Una mostra dedicata a Luigi Ghirri il Maestro della Fotografia contemporanea
Giovanni Cardone
Fino al 26 Gennaio 2025 si potrà ammirare al Museo Masi di Lugano la mostra dedicata a Luigi Ghirri “Luigi Ghirri. Viaggi Fotografie 1970-1991” a cura di James Lingwood e il coordinamento di Ludovica Introini. Il progetto espositivo al MASI racconta la fascinazione di Ghirri per il viaggio – sia reale che immaginario. Attraverso un’accurata selezione di circa 140 fotografie a colori, per lo più stampe vintage degli anni Settanta e Ottanta provenienti principalmente dagli Eredi di Luigi Ghirri e dalla collezione dello CSAC di Parma, la mostra offre al pubblico l’occasione di scoprire non solo gli scatti più noti, ma anche quelli meno conosciuti. L’esposizione celebra Luigi Ghirri, maestro della fotografia contemporanea, in occasione del trentennale dalla morte, attraverso una mostra che vuole proporsi come un racconto emozionale, un percorso che disveli al visitatore il modo in cui Ghirri entra in rapporto con le cose, celebrando l’artista e ponendo l’attenzione sulla sua intima necessità di fotografare. Obiettivo del progetto espositivo, è ricordare l’artista analizzandone la ricerca fotografica dal punto di vista delle motivazioni e dei sentimenti attraverso un percorso che ne tocca i punti di interesse e le questioni. Reggiano di origine,grazie all’assidua frequentazione del gruppo degli artisti concettuali modenesi, Ghirri si avvicina alla fotografia intorno agli anni ’70, i primi scatti sono realizzati durante le vacanze estive o i fine settimana e tanto basta perché si renda conto che la macchina fotografica sarebbe stato il medium perfetto, un incredibile linguaggio visivo capace di saziare il “desiderio d’infinito che è in ognuno di noi”. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Luigi Ghirri apro il mio saggio dicendo : Che questo grande maestro della fotografia di origine di Reggio Emilia, nacque il 5 gennaio del 1943 mentre nel 1946 si trasferì con la sua famiglia a Braida, frazione di Sassuolo, presso il collegio di S. Carlo, dove rimase fino al 1960, quindi si stabilì a Modena. Nel 1962 terminati gli studi d’indirizzo tecnico scientifico intraprese l’attività di geometra. Contemporaneamente coltivò, da autodidatta, la passione per la fotografia realizzando i suoi primi scatti con una Comet Bencini. Tra il 1970 e il 1973 entrò in contatto con giovani artisti modenesi impegnati in ricerche d’area concettuale; tra gli altri, collaborò con Franco Guerzoni, Giuliano della Casa, Claudio Parmiggiani e Franco Vaccari. Nel dicembre del 1972 tenne la sua prima personale presso la galleria Sette Arti club di Modena, presentato proprio da Vaccari, il cui lavoro influì profondamente sulle fotografie realizzate dal Ghirri nel periodo iniziale per esempio, l’installazione esposta proprio quell’anno alla trentaseiesiama Biennale di Venezia, composta da una cabina per fototessere e dagli scatti che i visitatori realizzavano durante il corso dell’esposizione, potrebbe avere influito sulla serie Infinitoeseguita dal Ghirri due anni dopo. In occasione della personale modenese del 1972 il Ghirro incontra critici del calibro Massimo Mussini e Arturo Carlo Quintavalle, che diverranno in seguito i suoi principali sostenitori, oltre a Lanfranco Colombo, che nel gennaio del 1974 ospitò a Milano, presso la galleria Il Diaframma, da lui diretta, il ciclo Paesaggi di cartone, presentato in catalogo da un testo di Mussini. Abbandonata definitivamente l’attività di geometra, dal 1973 il Ghirri lavorò come grafico presso lo studio Uni di Modena l’anno seguente, insieme con Margherita Benassi e Paola Borgonzoni, aprì il Grafica studio. Nel 1978 con quest’ultima e il fotografo Giovanni Chiaramonte, fondò la casa editrice Punto e virgola che, specializzata in fotografia, pubblicò in collaborazione con la francese Countrejour, fino al 1982, quando venne assorbita dall’editore Jaca Book di Milano. La cultura figurativa di Luigi Ghirri trova fondamento nelle poetiche del Novecento, dall’objet trouvé dadaista all’arte concettuale; mentre, in campo fotografico, alla base della sua formazione è l’opera degli statunitensi W. Evans e L. Friedlander, dei francesi E. Atget e A. Sander. Le prime prove del