La vicenda della balenottera ferita intrappolata nel porto di Talamone (GR) non è, purtroppo, un caso isolato. Il maestoso gigante del mare era ferito e aveva poche possibilità di sopravvivere, per questo motivo è stato sedato e si è ricorso all’eutanasia. Lo scorso mercoledì, la Guardia Costiera aveva tentato di trainare verso il largo la balenottera che, in stato confusionale, è tornata dentro il porto. Con molta probabilità, la balenottera di Talamone, lunga undici metri e pesante circa nove tonnellate, è la stessa che era stata avvistata a Porto Santo Stefano. Ora il gruppo Cert (Cetacean strandings Emergency Response Team) di Padova, guidato dal professor Sandro Mazzariol del Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione dell’Università degli Studi di Padova, dovrà procedere all’analisi necroscopica per cercare di far luce sulle cause che hanno determinato il fatale disorientamento del cetaceo.
«Oltre alle collisioni con le grandi navi, già un problema drammatico, oggi preoccupano anche le barche a motore da diporto, che in Mediterraneo stanno avendo una enorme crescita» commenta Maddalena Jahoda, ricercatrice e divulgatrice scientifica dell’Istituto Tethys Onlus, l’organizzazione senza fini di lucro dedicata alla conservazione dell’ambiente marino attraverso la ricerca scientifica e la sensibilizzazione del pubblico. La vicenda della balenottera di Talamone fa tornare alla mente il caso del capodoglio avvistato il 20 luglio e poi nuovamente il 23 dai biologi e partecipanti a bordo della barca da ricerca «Pelagos»: il cetaceo, chiamato Atlante, a cui manca complessivamente circa un terzo della coda. Nei cetacei (balene e delfini), la coda è organo di propulsione; nei capodogli, emerge sopra la superficie al momento dell’immersione, permettendo ai ricercatori di distinguere gli individui. «Difficile non pensare subito all’elica di un’imbarcazione come causa delle impressionanti cicatrici di Atlante»»spiega Maddalena Jahoda.
Nel Mediterraneo vivono probabilmente meno di 2500 capodogli maturi e la popolazione è in diminuzione, classificata a rischio di estinzione nella Lista Rossa della IUCN. «Le collisioni tra cetacei e imbarcazioni, compresi i motoscafi da diporto, possono uccidere degli animali, ma anche lasciarli con gravi danni che possono compromettere le loro funzioni essenziali, come la capacità di alimentarsi, rappresentando di fatto una seria minaccia alla sopravvivenza della popolazione» dice Caterina Lanfredi vicedirettore del progetto CSR. Atlante era stato avvistato per la prima volta nell’ottobre 2021; negli anni successivi è stato rivisto con una certa regolarità sia nel Santuario Pelagos che nelle acque di Ischia. «Le cicatrici sulla sua coda potrebbero essere provocate non necessariamente dall’elica di una grande nave, ma da quella di un’imbarcazione di dimensioni minori. La sua particolarità è che si lascia avvicinare dalle barche senza dare segni di insofferenza e questo lo rende ancora più vulnerabile» commenta Roberto Raineri, comandante dell’imbarcazione «Pelagos». Per fortuna Atlante sembra relativamente in buona salute. Attraverso l’idrofono, un microfono subacqueo in uso per la ricerca, i biologi di Tethys hanno potuto scoprire di più su di lui: dalle sue vocalizzazioni si è potuto evincere che si stava alimentando e anche che era in contatto acustico con altri capodogli presenti nell’area.
Mirella Casadei