Giovanni Cardone
Fino al 1 Febbraio 2026 si potrà ammirare nelle sale del Palazzo del Governatore di Parma la mostra dedicata a Giacomo Balla- ‘Giacomo Balla, un universo di luce. La collezione della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma’ a cura di Cesare Biasini Selvaggi e Renata Cristina Mazzantini con la collaborazione di Elena Gigli. L’esposizione realizzata e coorganizzata dal Comune di Parma e dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma con il contributo di Fondazione Cariparma edella Regione Emilia Romagna e la collaborazione di Solares Fondazione delle Arti. Tra gli artisti più “rivoluzionari” del Novecento, tanto da riconoscere in lui il “Leonardo da Vinci del XX secolo” – come amava definirsi – Giacomo Balla sarà celebrato a Parma con una retrospettiva senza precedenti. Pittore della luce come fu già definito nel 1908, la luce è sempre stata la sua fonte d’ispirazione, il soggetto e insieme l’oggetto di un’indagine appassionata inseguita per tutta la vita senza soluzione di continuità. L’esposizione si fonda in particolare sul consistente e rappresentativo nucleo di opere provenienti dalla generosa donazione delle figlie dell’artista, Elica e Luce Balla, con l’illuminata integrazione di dipinti e disegni selezionati,su indicazione della stessa Luce Balla,da Maurizio Fagiolo dell’Arco, grande studioso dell’artista, con la collaborazione di Elena Gigli. In questo mio scritto ho cercato di tratteggiare la figura di Giacomo Balla che nasce a Torino 18 luglio 1871 è stato un pittore, scultore, scenografo e autore di «parolibere» italiano. Fu un esponente di spicco del Futurismo e firmò con gli altri futuristi italiani i manifesti che ne sancivano gli aspetti teorici. Figlio unico di Giovanni e Lucia Giannotti fin da adolescente mostra interesse per l’arte e frequenta a Torino un corso di tre anni presso la Regia Accademia Albertina di Belle Arti. Nel 1895 lascia Torino per stabilirsi a Roma dove rimarrà tutta la vita. Qui nel 1901 conosce Umberto Boccioni e Gino Severini e dipinge alcuni dei suoi capolavori come La Pazza. Nel 1904 sposa Elisa Marcucci e nasce la sua prima figlia Lucia che, dopo la sua adesione al futurismo, sarà chiamata Luce. A seguito della pubblicazione da parte di Marinetti nel 1909 del Manifesto Le Futurismo su Le Figaro, nel 1910 Balla sottoscrive il Manifesto dei Pittori futuristi e La pittura futurista. Durante questo periodo, dipinge alcuni dei suoi capolavori come Bambina che corre sul balcone e studi per Compenetrazioni iridescenti. Nel 1914, nasce Elica il cui nome rappresenta un omaggio al motto di Marinetti. Nel 1915 con Depero sottoscrive il manifesto Ricostruzione Futurista dell’universo. Nel 1918 pubblica il Manifesto del colore Dal gennaio 1920 entra a far parte della redazione della rivista Roma Futurista; decora il cabaret Bal Tic Tac, locale di cabaret romano che fu alla moda per tutti gli anni venti. Nel 1929 trasferisce la sua casa in Via Oslavia 39b a Roma. Nel 1937 scrive una lettera al giornale Perseo, in cui proclama la sua estraneità “ad ogni manifestazione futurista…nella convinzione che l’arte è assoluto realismo «. Da quel momento è accantonato dalla cultura ufficiale, sino alla rivalutazione, nel dopoguerra, delle sue opere e di quelle futuriste in genere. Muore a Roma 1 Marzo del 1958. Il grande recupero culturale sviluppatosi in Italia nel 1945, immediatamente dopo la fine della seconda guerra mondiale, ha costituito un esempio per l’Europa e ha certamente conferito al paese un ruolo di guida in molti campi, dall’architettura, al design, al cinema, ma il fenomeno tipicamente italiano che più di tutti ha dato forza al recupero culturale italiano è stato il Futurismo, un movimento che nella varietà delle forme in cui si è presentato non avrebbe potuto sorgere in alcun’altra parte del mondo. Con la sua vitalità e il suo dinamismo, che ne sono le caratteristiche principali, una freschezza ben difficili