G. rivelano, inoltre, uno spiccato interesse per la pop art americana di R. Lichtenstein, J. Dine e T. Wesselman; l’approccio ironico e surreale del Ghirri sottolinea il carattere fittizio della visione della realtà proposta dai mezzi di comunicazione di massa. Dal 1970 al 1979 il Ghirri lavorò contemporaneamente a numerosi cicli che, concepiti come una struttura aperta, prevedevano la possibilità di inserire di volta in volta le foto di uno di essi dentro la serie di un altro elemento peculiare dell’intero corpus fotografico è l’impiego esclusivo di pellicola a colori. I cicli di maggiore durata che interessarono praticamente tutti gli anni Settanta vennero affiancati da ricerche più brevi, come Colazione sull’erba, del 1972-74, Km 0,250 e Atlante, del 1973, oppure In scala del 1977. L’attività del Ghirri è, in questi anni, indirizzata verso una sottile indagine dell’ambiente urbano e naturale, in un’analisi delle ambiguità e delle contraddizioni del presente. Il suo linguaggio prescinde da finalità documentarie e, specie in Atlante e Infinito del1974, risente della speculazione sul medium fotografico che Ugo Mulas compì tra il 1972 e il 1974 nelle Verifiche. Lo sguardo sulla realtà contemporanea proposto dal G. risulta lontano sia da una visione antropologica, quale quella del fotografo Mario Cresci, sia dalle riflessioni sulla storia dell’arte di un Antonio Migliori. Nel 1975 venne scelto tra le discoveries dalla rivista Time Life photography, che pubblicò nello stesso anno un portfolio con otto immagini; due anni dopo, insieme con Gianni Berengo Gardin, Mario De Biasi e Franco Fontana, venne segnalato nel catalogo Bolaffi della fotografia. L’attività espositiva culminò nel 1979 con l’antologica, curata da Quintavalle e Mussini, al Centro studi archivio comunicazione dell’Università di Parma, dove espose, tra le altre, la serie Kodachrome, pubblicata l’anno precedente in Italia e in Francia con la presentazione di P. Berengo Gardin. Nel 1980 tenne un’importante personale al palazzo dei Diamanti a Ferrara, oltre a quelle presso la galleria Rondanini di Roma e la Light gallery di New York, dove espose il ciclo Still life. L’invito del direttore della Polaroid international di Amsterdam, nel 1980 e nel 1981, a compiere ricerche su un apparecchio fotografico a banco ottico, permise al Ghirri di sperimentare il grande formato le immagini realizzate furono in parte pubblicate nel 1982 in una selezione della collezione Polaroid ed esposte nello stesso anno all’Expo di Bari. Sempre nel 1982 Luigi Ghirri presentò il nuovo ciclo Topographie- Iconographiealla galleria Pol di Monaco di Baviera e allo studio Marconi di Milano mentre in settembre, a Colonia, alla mostra Photography 1922-1982 allestita nell’ambito della rassegna Photokina, il G. propose alcune foto di architettura, e venne premiato tra i migliori venti fotografi degli ultimi anni. Il tema dell’architettura venne approfondito l’anno seguente grazie al servizio sul cimitero di Modena progettato da Aldo Rossi, commissionato da Vittorio Savi per la rivista Lotus international l’impegno in questo campo proseguì fino al 1989, in collaborazione con architetti quali P. Portoghesi, L. Figini e G. Pollini, V. Gregotti. La sua attività di curatore iniziò nel 1983 con Penisola, una mostra sulla giovane fotografia italiana al Forum Stadtpark di Graz. Nel 1984 curò, insieme con Giovanni Leone ed Enzo Velati, la collettiva itinerante Viaggio in Italia, alla quale partecipò anche come espositore: qui propose un nuovo modo di intendere il paesaggio, che venne ulteriormente approfondito nella successiva collettiva Esplorazioni lungo la via Emilia nella proposta di Ghirri la fotografia di paesaggio non è più intesa soltanto come «narrazione», ma diventa trait d’union con l’architettura, la letteratura, la musica, il cinema e la poesia, in un continuo confronto di culture e modelli. La diffusione del lavoro del Gherri divenne più ampia e popolare grazie anche alle quaranta copertine commissionate dalla casa discografica RCA per la serie di musica classica; a quelle per alcuni musicisti emiliani, come Lucio Dalla, Francesco Guccini e Luca Carboni alle illustrazioni di libri di narrativa, per esempio, di G. Celati o, in seguito, di I. Calvino.
