento incredibile degli abbonamenti, passando dagli 88.000 del 1954 ai 600.000 del 1957 , creando una forte presenza di audience nei bar, si parla addirittura di ben 42.822 locali forniti di televisore . All’interno dei bar il numero di abbonamenti non cresce in modo così vertiginoso come abbiamo visto dai dati sopracitati, ma ciò che conta è che essi diventano un luogo di ritrovo dove assistere ai programmi televisivi, sarebbe quindi errato soffermarsi sui semplici numeri degli abbonamenti, perché significherebbe sottostimare il numero reale di occhi fissi sullo schermo. I programmi partono quindi così, seguendo sicuramente un ordine ma mancanti di un palinsesto vero e proprio, nasce quindi, dopo poche settimane dall’inizio delle trasmissioni, il Servizio Opinioni, con la duplice funzione di ricerca sul pubblico radiofonico e televisivo e di fornire dati standard e dati su richiesta. I metodi utilizzati per far conoscere il nuovo mezzo di comunicazione e diffonderne l’uso sono all’incirca gli stessi metodi utilizzati per la radio nel dopoguerra, in particolare sono le cosiddette “telesquadre” a farsi carico di questo compito, arrivando in quei paesi più remoti, organizzando piccoli spettacoli prendendo quelli che sarebbero gli attori in mezzo al pubblico. Procede tutto secondo i piani, il terreno è fertile, pronto per coltivare tanti programmi di successo e invogliare un pubblico sempre più curioso a divertirsi e a rimanere ammaliato di fronte a quel piccolo schermo. È proprio in questo clima che il programma “Lascia o raddoppia?”, condotto dall’immenso Mike Bongiorno inizialmente il sabato poi spostato al giovedì per le ire degli esercenti cinematografici che vedevano languire il botteghino, crea il caos più totale. Gli abbonamenti crescono all’impazzata, dai 360.000 del 1956 si arriva al milione e mezzo nel 1959, un anno dopo vengono superati addirittura i due milioni. Anche nel meridione, dove, come si è visto in precedenza, la televisione giunge tre anni più tardi rispetto alla zona nord del paese e fino a quel momento rimaneva una terra incentrata sulla radiofonia, la televisione brucia le tappe, superando in dati assoluti le percentuali di zone come il Piemonte, pioniere del nuovo mezzo di comunicazione. Il programma televisivo strutturato a quiz, con il concorrente che aveva appunto la possibilità di lasciare il gioco a un determinato prezzo oppure raddoppiare la posta in palio ma rischiando di perdere tutto, diventò un vero e proprio appuntamento settimanale ma generò due opposte fazioni: chi lo adorava e chi lo condannava. Che la televisione non fosse nata coi favori di tutte le classi sociali era palese ed è stato chiarito più volte, ma in questo caso vere e proprie schiere di politici, intellettuali, si scagliarono contro il programma che, guardando l’altro palmo della mano, faceva invece impazzire milioni di persone. Fu questo il programma col quale tutta Italia conobbe veramente la televisione, un po’ per il fatto che andò in onda dal novembre del 1955 quindi si può considerare il primo vero e proprio programma seguito settimanalmente dalla quasi interezza degli abbonati, un po’ per i motivi sopracitati, riguardanti quindi le polemiche che causò. Se già la televisione non era vista di buon occhio dagli ambienti benpensanti perché accusata di essere “il prodotto di una Italia inferiore, l’ennesima riprova che il nostro era un paese di serie B”, a proseguire nella lotta alla televisione ci pensò il Partito Comunista Italiano (PCI), che riteneva il programma pericoloso, in grado di generare effetti perversi, per il supplizio mentale che veniva esercitato sui concorrenti, i quali venivano ingannati e abbagliati di fronte alle possibilità di vincita magari poi non realizzate . Questa forte protesta comunista deriva non tanto da un’avversione motivata nei confronti del televisore, ma in gran parte dal fatto che la dirigenza della Rai consisteva di una forte impronta democristiana, sarà proprio questo il dualismo, infatti, che contrassegnerà la “lotta della televisione”, che si protrarrà per quasi un ventennio. Il grande merito che va dato alle forze cattoliche è quello, al contrario della controparte di sinistra, di aver concepito da subito il potenziale che la televisione poteva avere. Le sinistre lo connotarono da subito come un mezzo di classe, di bassa classe, non compresero che la cultura di massa ha bisogno di mezzi di diffusione per essere attuata, la radio e la televisione ne sono i due più