di Generoso D’Agnese
28 settembre 1856. In una zona remota d’Argentina, in un fortino adibito ad alloggi per gli uomini della colonia agricolo-militare il silenzio della pampa viene squarciato dal sordido rumore degli spari. Nei pochi attimi di un confuso assalto vengono feriti a morte alcuni membri della colonia: tra questi, l’obiettivo principe del complotto, ovvero il colonnello abruzzese Silvino Olivieri, comandante del presidio.
La notizia si sparge subito tra la popolazione argentina gettando su di essa un cupo velo di costernazione. Il comandante caduto sotto il piombo dei cospiratori è infatti famoso nella giovane nazione sudamericana. Una Repubblica intenta a costruire il suo presente ed a colonizzare territori in gran parte abitati da tribù indigene, spesso ostili, viene colpita al cuore dall’uccisione del suo più
rappresentativo eroe.
Un eroe arrivato da terre lontane e ricco dell’unico bene desiderato dalla gente emigrante: la libertà!
Nato a Caramanico, in Abruzzo, il 21 gennaio 1829 da Raffaele e Pulcheria dei marchesi Crognale, Silvino è il terzo figlio di questa coppia: Michele e Fileno sono maggiori di lui in età ma nel corso della breve vita il giovane accentrerà su di sé i riflettori della popolarità. L’inizio del XIX secolo porta con sé gli strascichi di una rivoluzione napoleonica finita con Waterloo e l’amaro ritorno alla restaurazione aristocratica. Il giovane Silvino, iscritto nel Collegio di Chieti per la formazione scolastica, avrà modo di assorbire tutti i fermenti presenti in una regione ancora stretta dal giogo del Regno Borbonico. Di intelligenza vivace, il terzogenito degli Olivieri mostra ben presto grandi doti di apprendimento facendo presagire una buona carriera nell’ambito delle scienze politiche. Proprio la natura dei suoi studi lo portano ad avvicinarsi con entusiasmo alle dispute politiche intorno all’idea risorgimentale: alle porte bussa il fatidico anno 1848.
Il 31 gennaio il regno di Napoli ha un sussulto rivoluzionario che porterà la monarchia a concedere una costituzione vagamente liberale. In un Abruzzo ancora memore delle false illusioni del 1820 questa «novità» trova soltanto sostenitori circospetti e guardinghi. Olivieri sarà il primo, insieme ai suoi compagni di studi, a rompere questo timore issando la bandiera tricolore per le strade di Chieti e dando la stura ai festeggiamenti. Ma il 1848 deve ancora iniziare: in Lombardia e a Venezia la rivoluzione divamperà improvvisa, sorretta dal parallelo desiderio di lottare per la democrazia e per l’indipendenza dal dominio austriaco.
Tra i molti volontari accorsi nelle file dell’esercito piemontese ci saranno anche i fratelli Olivieri, Fileno e Silvino. I due abruzzesi combattono duramente nella sfortunata campagna militare dell’esercito sabaudo. Silvino Olivieri rivela già in questa occasione il suo talento militare spingendo i suoi volontari in azioni degne del manuale militare, e venendone ricompensato dai piemontesi con il grado di sottotenente. La sconfitta piemontese trascina nel baratro i moltissimi volontari provenienti da tutta Italia e anche i due fratelli abruzzesi sono costretti a separarsi: Fileno resta in Lombardia e combatte sotto il comando dei guerriglieri di Garibaldi; Silvino ripara prima in Piemonte e poi raggiungerà il fratello assumendo un incarico diplomatico da svolgere a Parigi. Terminata negativamente anche questa esperienza politica l’impeto risorgimentale del ragazzo di Caramanico avrà ben presto occasione di evidenziarsi nuovamente. Silvino Olivieri comanderà con il grado di capitano i soldati del generale Trombriand, a difesa della rivoluzione siciliana. Riparato in Francia dopo il naufragio di quest’ultima insurrezione democratica, Silvino si adopera per la costituzione di una legione straniera con l’animo di combattere nella Prussia pervasa dagli stessi moti democratici. Dopo il fallimento dell’ennesimo progetto rivoluzionario, il giovane Olivieri torna a Chieti sotto mentite spoglie potendo però soggiornarvi solo alcuni giorni: la casa natale infatti è ormai sorvegliata notte e giorno dalla polizia borbonica e al giovane rivoluzionario non resta che la via dell’esilio. Dal 1849 al 1851, con l’aiuto finanziario del padre, Silvino vivrà così tra Francia, Inghilterra e Germania aiutando ovunque i rifugiati italiani in ristrettezze economiche.
