«Oggi siamo qui a commemorare un uomo libero e coraggioso ucciso da squadristi fascisti per le sue idee». Queste le parole usate dalla premier Giorgia Meloni, nel giorno dedicato al ricordo del deputato socialista Giacomo Matteotti. Fiero avversario del regime fascista di Benito Mussolini, dopo un suo discorso alla Camera in cui denunciava i brogli elettorali e chiedeva di annullare le elezioni, fu prima sequestrato e poi ucciso e sepolto in un campo vicino Roma.
Mussolini e Matteotti si conoscevano, tutti e due militavano nel Partito socialista. Si incrociarono anche al congresso di Rovig del 1914, dove vince la mozione Mussolini, al tempo direttore dell’Avanti, 309 voti contro i 198 voti presi dalla mozione Matteotti. Dopo la marcia su Roma la legge elettorale Acerbo spiana la strada al fascismo con l’incarico a Mussolini di formare il governo. E nelle aule parlamentari che Matteotti, ogni volta, sfida i fascisti. Molte volte parla da uomo del fare, di chi sa e conosce i problemi che vivono le persone e le soluzioni. Il 30 maggio il suo discorso contro i brogli elettorali, un intervento più volte interrotto da grida, minacce e risse. Matteotti non demorde, è un uomo pratico, insiste, gira per per trovare carte e documenti su loschi intrallazzi del fascismo, falsi bilanci, tangenti petrolifere (anche allora sigh), addirittura bische clandestine. Aveva in mano le prove e l’11 giugno sarebbe intervenuto alla Camera di nuovo per spiattellare tutto. Ma il giorno prima, il 10 giugno, viene rapito ed eliminato dai fascisti. Mussolini sapeva.
Furono anni terribili, nel 1921 ci fu il Congresso di Livorno con la scissione e la nascita del Partito comunista d’Italia. Tra socialisti riformisti e comunisti rivoluzionari che guardavano alla presa armata del potere così come si era fatto in Russia, gli scontri erano furiosi. Per capire, anche Antonio Gramsci, il leader comunista che Mussolini anni dopo incarcerò e fece morire dietro le sbarre.
Per capire, anche Antonio Gramsci, il leader comunista che Mussolini anni dopo incarcerò e fece morire dietro le sbarre, non fu affatto tenero con Matteotti. Dopo la morte, in un suo scritto, Gramsci definì Matteotti «pellegrino del nulla» spiegando che «il sacrificio di Matteotti si celebra lavorando alla creazione del solo strumento per cui l’idea da cui egli era mosso- scrive Gramsci- l’idea della redenzione completa dei lavoratori, possa ricevere attuazione e realtà: il partito di classe degli operai, il partito della rivoluzione proletaria» con la presa armata del potere. E qui sta la differenza tra i due pensieri, quello riformista e pratico del socialista Matteotti; quello più teorico del comunista Gramsci. «In determinati periodi- mi spiega Ernesto Irmici, socialista di vecchio conio – un personaggio come Matteotti, uomo pratico che parlava con le gente, si faceva conoscere e cercava sempre una soluzione, era considerato molto più pericoloso di un intellettuale come Gramsci. Perché Matteotti le persone lo conoscevano, lo vedevano lì con loro, mentre Gramsci preso dal pensiero rivoluzionario riguardava più gli intellettuali».
E sta qui la differenza che si è sempre vista tra socialisti e comunisti: i primi convinti che le cose potessero cambiare mano mano con soluzioni riformiste e non con l’assalto armato al palazzo; con i comunisti, invece, convinti che solo «mandando in pezzi il vecchio che opprime» si potesse creare «un mondo nuovo con la classe operaia libera e padrona dei propri destini».
Nico Perrone