L’indagine speculativa sul medium fotografico accompagna il lato pratico della sua professione e diventa più rilevante alla metà degli anni Ottanta; dall’insegnamento di tecnica e storia della fotografia presso l’Università di Parma dal 1984, alla conferenza Opera aperta tenuta presso l’Università della Sorbona di Parigi e pubblicata in Les Cahiers de la photographie nel 1985, al simposio sulla fotografia americana ed europea a Graz nel 1985 organizzato insieme con i fotografi R. Frank e W. Eggleston. Nel 1986 realizzò per il Touring Club italiano due volumi dedicati all’Emilia Romagna e organizzò la mostra antologica su J.-H. Lartigue allestita al teatro Valli di Reggio Emilia. Nel 1988 curò, per la Triennale di Milano, la sezione fotografia della rassegna Le città del mondo, il futuro della metropoli. Le sue ricerche sul tema del paesaggio proseguirono con l’esposizione Paesaggio padano alla medesima edizione della Triennale milanese, e trovano una ideale conclusione negli ultimi cicli, Paesaggio italiano e Il profilo delle nuvole. Immagini di un paesaggio italiano, con i testi dello scrittore Gianni Celati, che vennero pubblicati nel 1989. Luigi Ghirri morì nella sua casa di Roncocesi, in provincia di Reggio Emilia, il 14 febbraio del 1992 venne pubblicato postumo un importante lavoro su Giorgio Morandi e il suo studio bolognese che lo aveva impegnato per circa due anni. Come ho detto precedentemente Gianni Celati come Luigi Chirri si avvicinarono alla fotografia fin dagli anni Sessanta del secolo scorso e stabilisce uno stretto dialogo con vari fotografi, in particolare con Carlo Gajani, artista e fotografo bolognese, poi con Luigi Ghirri, la cui opera diventa un punto di riferimento importante nei suoi testi narrativi e cinematografici, e in vari saggi critici, editi ed inediti. Celati conosce Ghirri nei primi anni Ottanta, in seguito al suo invito di scrivere delle «descrizioni di paesaggi che entrassero in risonanza con la loro ricerca» , cioè con la ricerca dei fotografi coinvolti da Ghirri in Viaggio in Italia, un progetto del 1984 che ha ridefinito la fotografia italiana contemporanea. Ne risultano il palinsesto generativo che è Verso la foce, pubblicato prima in due testi brevi del 1984 e 1987 e poi in volume nel 1989, e i nuclei di novelle e racconti pubblicati negli anni Ottanta e successivamente Narratori delle pianure, Quattro novelle sulle apparenze e Cinema naturale. Avvalendomi del ricco materiale d’archivio del Fondo Celati della Biblioteca Panizzi a Reggio Emilia e del Fondo Gajani a Bologna, in questo saggio considererò la riflessione celatiana sulla fotografia, e sulla risonanza fra fotografia e scrittura e descrizione del paesaggio, nel contesto di un più ampio discorso sulle immagini e sulla visione. Prendendo spunto da quella che Michele Vangi definisce la «modalità riflessiva» del rapporto tra letteratura e fotografia, atta a «constatare che di solito, la riflessione letteraria sulla fotografia sollecita un’autoriflessione, cioè una riflessione sulle possibilità e limiti della letteratura stessa» , valuterò la funzione generativa che la fotografia ricopre nell’opera celatiana, quale mezzo per aprirsi in modo nuovo alla visione del paesaggio negli anni Ottanta, e, non meno importante, per riflettere sulla (propria) scrittura e rimodellare la propria immagine autoriale in quegli anni. Dopo un breve spoglio della biblioteca celatiana sulla fotografia, considero la consonanza di alcuni scritti celatiani sul Ghirri e sul Gajani i due fotografi con cui ha avuto una più stretta collaborazione e la loro risonanza con testi editi e manoscritti di Verso la foce. La mia analisi storiografica mostrerà come Celati intenda la fotografia come una guida per «pensare lo spazio esterno» e come «pratico pensare per immagini», in linea con l’estetica ghirriana. Come per Ghirri e Gajani, l’interesse di Celati per la fotografia va iscritto