Riflettori di tutto il mondo puntati su Parigi dove venerdì 26 luglio, alle ore 19,30, si terrà la cerimonia ufficiale di apertura dei XXXIII Giochi Olimpici, mentre già da domani, mercoledì 24, inizieranno le prime competizioni. Circa 10.500 atleti di 205 Paesi partecipanti sfileranno prima su delle barche lungo il fiume Senna e poi in una cerimonia più tradizionale al Trocaderò, di fronte alla Tour Eiffel. Sotto la «bandiera» della squadra degli Atleti Rifugiati partecipano 36 atleti di 11 Paesi diversi che gareggiano in 12 sport; nella fattispecie vengono da Repubblica Democratica del Congo, Eritrea, Etiopia, Sudan, Sud Sudan, Siria, Iran, Camerun, Afghanistan, Cuba e Venezuela. La composizione della compagine è stata approvata dal Consiglio Esecutivo del CIO e si basa su una serie di criteri, tra cui le prestazioni sportive di ciascun atleta e il suo status di rifugiato verificato dall’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati (UNHCR). A far discutere è soprattutto la decisione del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) di bandire Russia e Bielorussia come nazioni. I due Paesi sono formalmente esclusi dai Giochi per l’attacco di Mosca all’Ucraina. Comunque i singoli atleti potranno partecipare in forma individuale, seppur senza bandiera e inno nazionale. Anche questa edizione dei Giochi Olimpici risentirà dunque della situazione geopolitica mondiale, dei conflitti e dei principali eventi che scuotono le società globale e le opinioni pubbliche mondiali. La speranza è che questa festa dello sport possa contaminare le diplomazie internazionali per arrivare ad una «tregua olimpica» e fermare le guerre in corso, come nelle speranze di Papa Francesco nell’Angelus di domenica 21 luglio. «Auspico che questo evento possa essere segno del mondo inclusivo che vogliamo costruire e che gli atleti, con la loro testimonianza sportiva, siano messaggeri di pace […]. Le Olimpiadi siano occasione per stabilire una tregua nelle guerre, dimostrando una sincera volontà di pace», ha detto Francesco. Riguardo l’ombra del contesto geopolitico che si riverbera su questi giochi, Riccardo Cucchi, una delle firme più note del giornalismo sportivo italiano sentito da Radio Vaticana-Vatican News, osserva che sta per cominciare una delle Olimpiadi più condizionate dalle tante guerre diffuse nel pianeta, «una realtà di guerra forse mai vista nelle storia dei Giochi». Cucchi, commenta l’esclusione di Russia e Bielorussia e ritiene «significativa» la partecipazione di una delegazione di atleti della Palestina, ridotta ad un numero esiguo a causa dei tanti sportivi uccisi nei bombardamenti sulla Striscia di Gaza. Infine il giornalista si sofferma anche sul controverso divieto imposto dalla Francia alle proprie atlete di partecipare alle gare con il velo islamico. Cucchi ha poi ricordato altri eventi storici che hanno condizionato le precedenti edizioni delle Olimpiadi e si è infine soffermato sullo spirito che ha animato il movimento olimpico moderno, ovvero «la volontà non dichiarata di sterilizzare le guerre», perché la pratica sportiva fa sì » che questa ansia di competizione e aggressione su un campo sportivo possa essere calmierata», «lo sport insegna – prosegue – che gli uomini possono anche battersi, ma senza spargimento di sangue, senza uccidersi». Purtroppo, conclude Cucchi, «questa speranza in troppe occasioni è stata delusa e lo sport non ha potuto contribuire alla pace».
Marco Guerra