da incontrare, ha influenzato tutta la cultura del suo tempo, dominando la scena culturale per molti anni. Eppure accanto al Futurismo si è sviluppato anche un altro movimento che apparentemente si fonda su una ideologia del tutto opposta e comunque contrastante quella della pittura metafisica. Poche mostre sono riuscite a mettere in evidenza esplicitamente questa doppia natura del pensiero estetico italiano degli inizi del Novecento. Nei primi dipinti di Giorgio De Chirico, a partire dal 1911, si riscontrava infatti con l’esuberante vitalità del primo Futurismo, più o meno coevo. Il fatto che Giorgio De Chirico e Carlo Carrà siano comparsi sulla scena dell’arte negli anni stessi, in cui si sviluppa il Futurismo, appare in sintonia con la natura misteriosa ed elusiva dei loro primi lavori. Essi rappresentano l’altro aspetto di ciò che significa essere giovani di fronte al mondo, fornendoci così una visione completa dell’arte di quel periodo. Se incerti possono apparire i legami tra Futurismo e Cubismo, è invece palese l’influenza della pittura di De Chirico su un altro movimento, quello surrealista, che avrebbe dominato la cultura europea per almeno due decenni, sottolineando, tra l’altro gli scambi sempre stretti tra Parigi e l’Italia. Tanto più che Filippo Tommaso Marinetti aveva pubblicato il manifesto di Fondazione del Futurismo proprio a Parigi e lo stesso De Chirico vivrà a lungo nella capitale francese come molti artisti italiani. Se da un lato il Futurismo si sviluppa e si consolida attorno alle scelte e alla volontà di Marinetti, forse il poeta non eccelso ma grande organizzatore puntando sugli aspetti razionalistici e diurni della vita, dall’altro la pittura metafisica tende a esplorare i recessi notturni e reconditi ed interiori della psiche umana. Il Futurismo guarda soprattutto alle masse, alla collettività, la pittura metafisica è introspettiva, è la “compagna del sé”, pone domande essenziali mai prima formulate, estranee tanto ai futuristi quanto ai cubisti. Questi furono gli intenti dichiarati all’inizio del Manifesto: “Il futurismo pittorico si è svolto quale superamento e solidificazione dell’impressionismo, dinamismo plastico e plasmazione dell’atmosfera, compenetrazione di piani e stati d’animo. Noi futuristi Balla e Depero vogliamo realizzare questa fusione totale per ricostruire l’universo rallegrandolo cioè ricreandolo integralmente. Daremo scheletro e carne all’invisibile, all’impalpabile, all’imponderabile, all’impercettibile. Troveremo degli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo poi li combineremo insieme secondo i capricci della nostra ispirazione”. Il parolibero Marinetti disse con entusiasmo: “L’arte, prima di noi, fu ricordo, rievocazione angosciosa di un Oggetto perduto (felicità, amore, paesaggio) perciò nostalgia, statica, dolore, lontananza. Col Futurismo invece, l’arte diventa arte – azione, cioè volontà, ottimismo, aggressione, possesso, penetrazione, gioia, realtà brutale nell’arte, splendore geometrico delle forze, proiezione in avanti. Dunque l’arte diventa presenza, nuovo oggetto, nuova realtà creata cogli elementi astratti dell’universo. Le mani dell’artista passatista soffrivano per l’Oggetto perduto; le nostre mani spasimavano per un nuovo Oggetto da creare”… “Le invenzioni contenute in questo manifesto sono creazioni assolute, integralmente generate dal Futurismo italiano. Nessun artista di Francia, di Russia, d’Inghilterra o di Germania intuì prima di noi qualche cosa di simile o di analogo. Soltanto il genio italiano, cioè il genio più costruttore e più architetto, poteva intuire il complesso plastico astratto. Con questo, il Futurismo ha determinato il suo stile, che dominerà inevitabilmente su molti secoli di sensibilità”. Nel 1917 Balla sperimenta una serie di scomposizioni della natura in chiave puramente teosofica ‘Trasformazioni Forme e Spirito’. Furono fondamentali le parole del generale Carlo Ballatore, presidente