grandi esempi. L’avvio delle trasmissioni televisive rappresenta quel tassello fondamentale che permette agli italiani di avere un punto di riferimento nazionale e collettivo, permette anche ai “contadini di montagna anche decrepiti di scendere giù per viottoli scoscesi, magari sotto la pioggia, portandosi dietro la sedia per poter assistere a uno spettacolo televisivo. Inoltre, la strutturazione dell’ascolto favoriva l’integrazione, dalle 17.30 alle 19 il televisore si concentrava sulle fasce d’età giovani della popolazione, mentre dalle 20.45 fino alle 23 il pubblico saliva d’età. La domenica come di consueto si apriva con le trasmissioni religiose e la sera veniva sospeso il telegiornale, che divenne davvero quotidiano solo dal 1956. Sempre nel 1956 Marcello Rodinò successe a Filiberto Guala nel ruolo di amministratore delegato. Guala era il manager che aveva intrapreso un po’ quello che so può considerare il battesimo del fenomeno televisivo in Italia, di grande spirito cattolico, si dimise perché si accorse che la matrice religiosa era stata sufficiente per lanciare il prodotto televisivo ma ora servono tutt’altri mezzi e criteri per gestirla. La nomina di Rodinò andava proprio in questo senso: sotto la sua guida, durata ben nove anni, la Rai visse la stagione più fulgida della sua esistenza, perché, come è stato specificato, il numero di abbonamenti in questo periodo salì, ma non solo, ci fa una grande espansione della pubblicità, nacquero nuovi centri di produzione, in primis quello di via Teulada a Roma, e diminuì il costo del canone (arrivato a costare 12 mila lire nel 1961). La radio non è morta, anzi. Bisogna ben tenere a mente che la televisione arriva a Napoli nel 1956, e nel resto del meridione addirittura nel 1957. Inoltre, se nel 1958 la televisione conta quasi un milione e mezzo di abitanti, la radio tocca i 7 milioni. Il mezzo radiofonico ha alle spalle trenta anni di ascolto, l’abitudine al suo utilizzo è molto più diffuso, il pubblico è affezionato ai suoi programmi e alle sue innovazioni. Naturalmente con l’avvento della televisione il suo ascolto inizia a calare, tant’è che viene strutturata una rivisitazione dei tre programmi dell’offerta radiofonica: come al solito il programma nazionale si specializza in informazione e nell’ascolto di musica, il secondo programma (il più ascoltato) punta forte sulle sue trasmissioni migliori, “Meridiana” e “Terza Pagina”, e così via. Un merito della radio è di riscoprire in questi anni la “diretta”, ritorna un po’ la radio intesa come “teatrino domestico” che accompagna la vita di numerosi lavoratori. Insomma, sia la televisione che la radio entrano a far parte della vita di milioni di italiani, permettendo al pubblico di usufruire di un servizio sempre più all’avanguardia, tra i migliori in Europa. Inizia così ad aprirsi la grande stagione della Rai in Italia. Infine vorrei finire questo mio saggio con l’Allunaggio sulla luna per ricordare un grande giornalista della RAI di allora e di sempre Tito Stagno.
Nel corso della storia, ogni scoperta, ogni viaggio, ogni esplorazione ha rappresentato e continua a rappresentare una pietra che va ad aggiungersi al grande progetto della storia dell’uomo. Pensiamo ai grandi avvenimenti della storia, la scoperta dell’America, la Rivoluzione francese, la costruzione delle piramidi. Molte di queste sono raccontate per filo e per segno su manoscritti e trasmesse oralmente nel corso degli anni, dei secoli. Ma cosa sarebbe stato se oltre a quelle frasi scritte avessimo potuto sentire i suoni o vedere le immagini di quegli avvenimenti? Ciò che la televisione ha fatto, rivoluzionando la storia, è un qualcosa di ineguagliabile, ha dato un’immagine e un suono a pagine di storia che rimarranno impresse per sempre all’interno di uno schermo, sollevando l’uomo dal compito di riportare, dettaglio per dettaglio, un preciso avvenimento o un fatto storico. L’allunaggio incarna perfettamente le caratteristiche di cui si è parlato. Per il grandissimo evento la Rai diede prova della sua organizzazione e della sua grandezza, anche dovuta in parte al monopolio che di fatto ancora esercitava sul servizio televisivo, conducendo una diretta di ben 30 ore, poi rinominata e intitolata “25 ore sulla Luna”, durante le quali ci fu una cronaca continua e approfondita del viaggio che i tre astronauti, Buzz Aldrin, Michael Collins e Neil Armstrong. Come sede della diretta si scelse lo storico e importantissimo studio di via Teulada a Roma, che si