all’interno di un più ampio interesse verso quelle arti visive e nel contempo garantire quella indipendenza tra le arti. Se Ghirri pensava alla fotografia come arte dell’immagine in dialogo con varie arti e discipline e come frutto di ‘una serie di relazioni tra i diversi mondi della comunicazione’ dalla pittura, al cinema, all’immagine pubblicitaria come rivela nelle sue Lezioni di fotografia, e come si evince dal suo lavoro, a partire dal suo primo libro Kodachrome del 1978 similmente Celati iscrive la fotografia, a fianco della scrittura, in un più ampio discorso sulle immagini, i meccanismi della visione, le arti visive, i rituali collettivi, la percezione e l’esperienza dell’esterno. L’idea celatiana di fotografia come per Ghirri si basa sulla tradizione delle arti visive, del cinema soprattutto Antonioni, Fellini, Rossellini, Wenders, e su esempi classici quali la collaborazione tra Strand e Zavattini per Un paese, sulla fotografia tedesca, inglese e soprattutto americana, e su alcuni testi teorici chiave, da Roland Barthes a John Berger, con cui Celati ha collaborato a lungo.
Ciò emerge da uno spoglio della biblioteca celatiana conservata presso la Biblioteca Panizzi, che in circa duecento volumi offre un interessante spaccato di alcune delle letture fatte dall’autore negli anni Ottanta e Novanta. Oltre a volumi sull’arte ad esempio su Piero della Francesca, Cézanne, Brueghel, Friedrich o testi teorici di varie discipline, colpisce il numero limitato di testi sulla fotografia: una ventina di volumi, tra libri fotografici, teorici e cataloghi, pubblicati dagli anni Settanta ai primi anni Novanta, oltre ad una decina di volumi di e su Ghirri. Troviamo ad esempio libri su fotografi americani ed europei, da Ansel Adams a Paolo Monti, come pure sulla fotografia locale e sul Po. I testi teorici includono fra gli altri l’edizione inglese di Camera chiara di Roland Barthes ed alcuni volumi pubblicati da Linea di Confine per la Fotografia Contemporanea, organizzazione emiliana che dal 1989 organizza progetti internazionali di analisi del territorio. Nella biblioteca celatiana della Panizzi sono inoltre presenti molti testi di scrittori con cui Celati mostra una consonanza di vedute in quegli anni, in primo luogo Italo Calvino e Peter Handke, i testi più sottolineati ed annotati dall’autore sono Palomar, Se una notte d’inverno un viaggiatore e Lezioni Americane di Calvino, e Lento ritorno a casa di Handke, soprattutto in passaggi che riguardano la visibilità e la descrizione del paesaggio. Se per Calvino la parola scritta nasce «prima come ricerca d’un equivalente dell’immagine visiva», come suggerisce in «Visibilità» unico passaggio sottolineato da Celati in questa lezione americana, per Celati, come si evince in un brano inedito «Sulle immagini», la «possibilità di apparizione delle immagini resta sempre una possibilità immaginaria» , un tentativo o, per citare un termine ricorrente nei titoli dei libri di Handke, un Versuch, che in tedesco indica sia tentativo che saggio critico. Per Celati, come per Ghirri, la capacità di vedere queste «apparizioni» e di riprodurle in scrittura, come in fotografia, non è un dono dato a tutti solo perché si hanno gli occhi, ma offerto solo a chi trovi una Stimmung con il luogo, una consonanza con i paesaggi descritti, una risonanza (emotiva) che sottintende un dialogo fra pari e quindi un ascolto. Di conseguenza, la descrizione di un luogo che Celati auspica sia nella fotografia che nella scrittura deve accordarsi alle immagini evocate dal luogo stesso, come avviene nel lavoro di Ghirri. Nel saggio «Commenti su un teatro naturale delle immagini», posto a introduzione al fotolibro ghirriano Il profilo delle nuvole, Celati dichiara che il testo «non è un documentario fotografico sulla situazione storica d’un paesaggio italiano, ma piuttosto sui modi di guardare già previsti in un paesaggio, e sulle loro risonanze