del Gruppo Teosofico “Roma”, illustrano bene in che termini il pensiero teosofico abbia offerto agli artisti la possibilità di esplorare nuovi territori. Oggi, del resto, l’influenza delle correnti esoteriche sulle avanguardie storiche è una realtà ampiamente riconosciuta e si sa che alla Teosofia hanno attinto, in vario modo, tutti i principali esponenti europei dell’astrattismo da Kupka a Kandinsky, da Mondrian a Malevič. Lo stesso è avvenuto in Italia dove, com’è noto, i manifesti dei futuristi contengono numerosi riferimenti a fenomeni occulti e medianici. Riguardo in particolare alla Teosofia basterà ricordare qui due artisti, Giacomo Balla e Arnaldo Ginna, non a caso considerati dalla critica i principali pionieri dell’arte astratta in Italia. I legami dei due artisti con i circoli teosofici sono certi. Nel caso di Giacomo Balla infatti è la figlia del pittore, Elica, a ricordare nel suo libro di memorie intitolato Con Balla che il padre a Roma: “frequenta le riunioni di una società di teosofici presieduta dal Generale Ballatore”. Per quanto riguarda invece il conte Arnaldo Ginanni Corradini in arte Ginna – è l’artista stesso a dichiarare le proprie letture: “Ci rifornivamo di libri spiritualisti e occultisti, mio fratello ed io, presso gli editori Durville e Chacornac. Leggevamo l’occultista Élifas Lévi, Papus, teosofi come la Blavatsky e Steiner, la Besant, segretaria della Società Teosofica, Leadbeater, Edouard Schuré. Seguivamo le conferenze della Società Teosofica, a Bologna e Firenze. Quando Steiner fondò la Società Antroposofica restrinsi la mia attenzione a Steiner. C’erano anche le discussioni con Evola” . E come nota Mario Verdone, i primi saggi che affrontano il problema dell’astratto in pittura, riservando grande attenzione anche alla musica, sono il volumetto Arte dell’avvenire, scritto da Ginna col fratello Bruno Corra (prima edizione del 1910 e seconda del 1911) e Lo spirituale nell’arte di Kandinsky (completato nel 1910, stampato alla fine del 1911 e pubblicato nel 1912). Due testi concepiti e usciti contemporaneamente, le cui analogie dipendono solo dal fatto che gli autori si sono nutriti degli stessi libri di impronta teosofica. Presso gli Eredi Ginanni si conserva ancora una copia del libro di J. Krishnamurti, dal titolo ‘Ai piedi del Maestro’ (Genova 1911), con dedica all’artista del prof. Ottone Penzig, allora segretario generale della Società Teosofica Italiana. Come si è visto, infatti, Ginna ricorda di aver seguito le conferenze della Società Teosofica a Bologna e a Firenze, tuttavia è molto probabile che anche a Roma l’artista sia entrato presto in contatto con i locali circoli teosofici e anzi non è da escludere che sia stato proprio il pittore ravennate, la cui presenza nella capitale è documentata fin dal 1911, a indirizzare Balla verso la Teosofia. Comunque sia Ginna e per un certo periodo anche Balla è interessato a rendere visivamente la realtà psichica. A questo scopo elabora un metodo che definisce “subcoscienza cosciente”, ossia uno stato di coscienza superiore nel quale l’artista entra volontariamente. Le opere di Ginna nascono quindi dall’esperienza cosciente dell’extra sensibile, un modo di cogliere, oltre l’esteriorità, le forme interiori, proprio come insegnavano le correnti dell’occultismo. E’ per questo che Ginna non esiterà ad affermare: “L’astrattismo è espressione di forze occulte”. Nel 1912 e il mondo intero, seppur scioccato dalla tragedia del Titanic, puntava gli occhi, i sogni e i desideri sulle nuove gigantesche macchine che permettevano di raggiungere l’altro capo del Pianeta in tempi ragionevoli. I continenti diversi dal “Vecchio” non erano più materia per esploratori, i fratelli Wright avevano sfidato e vinto le leggi della gravità e il ‘VOLO’ non era più legato al mito di un Icaro troppo audace, ma era finalmente realtà attuale e tangibile. Il Futurismo, corrente d’avanguardia dell’inizio del secolo XX, celebrava