iniziò a riempire ben dieci ore prima della diretta 32, e per rendere il servizio il più accurato e preciso possibile si scelsero cronisti e giornalisti di una certa preparazione in merito. Infatti, i conduttori all’interno dello studio romano furono Andrea Barbato, Tito Stagno, Lello Bersani e Piero Forcella; quest’ultimo fu un giornalista per la Rai a partire dagli anni Sessanta, ma in precedenza si era laureato in fisica quindi durante la sua carriera giornalistica si occupò prevalentemente di tematiche scientifiche e più nello specifico di imprese spaziali, dopo la missione Apollo 11 infatti si occupò di seguire i primi voli dello Space Shuttle e la Missione Giotto, riguardante la cometa di Halley. Riguardo Tito Stagno invece possiamo dire che si guadagnò i meriti per far si che gli venisse affidato questo servizio: da sempre un professionista esemplare ma in questa occasione gli va dato merito soprattutto per la lungimiranza con la quale fiutò che qualcosa di grosso stava per accadere nell’orbita spaziale. Come raccontato da lui stesso, lesse, per caso, su una rivista scientifica dal dentista un articolo in cui si parlava di tecnologia satellitare e astronautica. Stagno fu il primo all’interno della Rai ad affrontare l’argomento spazio come dice lui stesso: “affrontai l’argomento spazio per primo, sia pure casualmente. Vale a dire dal 1957, quando strappai dalla telescrivente il dispaccio d’agenzia che annunciava la messa in orbita dello Sputnik, il primo satellite artificiale mai andato oltre l’atmosfera. Una cosa curiosa, almeno per me, perché Sputnik significa letteralmente ‘compagno di viaggio’ e di certo accompagnò me” In seguito, Tito Stagno seguì anche il lancio della cagnetta Laika scrivendone un articolo e un servizio, guadagnandosi quindi di merito la conduzione del servizio del luglio del 1969. Il servizio sull’allunaggio funse anche da “padrino” per tutte le moderne maratone che passano oggi in Rai ma non solo, vale pena citare “Maratona Mentana”, nome delle edizioni speciali del TG LA7 in corrispondenza di elezioni elettorali o avvenimenti politici degni di particolare attenzione, condotte dall’omonimo giornalista Enrico Mentana (che iniziò, tra l’altro, la sua avventura in Rai all’inizio degli anni ’80 nella sezione esteri). Lo studio, allestito al meglio per l’evento, era così strutturato: una corridoio centrale sul quale i macchinisti e i registi si potevano muovere per riprendere, talvolta uno spazio talvolta l’altro, due postazioni da conduttore, una in cui Andrea Barbato aprì con un intro degna di nota, e l’altra nella quale trovavano posti Tito Stagno e Piero Forcella (Lello Bersani invece assunse più un ruolo di conduttore televisivo), e un piccolo spazio per allietare il pubblico nell’attesa con spettacoli di teatro e cabaret. Molti ospiti, oltre ai due di facciata Monica Vitti e Michelangelo Antognoni (in ogni studio con cui erano collegati erano presenti attori, gente dello spettacolo, ma anche sportivi come nel caso dello studio di Torino) erano persone con una certa esperienza di ciò che i tre astronauti avrebbero affrontato, oltre a giornalisti e direttori, infatti, trovavano spazio sui seggiolini del pubblico numerosi esperti e scienziati che coprivano ben ventotto rami della scienza. Il discorso di apertura di Barbato racchiudeva in modo eccellente le caratteristiche che la Rai ha cercato di dare, sin dall’inizio delle trasmissioni sul Programma Nazionale, alla sua televisione; il modo in cui Barbato fa sentire lo spettatore partecipe di un’impresa nonostante esso sia seduto sul divano di casa sua, racchiude perfettamente quel senso di unione nazionale, in questo caso anche di più, che il televisore aveva lo scopo di trasmettere. Anche il modo di coinvolgere gli spettatori, oltre che emotivamente, ricorda molto il senso di inclusione della Rai, all’esterno dello studio e sparsi in tutta Italia ci sono squadroni di giornalisti pronti a raccogliere, con la potenza del loro microfono, i pensieri e le sensazioni degli italiani per quella che viene definita “annessione di un nuovo continente” . Allo stesso tempo la Rai portava avanti un altro grande compito che nella sua storia si è sempre prefissata di perseguire, ovvero l’educazione. Può sembrare scontato ma tenere un servizio speciale in onda per trenta ora, sempre in diretta, divulgando informazioni scientifiche e intrattenendo il pubblico con, si spettacoli, ma anche insegnamenti su ciò che vedevano, data l’enorme presenza