affettive» . Per Celati, come per gli scrittori sopracitati, l’apertura all’immagine, in particolare quella fotografica, rappresenta sia un’apertura al visivo e ad altri codici, che un un approccio fenomenologicamente nuovo all’esterno e alla descrizione. Nella lezione «Leggerezza», un testo pesantemente annotato nella biblioteca celatiana, Calvino sostiene: «Voglio dire che devo cambiare il mio approccio, devo guardare il mondo con un’altra ottica, un’altra logica, altri metodi di conoscenza e di verifica» termine che rimanda al titolo di un’importante serie fotografica di Ugo Mulas, Le verifiche, chiave di volta autoriflessiva per la fotografia italiana, proprio come le Lezioni americane lo sono per la letteratura, ed altre discipline. Celati sembra fare altrettanto nell’aprirsi alla fotografia quale nuova epistemologia, ma anche, contrariamente a Calvino, e in parte proprio in risposta ad una letteratura che egli reputa troppo cerebrale ed asfittica, come quella di Calvino, quale metodo di lavoro sul campo, come passaggio dall’idea alla pratica dell’arte, fatta sul momento, in linea con la pratica fotografica come suggerisce Elisabetta Rasy in una delle prime recensioni a Verso la foce un approccio che permette a Celati di dar vita a una nuova modalità narrativa imperniata su una maggiore risonanza con il paesaggio. In linea con scrittori e fotografi a lui affini, in vari saggi editi ed inediti, l’autore iscrive la fotografia in un più ampio discorso sul «pensare per immagini» che permetta di vedere e descrivere l’esterno con una lingua «necessaria», che esuli dal pensiero discorsivo ma si apra invece all’indeterminatezza. Nel saggio del 1992 «Soglia per Luigi Ghirri», Celati definisce la fotografia di Ghirri come «pratico pensare per immagini», «che è anche il pensiero del limite della misura», una «misura scalare che pone ogni cosa nella sua distanza, la distanza delle cose da noi» e che, in contrasto al «pensiero discorsivo con le sue spiegazioni e valutazioni». Con «pensare per immagini» Celati riprende una frase spesso usata da Ghirri per definire il «senso del suo lavoro», ad esempio nel saggio di introduzione a Kodachrome Ghirri 1997, una frase forse ispirata al titolo di un articolo di Gillo Dorfles trovato per strada e da Ghirri ripreso in una nota fotografia, Roma 1978. In quest’articolo il critico sostiene che il pensiero per immagini ci può far avvicinare alla realtà nascosta delle cose più del pensiero logico-scientifico un approccio consono a quello di Ghirri e Celati. Per Celati, la «soglia del lavoro di Ghirri» è «ben rappresentata da quei due alberi piantati nella nebbia», in cui “è ordine anche se c’è nebbia” (Celati 2004), quindi da una dialettica apparentemente impossibile: da una lato l’inquadratura, che sospende «frammenti del visibile» e ci permette appunto di vedere, dall’altro la nebbia, come «l’estrema ricerca d’una misura», quella dell’infinito a cui Ghirri tendeva e della «respirazione della terra». Se per Ghirri questa ricerca, nelle parole di Giorgio Messori, tende «a vedere oltre il visibile, o meglio a vedere il pensiero che abita il visibile che si è voluto inquadrare» e a farci «entrare in uno spazio di immaginazione e memoria» (Messori 1992), così per Celati questa «misura scalare» «ci permette di affidarci ad apparizioni che non sappiamo bene cosa possano significare, ma che a volte diventano una misura per vedere tutto il resto» (Celati 2004). Similmente, nel saggio inedito su Wittgenstein «La media oscurità dell’esperienza», Celati definisce l’esperienza dell’esterno come «metro di misura, ma dipendente da qualcosa che è il contrario delle certezze, ossia l’esitazione» e come «un apprendimento a immaginare delle possibilità» , rivelando una chiara risonanza tra la sua riflessione sulla fotografia e quella sulla percezione e esperienza dell’esterno dello stesso periodo. Il «pensare per immagini» che Celati