Una commissione d’inchiesta per individuare le responsabilità delle autorità israeliane negli eccidi del 7 ottobre è stata chiesta con forza dai cittadini israeliani che hanno preso parte al National Memorial Ceremony for Bereaved Families, allo Yarkon Park di Tel Aviv, nella serata di ieri. Ad organizzare la commemorazione, l’associazione che riunisce i familiari delle persone prese in ostaggio dai miliziani di Hamas un anno fa, o decedute a causa degli scontri. «La guarigione arriva con quando si accettano le proprie responsabilità», ha affermato dal palco Rafi Ben Shitrit, che ha perso il figlio, un sergente maggiore dell’esercito, nell’aggressione. «Il mio amato figlio e altri eroici soldati si sono presi la responsabilità, si sono sacrificati e hanno dato la vita per il Paese». Per questo, ha continuato Ben Shitrit, «chiedo da questo palco la formazione di una commissione d’inchiesta statale, per indagare in modo approfondito ed esteso sul disastro del 7 ottobre». Stando alla testata Times of Israel, dal palco in tanti hanno espresso critiche contro l’attuale governo. Il raduno è stato limitato a soli 2mila partecipanti «per ragioni di sicurezza», come ha comunicato l’esercito qualche giorno prima agli organizzatori, i quali hanno fatto sapere che subito dopo l’annuncio della data del memoriale erano stati venduti 40mila biglietti «in otto ore». Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha già sostenuto la proposta di indagare sui fatti del 7 ottobre, in cui sono morte 1.200 persone tra cui numerosi civili, mentre ancora un centinaio di persone restano in ostaggio delle 240 catturate quel giorno. Ma come evidenzia la testata locale, i familiari degli ostaggi non avrebbero fiducia in questa iniziativa, ritenendolo direttamente responsabile. Una delegazione che ha incontrato il premier ad agosto ha espresso disappunto per il fatto che Netanyahu non avrebbe indicato il salvataggio degli ostaggi come una priorità della politica di Tel Aviv a Gaza rispetto alla messa in sicurezza dei confini di Israele. Nella serata di ieri, durante il gabinetto di guerra, il premier Netanyahu ha rivendicato invece gli sforzi compiuti per respingere l’assalto di un anno fa ad opera dei combattenti dell’ala militare di Hamas, e proposto di modificare il nome dell’operazione in corso a Gaza da «Spada di ferro» a «Guerra della rinascita», sostenendo che renderebbe «in modo migliore il senso di quello che stiamo facendo». La proposta non ha trovato sostegno. In un post su X il leader dell’opposizione Yair Lapid ha poi scritto: «Non ci sarà alcuna rinascita fintanto che tutte le persone rapite e sfollate non torneranno alle loro case. Puoi cambiare tutti i nomi che vuoi, ma non cambierai il fatto che sotto la tua guida il popolo di Israele ha subito il disastro peggiore dalla fondazione del paese». Sempre nella serata di ieri è intervenuto in un video di 25 aminuti anche il portavoce delle Brigate al-Qassam, Abu Obeida, ossia il braccio armato del movimento Hamas, così come riferisce la testata Middle East Eye. Obeida ha chiarito che «non è possibile escludere la possibilità che altri prigionieri israeliani siano morti» in questi 12 mesi, puntando il dito contro «il fuoco incrociato», quindi ha accusato il governo israeliano del loro «destino», sostenendo che la milizia «avrebbe potuto metterli a rischio, a seconda delle circostanze sul campo». «Quello che è successo ai sei ostaggi a Rafah potrebbe accadere di nuovo, se Netanyahu e il suo governo sanguinario persistono» nell’offensiva contro la Striscia, come ha detto Abu Obeida, in riferimento ai corpi senza vita dei sei ostaggi rinvenuti ad agosto in circostanze ancora da chiarire, e senza fornire ulteriori dettagli sulla dinamica dei fatti. Poi, rivolgendosi al governo israeliano, ha aggiunto: «Avreste potuto reclamare tutti i vostri prigionieri un anno fa», ha aggiunto, affermando che l’intenzione sarebbe «sempre stata quella di tenerli in vita a Gaza» per «scambiarli» con i detenuti palestinesi nelle prigioni israeliane.
Alessandra Fabbretti