di tutti quegli scienziati, non è per nulla banale e denota la voglia costante della televisione italiana di far crescere il proprio pubblico insieme alla sua storia. Oltre a quanto concerne l’aspetto di valori e di obiettivi sul piano teorico, bisogna guardare attentamente all’aspetto tecnico e pratico dell’evento: uno studio centrale a Roma in collegamento non solo attraverso giornalisti che intervistavano le persone in tutta Italia, ma anche collegamenti con gli studi di Milano, Firenze, Torino e Napoli in Italia, New York e Houston (base di partenza dell’Apollo 11) negli Stati Uniti, e come se non bastasse anche con Londra, Parigi, Madrid, Hong Kong, Perù e Mosca, per quello che può definirsi un vero e proprio capolavoro per il tempo. Non bisogna dimenticare che in tutto ciò, in cuffia, Tito Stagno aveva sia le voci del centro spaziale di Houston, sia le voci degli astronauti. Per non parlare poi dei grandissimi schermi Eidophor presenti negli studi di Roma e Milano. Gli Eidophor erano videoproiettori progettati per produrre appunto grandi immagini, utilizzati principalmente nei cinema, nei teatri e nelle scuole. Per prepararsi era stata la stessa Nasa a fornire ai giornalisti pacchi di materiale dai quali poter farsi un’idea di cosa si stava andando a fare, e per conoscere anche i piani di volo; il che, a detta dello stesso Stagno, rese tutto più semplice. Il bello di questo servizio a più collegamenti è riuscire a vedere i diversi umori che “serpentinavano” per gli studi italiani, ad esempio nel momento di presentazione dello studio di Milano, il conduttore Giorgio Vecchietti non perse l’occasione per precisare che si trovava nello studio (del TV3) tecnicamente più attrezzato d’Europa, lasciando trasparire quell’aria di malcontento che si profilava negli ambienti milanesi per la poca centralità o egemonia dei propri studi , oppure anche lo studio di Torino, il quale ci tiene a sottolineare, una volta interpellato, le dimensioni dello studio aggiungendo che si tratta dello studio più grande d’Europa, non solo quindi tra quelli Rai. Dopo una breve introduzione con gli studi inizia la vera e propria cronaca dell’evento, del quale inizialmente, fino al collegamento con Houston, se ne prende carico Barbato, rilasciando qualche informazione sulla fase cruciale del distaccamento del “LEM” rispetto alla navicella principale. A questo punto la parola viene ceduta a Tito Stagno che si mette in collegamento con Ruggero Orlando, l’altro cronista dell’evento famoso per il suo famoso saluto “Qui Nuova York, vi parla Ruggero Orlando” , in collegamento proprio da Houston. I collegamenti non avranno una linea pulitissima, sarà difficile sia per i due conduttori Stagno e Orlando il collegamento tra di loro ma soprattutto quello con le voci degli astronauti e la base spaziale, dovuto al sovrapporsi delle voci, allo “slang NASA” in merito all’operazione e a un inglese molto fitto e veloce. Si può vedere negli occhi del pubblico quella trepidanza e quell’emozione che contraddistinguono un grande evento, con la voce pulitissima e fiera di Stagno che non perde un secondo per raccontare, nella maniera più comprensibile possibile anche per i telespettatori che assistono da casa, ogni minimo istante della diretta e, se possibile, qualche frase che faccia capire lo stato d’animo degli astronauti. Inizialmente c’è un po’ di confusione tra i due conduttori sui minuti riguardanti il distacco, la modalità con cui procede il LEM e chi procede nei diversi compiti; quindi, Barbato decide di ripartire col giro degli studi, dai quali intervengono i vari esperti ma anche intellettuali che fantasticano sui più vari temi, il più in auge è su cosa vorrebbero si trovasse sul suolo lunare una volta atterrati. Al momento dell’annuncio che la spia che stava ad indicare l’inizio della discesa verso il suolo lunare nello studio si espande grande fermento ed eccitazione, visibile negli occhi di Stagno, intento a riprodurre le notizie che gli arrivavano un po’ per cuffia, un po’ per immagine. La trepidazione del momento venne offuscata quando Modulo Lunare si staccò dal Modulo di Comando e per più di dieci minuti ciò che giunse a Stagno furono solo radiocomunicazioni, nessuna immagine. È proprio qui che inizia forse il più grande equivoco della storia della Rai. Stagno intento a tradurre e riportare, ora una distanza o un dato ora una frase degli astronauti, deve allo stesso tempo ascoltare i colloqui tra gli astronauti e tra questi ultimi e il centro di controllo spaziale. Purtroppo, il microfono degli astronauti era regolato in modo tale che si accendesse solo quando parlavano, perdendo così la prima parola di ogni frase, Stagno quindi al momento in cui Aldrin disse “270 piedi” capì solo “70 piedi”, che con un rapido calcolo trasformò in 25 metri circa. Da quel momento contò ogni nuovo dato che gli arrivava dai 25 metri che aveva stanziato e una volta che il LEM arrivò a 120 piedi, dopo una piccola esitazione il giornalista si girò e annunciò entusiasta: “Ha toccato! Ha toccato il suolo lunare!”