a sua volta definisce «un modo ricettivo del pensiero» nella recensione ai saggi di Ghirri, «Luigi Ghirri. Leggere e pensare per immagini» pubblicata da Marco Sironi è alla base della riflessione di entrambi in quegli anni, come suggerisce anche Ennery Taramelli , ed in linea con il dibattito teorico del tempo sulla fotografia e sulle discipline dell’immagine e della visione, da Barthes a Eco al già citato Dorfles, come si evince ad esempio dall’antologia di scritti teorici sulla fotografia raccolta da Marra del 2001. Allo stesso modo, il «pensare per immagini» permette a Celati di accostare vari codici e media, dalla fotografia al cinema alla scrittura, in vari saggi quali «Commenti a un teatro naturale delle immagini» e «Collezione di spazi» e in numerosi testi autografi, tra cui gli appunti frammentari sull’immagine del faldone dove il nome di Ghirri appare a fianco di vari artisti o scrittori da Masaccio a Antonioni, da Ariosto a Leopardi, da Vermeer a Giacometti, per citarne solo alcuni presi a modello per un’arte del narrare per immagini. Celati riflette sul continuum e il discreto e sulla scrittura, il cinema e la fotografia e si domanda in uno schemino se siano mezzi di comunicazione, azione o descrizione. Questo schema è seguito da due equazioni: «Wenders = il cinema; Ghirri = la foto», ulteriore conferma della centralità dell’opera ghirriana nel pensiero celatiano sulla fotografia. Posso certamente affermare che Luigi Ghirri con la sua fotografia ha lasciato una traccia indelebile nella Storia della Fotografia ma ancora più forte nella Storia dell’Arte per la sua visione globale che questo grande artista aveva. La mostra si apre con una prima sezione introduttiva, dedicata alla vita e al racconto del suo avvicinamento all’obiettivo fotografico. Luigi Ghirri si forma così, inevitabilmente, la sua personalità sensibile ai cambiamenti e desiderosa di conoscenza; la fotografia diviene il mezzo per guardare a fondo le cose, conoscerne l’origine e il divenire. Il percorso prosegue con le sezioni dedicate ai luoghi, ai volti del tempo, ai non luoghi, all’arte e in fine ad Aldo Rossi, con il quale condivide l’interesse per la periferia, spazio che, a parere di entrambi, racchiude in sé forza evocativa di storia e memoria. Ghirri è attratto dall’ambiente che abita l’uomo, quello in cui egli si muove, non ai mutamenti del paesaggio, ma ai cambiamenti del vivere. Quello dell’artista è un universo a tratti malinconico, incantato, sospeso e romantico, che trova senso nelle piccole cose, nello stupore e nella meraviglia che scaturisce dal guardare le cose senza il velo dell’abitudine.
Con i suoi scatti di mostra come la fotografia sia generatrice di mondi possibili, mai artificiosi e irreali, ma che sempre raccontano la percezione di un’altra verità, frutto del perfetto “equilibrio tra rilevazione e rivelazione”. Durante tutta la sua carriera Ghirri fotografa un’enorme quantità di soggetti differenti, decidendo di non identificarsi in un genere o stile poiché reputa questa una scelta rischiosa, una limitazione della libertà di espressione. La sua è una fotografia che si oppone a qualsiasi specie di “censura” linguistica; anche le sue indagini rimangono volutamente aperte, non tendono ad una risposta unica e definitiva ma si prestano a infinite combinazioni e interpretazioni, coerentemente con la sua idea di fotografia.
Museo Masi Lugano
Luigi Ghirri. Viaggi Fotografie 1970-1991
dall’8 Settembre 2024 al 26 Gennaio 2025
dal Martedì al Venerdì dalle ore 11.00 alle ore 18.00
Giovedì dalle ore 11.00 alle ore 20.00
Sabato e Domenica dalle ore 10.00 alle ore 18.00
Lunedì Chiuso
“Luigi Ghirri. Viaggi Fotografie 1970-1991” Foto credit © MASI Lugano, Fotografo Gabriele Spalluto.
Lugi Ghirri Rimini 1977 Lambada print , new print 2002
Alpe di Siusi 1979 C- print, new print 2001
Foto Eredi di Luigi Ghirri Courtesy Eredi di Luigi Ghirri © Eredi di Luigi Ghirri