il volo come espressione massima di libertà di movimento e dinamismo, inneggiando alla velocità e all’innovazione in ogni campo, dalla letteratura alla poesia, alla pittura, alla scultura, alla musica fino alle arti più “giovani”, come la fotografia il cinema. Prese il nome di Aeropittura la declinazione pittorica di cui si fecero portavoce Giacomo Balla, Tullio Crali, Sante Monachesi, Fortunato Depero, Gerardo Dottori e Fedele Azari, creatore dell’opera Prospettiva di Volo, presentata alla Biennale di Venezia del 1926. Tanta modernità non poteva che coinvolgere anche le donne, grandi artiste testimoni di cambiamento, come Benedetta Cappa, Marisa Mori e Olga Biglieri. Quest’ultima fu tra le prime aviatrici italiane ad aver conseguito un brevetto da pilota a soli sedici anni. Da un punto di vista estetico, l’Aeropittura futurista portava in scena velocità e dinamismo, superando la scomposizione cubista con l’uso della prospettiva e della molteplicità dei piani. Mentre nel 1918, alla galleria di Anton Giulio Bragaglia, espone, tra le altre opere dedicate all’intervento in guerra, il Complesso plastico pubblicato nel manifesto del 1915 accanto a sedici dipinti dedicati alle ‘forze di paesaggio’ unite a diverse sensazioni. Accanto a queste ricerche, lo studio della natura trionfa nei motivi delle Stagioni: dalla fluidità, morbidezza o espansione della primavera, alle punte d’estate al drammatico dissolvimento autunnale; sono lavori sperimentali volti a quella particolare ricerca astratta del tutto europea ma al tempo stesso lontana e nuova rispetto alle contemporanee ricerche astratte dei pittori in voga in questi anni sicuramente conosciuti da Balla come Kandinskij e Arp, Léger e Larionov, Mondrian e Gončarova. Periodo, dunque, questo di Balla del tutto internazionale che viene a chiudersi col viaggio a Parigi nel 1925 per la “Exposition des Arts Decoratifs et Industriels Modernes”, particolarmente importante perché segna l’inizio dello stile Art Déco. Il Manifesto della Ricostruzione Futurista dell’Universo, l’11 marzo del 1915. Insieme a Fortunato Depero, Balla firma il manifesto della Ricostruzione Futurista dell’Universo che rappresenta una delle tappe più significative nell’evoluzione dell’estetica futurista. Con questo manifesto trova una completa maturazione la volontà del Futurismo di ridefinire ogni campo artistico secondo le sue teorie e di rifondare le forme stesse del mondo esterno fino a coinvolgere anche gli oggetti e gli ambienti della vita quotidiana. Questo principio artistico non costituisce una novità storica, infatti è già principio fondamentale della poetica dello Jugendstil, ma mentre in quel caso si fa riferimento a un’idea d’arte come valore assoluto, ora le finalità sono del tutto diverse: per il Futurismo l’arte non è più fine a se stessa e non ha come obiettivo la pura esperienza estetica ma diviene uno strumento per affermare una diversa concezione della vita e un suo rinnovamento, nel quale predomina un intento di trasformazione culturale verso l’idea che il Futurismo ha della modernità. La più importante innovazione proclamata dal manifesto della Ricostruzione Futurista dell’Universo è la proposta di estendere l’estetica futurista a tutti gli aspetti della vita quotidiana. I campi della ricerca sembrano illimitati: arredo, oggettistica, scenografia, moda, editoria, grafica pubblicitaria: nulla sembra essere estraneo alla sensibilità dei due artisti. I futuristi imposero il loro segno distintivo fin dalle prime celebri ‘serate’, durante le quali gli artisti-autori-declamatori indossavano abiti da loro stessi disegnati e maschere che suggerivano la robotizzazione e meccanizzazione dell’uomo. Una delle strade maestre percorse dall’avanguardia è stata il perseguimento di una sintesi delle arti che, conducendo a un progressivo assottigliamento dei confini di competenza fra pittura, scultura, architettura, musica, teatro, danza, letteratura, almeno nel