. Il rumore e gli applausi del pubblico coprirono le nuove misure che intanto Aldrin stava fornendo, allora Orlando interruppe i festeggiamenti esclamando: “No, non ha toccato”. Ne seguì un breve dibattito tra i due con Stagno che giustificò l’errore del collega dicendo che il veicolo fosse già atterrato e che quando Orlando disse che il LEM aveva toccato la Luna era in realtà il momento in cui era stati spenti i motori, aggiungendo “L’errore è comprensibile”. La realtà fu che entrambi sbagliarono, Tito Stagno annunciò l’allunaggio 136 metri e 56 secondi prima del vero atterraggio, mentre il secondo “tardò” di 10 secondi 39, in tutto ciò il pubblico si perse la fatidica frase di Armstrong: “Houston, Tranquility Base here. The Eagle has landed”. Inutile stare a discutere su chi avesse ragione o meno, fatto che sta che la Rai offrì un servizio impeccabile, a parte il piccolo disguido tra i due conduttori, perché riportò passo dopo passo, intrattenendo il pubblico e informandolo su ciò che stava accadendo per 30 ore, nemmeno negli Stati Uniti il servizio fu così lungo. Il servizio sull’allunaggio rappresentò e rappresenta ancora un fiore all’occhiello della tecnologia raggiunta dalla Rai tra gli anni Sessanta e Settanta, e anche della preparazione e della bravura dei conduttori che fecero la storia della Radiotelevisione Italiana. Negli anni a che succedettero, la Rai si trovò ad affrontare svariate problematiche ma continuò nel suo processo di modernizzazione mentendo sempre la classe che da sempre, e per sempre, contraddistingue il servizio pubblico nazionale di radio e televisione. Infine posso dire che la Rai ha dimostrato di avere nel proprio DNA una sorta di eternità, un siero di lunga vita che deriva anzitutto dalla competenza di chi gestisce l’azienda Rai, ma anche dalla perfetta commistione di storia, classe e la voglia di modernità che dimostra. La mostra rappresenta un vero e proprio excursus storico in cui vengono ripercorsi gli avvenimenti più rilevanti del nostro Paese ed il modo in cui sono stati raccontati agli italiani. Ogni decennio sarà raccontato tramite un filmato che ne ripercorrerà i momenti storici più rivelanti. La magia della mostra si apre con un’area sorprendente,piena di ricordi ed emozioni, in cui la storia della tv e della radio diventa interattiva, grazie alle installazioni del Museo della Radio e della Televisione Rai: due consolle multimediali atti verranno alcune radio e tv d’epoca, attraverso le quali si potranno ascoltare e visionare, a scelta, contenuti relativi ai momenti salienti dei primi 40 anni di storia del Paese, come il primo, storico annuncio radiofonico del 6 ottobre 1924. Il percorso espositivo si sviluppa fra materiali audiovisivi, cartacei, fotografici, apparecchiature d’epoca, costumi, sale interattive ed allestimenti di set, unitamente ad opere d’arte di assoluto rilievo appartenenti alla collezione Rai. La Rai nel tempo ha saputo adattare mezzi e linguaggi al progresso tecnologico e sociale del Paese, pertanto lo sguardo non è solo rivolto al glorioso passato della Rai, l’esposizione rende protagonisti anche argomenti attuali: l’Intelligenza artificiale è applicata al tema dell’ideazione e della produzione di prodotti audiovisivi. Approfondimenti utili per aumentare la consapevolezza e senso critico su tematiche e tecnologie emergenti che crescono e si diffondono a grande velocità. Con il supporto del Centro Ricerche, Innovazione Tecnologica e Sperimentazione RAI, un’area della mostra sarà dedicata ad illustrare i progetti internazionali dedicati all’intelligenza artificiale, e grazie alle tecnologie del Centro Ricerche, il pubblico si potrà cimentare in una divertente play ground che unisce scenari virtuali 3D e tecniche di realtà aumentata.
Museo Maxxi di Roma
70 Anni di Televisione e 100 Anni di Radio
dal 10 Ottobre 2024 al 3 Dicembre 2024
dal Martedì alla Domenica dalle ore 11.00 alle ore 19.00
Lunedì Chiuso