Sono giovani, religiosi a modo loro e si sono completamente consegnati al loro idolo: il presidente Donald Trump. Si sono votati alla causa, quella di sconfiggere la cultura di sinistra che, secondo loro, ha inquinato e sta uccidendo l’anima americana. Prendiamo ad esempio l’editorialone pubblicato sul Giornale del quarantenne Christopher F. Rufo. Le cronache giornalistiche lo descrivono così: «… figlio di Dino, immigrato italiano partito con la famiglia, quando aveva 10 anni, da San Donato Val di Comino, piccolo comune in provincia di Frosinone. I genitori gli hanno consentito di studiare relazioni internazionali alla Georgetown University, a Washington Dc e poi ad Harvard. Nella capitale americana Christopher entra in contatto con i centri studi più conservatori, come la Heritage Foundation e il Discovery Institute, noto per le sue posizioni contro la teoria dell’evoluzione». Questo è il primo obiettivo del nostro giovane: lottare sempre e comunque per instillare il dubbio, demolendo la ricerca scientifica. Per Christopher e company nelle scuole gli insegnanti devono essere lasciati liberi nelle loro lezioni, e non dovrebbero essere sottoposti a provvedimenti disciplinari, per aver insegnato «alternative» non scientifiche all’evoluzione. Sintetizziamo, per capire dove vanno a parare: il paradiso terrestre con Adamo, Eva e il frutto proibito, la Cicogna, sì l’uccello, come simbolo di educazione sessuale. Non si vergognano, mostrano con fierezza questa voglia di riportare indietro il tempo, di correggere questa umanità, specie giovanile, preda di ogni frenesia soprattutto sessuale. Qui concentrano la loro attenzione. Rufo, ad esempio, nel suo editoriale parla degli ultimi giovani attentatori criminali americani: il primo che ha ucciso Charlie Kirk, l’altro che ha sparato ai bambini di una scuola cattolica. Tutti e due, sottolinea Rufo «condividono due tratti: un’ossessione per la propria identità sessuale e l’immersione in sottoculture digitali che trasformano la realtà in un gioco, la violenza in ironia…». E prosegue con la chicca: «Questi individui non uccidono per cambiare il mondo, ma per dare forma a un impulso personale… Niente degrado, niente marginalità sociale. E’ la normalità stessa a partorire mostri… Potremmo chiamarla terrorismo del normale radicale». Questo fenomeno, sottolinea Rufo indicando il nuovo campo d’azione, «rappresenta una sfida nuova per le forze dell’ordine… Non esiste un sistema capace di monitorare in modo efficace la radicalizzazione digitale dei singoli». Di chi la colpa? Facile, per Rufo l’America è vittima della cultura di sinistra e progressista che ha inquinato istituzioni, scuola, i media e l’apparato burocratico. Per questo meglio tornare indietro, guardare al passato, rispolverando il vecchio film dei ‘veri americani’, tutti bianchi, che non avevano paura di tirar fuori la pistola per punire il colpevole di turno. Insomma, la propaganda è tutta incentrata sulla denuncia, sull’allarme, sulla chiamata alle ‘armi culturali’ per combattere il nemico di sinistra. Miliardi di dollari col suo sistema operativo dei conflitti. Le sue piattaforme già riescono a integrare dati dei droni, satelliti, intercettazioni, social media e addirittura le conversazioni dei militari sul campo di guerra, in un quadro operativo coerente. Portatelo all’interno dei confini nazionali, ed ecco a voi il paladino dei sistemi di vigilanza e sorveglianza: quello che può fornire, grazie all’analisi di tutte queste voci, addirittura ‘azioni di polizia predittiva’, farli intervenire prima del possibile (?) reato indicando chi li commetterà e i luoghi dove li commetteranno. E non è fantascienza. Palantir, senza dibattito pubblico, lo sta già sperimentando in grandi città americane. Questo è il terreno di scontro dove si dovrà misurare chi ha a cuore il sistema democratico, il pluralismo, la presunzione di innocenza, con un modello alternativo trasparente e democratico di controllo pubblico dei dati. Combattendo l’odio e la paura veicolate dal nuovo conservatorismo militare per tenerci (riconquistare dove si è perduto) il nostro bene più prezioso: il potere decisionale dei tanti e non dei pochi Rufo.
Nico Perrone