Alla fine di quest’ultimo anno Silvino e Fileno si ricongiungono e scelgono di abbandonare l’Italia per andare in Argentina.
Nella terra americana i due fratelli approdano all’epoca di una feroce disputa territoriale tra potere metropolitano e una nascente dittatura militare. Nata nel 1810, questa nazione si è data nel 1826 una costituzione repubblicana confederata ma soffre fin dalle origini le continue dispute tra sostenitori democratici e dittatori in erba. I fratelli Olivieri arrivano a Buenos Aires in tempo per offrire la loro esperienza al governo democratico e per partecipare alla difesa della città dall’attacco del dittatore Urquiza. Ai fratelli abruzzesi viene chiesto di raggruppare in una formazione tutti gli italiani residenti in città e di guidarla contro le truppe nemiche. Divenuto il comandante di questa legione straniera Olivieri avrà subito modo di distinguersi per le sue alte capacità militari. La Legione Italiana combatterà infatti tanto valorosamente da meritarsi, da parte del governo, l’encomio d’onore e l’appellativo ufficiale di “Legion Valiente”. La repubblica argentina vince quindi la guerra civile grazie all’apporto fondamentale del condottiero abruzzese e con tale carico di glorie
militari Silvino Olivieri si imbarca su una nave diretta in Europa nel 1853. Dal vecchio continente erano arrivate pressanti richieste di partecipazione alle nuove rivolte risorgimentali e il giovane militare non può ignorare l’importanza di tali richieste. Quello che però trova al suo arrivo è un quadro ben più desolante del previsto. Fermatosi a Roma per studiare meglio la situazione, Olivieri viene arrestato dalla polizia pontificia grazie alla soffiata di una spia. Rinchiuso nelle carceri romane senza il minimo rispetto della nuova cittadinanza argentina (acquistata di diritto partecipando al conflitto) il condottiero di Caramanico rivedrà infine la libertà soltanto dopo un intenso lavorìo diplomatico e a patto di lasciare il territorio pontificio. Ma tale promessa è facile da mantenere: il giovane abruzzese ha infatti deciso che il suo futuro sarà ormai definitivamente in Argentina. Olivieri approda a Buenos Aires alcune settimane dopo la liberazione e trova ad accoglierlo una folla acclamante e il suo nome in prima pagina su tutti i giornali.. Gli italiani d’argentina ormai si riconoscono totalmente in questo eroe sempre pronto a battersi per la libertà. Ed è appunto la libertà a spingere lo stesso Silvino a chiedere al governo argentino il permesso di instaurare una colonia agricola ai confini della nazione. La località scelta è nel territorio di Bahia Bianca, e il compito assegnatogli dal governo è quello di pattugliare il confine e di proteggerlo dalle scorrerie degli indiani ostili. I legionari italiani, dopo un viaggio alquanto avventuroso, arrivano in zona piantando subito le basi per lo sviluppo agricolo di un terreno in gran parte inesplorato da uomini bianchi.
Il progetto utopistico parte bene, con la sede operativa realizzata all’ombra di due colline cui vengono dati i nomi di Monte Pincio e Monte Appio. Affidata a volenterosi uomini intrisi di cultura democratica la colonia inizia a dare fastidio ad alcuni esponenti politici della giovane Repubblica. Il confluire, dopo alcuni mesi, di numerose altre famiglie provenienti dalla Germania, l’ormai indiscussa popolarità acquisita dall’abruzzese e il crescente successo dell’esperimento porteranno ben presto a decidere questi stessi ambienti per l’eliminazione dell’ ormai scomodo eroe
popolano. E la morte arriverà improvvisa nei primi giorni del 1856, ordita a grande distanza ed eseguita da commilitoni creduti fedeli.
Silvino viene assalito nel sonno ma anche negli ultimi istanti della sua breve vita il colonnello di Caramanico manterrà fede al suo carattere difendendosi con coraggio indomito e uccidendo a sua volta alcuni cospiratori prima di cadere mortalmente ferito.
Portando con sé il sogno di tanti italiani d’argentina, uniti nel nome dell’Italia fuori dai confini nazionali ancora divisi e sottomessi a dominatori stranieri.