In occasione del Forum Brainstorm Innovation di Fortune Italia, evento organizzato in collaborazione con il Centro di Ricerca Strategic Change «Franco Fontana» della LUISS, il Sen. Giulio Terzi (FdI) è intervenuto nella discussione sul tema «Greater Bay Area: quale risposta dall’Europa?». I relatori hanno affrontato la questione dello sviluppo tecnologico ed economico europeo a fronte dell’iniziativa cinese che, secondo i piani di Pechino, diverrà entro il 2035 il nuovo baricentro dell’innovazione mondiale. Terzi ha innanzitutto sottolineato che «un obiettivo è certamente il raggiungimento della supremazia tecnologica mondiale da parte della Cina, ma vi è di più: la Greater Bay Area rientra nella Belt and Road Initiative, così come vi rientra anche l’integrazione militare-civile. Non tanti hanno colto il significato geopolitico di aver concentrato nella zona interessata 86 milioni di abitanti. Un’area di assoluta strategicità per il governo cinese e per il Partito comunista cinese con una importante presenza di forze navali – considerate il fiore all’occhiello del People Liberation Army – che quindi delineano un sistema duale civile/militare completamente integrato. È questo il ragionamento all’origine della Greater Bay Area e della militarizzazione del Mar Cinese Meridionale. Per rendersi conto di cosa si celi veramente dietro alle promesse di crescita della GBA – ha proseguito Terzi – è sufficiente consultare il documento di base, il Piano di Azione, con cui Pechino ha stabilito la piena integrazione del People Liberation Army nelle ricerche più avanzate in tutte le tecnologie, le start-up, le aggregazioni industriali esistenti in quella zona. Ciò vuol dire che, in base alla legge sulla sicurezza nazionale in vigore in Cina, ogni informazione, ogni attività di un qualsiasi Board of Directors, è monitorata e condivisa con la sfera militare. Coloro che una volta si chiamavano ‘commissari del popolo’, oggi si chiamano ‘funzionari’ o ‘esperti’ gentilmente invitati dal governo cinese a far parte di rilevanti Board of Directors. Una grande area diretta da un sistema politico come quello comunista-cinese che impone agli scienziati – milioni negli anni, e almeno un milione all’anno – che vengono in Occidente di tornare in patria con le conoscenze acquisite e con l’obbligo di mettere l’intero «sapere» a disposizione di questo sistema civile/militare. Non è un caso che nella Greater Bay Area vi sia un numero altissimo di PhD nazionali cinesi, stimati attorno al 20% del totale. Nell’Unione europea, come nei Paesi che si riconoscono nel nostro sistema di regole universali, siamo legati ad un ordine internazionale basato sui trattati ratificati, sulla legge internazionale, sugli elementi ritenuti essenziali dai nostri sistemi politici, a cominciare dalla libertà. Per questo non obbligheremo mai, non ricatteremo mai i nostri scienziati, i nostri «Leonardo», con minacce a loro o alle loro famiglie di ritorsioni qualora non ottemperassero a determinate direttive politiche. Le conseguenze di un simile sviluppo che avanza sotto il controllo e l’impulso dell’Esercito Popolare di Liberazione devono preoccuparci, soprattutto alla luce dell’aggressività cinese. Lo dimostra la politica di Pechino nei confronti di Hong Kong, Xinjiang, Taiwan e lo dimostra il fatto che Russia e Cina siano ‘incondizionatamente’ alleate e collaborino strettamente nel perseguire tutti gli obiettivi strategici sia di Mosca, sia di Pechino, nelle rispettive aree di specifico interesse: come enfaticamente dichiarato in diverse occasioni da Putin e da Xi Jinping. Venendo al tema della transizione verde Terzi ha poi evidenziato l’importanza di seguire politiche energetiche indipendenti. In merito alla scelta di applicare i dazi da parte dell’UE sulle auto elettriche made in China, ha commentato «è proprio sulle politiche green occidentali che la Cina si è di fatto inserita nei nostri sistemi economici, assicurandosi il controllo delle materie prime più indispensabili per la transizione. Il primato sui pannelli solari, le pale eoliche oramai in fase avanzata e oggi le auto elettriche. Benché l’auto elettrica cinese sia a zero emissioni, ogni componente, a partire dalle batterie, è lavorato, raffinato, prodotto con energia proveniente dalle centrali a carbone, centrali di cui la Cina dispone e anzi, non esita a accrescere l’utilizzo. Basti pensare che lo scorso anno le importazioni nette di carbone sono aumentate del 63%. Siamo di fronte ad una dinamica quindi in cui non solo diventiamo più dipendenti dalla Cina ma inquiniamo di più. Nel settore delle auto elettriche il rischio di una vera e propria desertificazione c’è, in questo come altri settori naturalmente», ha concluso Terzi.