senso della ricerca di un principio compositivo e strutturale (anzi costruttivo) comune, ha anche tentato di ricucire lo strappo ottocentesco fra arte e vita, infrangendo le tradizionali barriere tra spazio virtuale dell’opera d’arte e spazio reale dell’uomo, tra sfera estetica e sfera fenomenologica. La ricerca di questa sintesi, in pittura, si è così frequentemente espressa attraverso l’uso di una figura retorica quale la sinestesia, come restituzione di una globalità di percezioni sensoriali diverse e simultanee, percezioni tuttavia sempre coordinate dalla facoltà superiore della visione, intesa come facoltà conoscitiva in grado di compiere un’operazione di sintesi e di ricognizione appercettiva. Viene così ribadito il primato dell’occhio, della vista e della visione, che può anche giungere a ribaltarsi da frastuono percettivo in silenzio meditativo, in visione interiore e ciò sembra costituirsi come tendenza estrema e radicale dell’astrazione in manifestazione del sublime. Tale primato del resto pervade la teoria dell’arte e l’estetica tra la scorcio del secolo XIX e l’inizio del XX, con l’affermazione del pensiero purovisibilista di Konrad Fiedler e della contrapposizione tra valori tattili e valori ottici da parte di Alois Riegl. Proprio secondo Fiedler la visione “è una facoltà conoscitiva e creatrice di forme (visive), operante nell’attività artistica in modo assolutamente indipendente sia dall’intelletto, creatore di forme concettuali, sia dal sentimento e dalla sensazione; indipendente quindi anche dalle concezioni filosofiche, scientifiche, religiose”.
L’astrazione, come processo mentale caratterizzante il XX secolo in tutte le sue manifestazioni, dall’arte e dalla filosofia alle scienze, incarna questa possibilità di ricondurre il reale a una visione sintetica e globale, a una struttura combinatoria di elementi costanti che danno luogo a un modello rappresentativo di tutti gli accidenti possibili, espressione di un neoplatonico mondo delle idee e paradigma ordinatore delle apparenze: è la ricerca dell’assoluto nell’epoca della relatività. Il concetto di astrazione (da abstrahere, cioè staccare, separare, rimuovere) implica l’operazione di individuare ed estrarre alcuni elementi, ma anche il necessario “distacco” del soggetto nei confronti dell’oggetto (natura). Solo tale distacco può dar luogo a una sintesi della visione dopo l’analisi della percezione, coincidendo in parte questo processo con il polo cui Wilhelm Worringer, nella sua teoria estetica, ha opposto quello dell’empatia. Proprio per Worringer (che ha in mente l’arte ornamentale) l’astrazione si costituisce come tendenza sovrastorica riscontrabile in diverse epoche; e nell’arte moderna tale processo, in misura maggiore o minore, è frequentemente verificabile in nuce anche nelle poetiche naturalistiche, almeno a partire dall’impressionismo, mentre è alla base di quelle tendenze che, scomponendo le strutture narrative e le catene sintagmatiche, isolano o decontestualizzano singoli oggetti, figure e immagini, quali la pittura metafisica o il surrealismo, oltre che, naturalmente, dell’astrattismo vero e proprio. L’impulso all’astrazione sembra scaturire dalla necessità di approdare a una struttura assoluta e regolatrice del reale, a un modello rappresentativo e non imitativo, dove “l’elemento primario non è il modello naturale, bensì la legge che da esso si astrae”. Dopo diversi anni che Giacomo Balla abitò in via Nicolò Porpora in un antico edificio conventuale con affaccio sul verde di Villa Borghese, si trasferì nell’appartamento di via Oslavia a Roma con la moglie Elisa e le due figlie Luce ed Elica, anch’esse pittrici, che l’hanno abitata e custodita fino agli anni Novanta. Il Progetto espositivo ripartito in Tredici sale, seguendo un ordine tematico e cronologico, in un’esposizione che ripercorrerà tutta la produzione di un genio autodidatta sempre fedele alla sua vocazione sperimentale, unica quanto straordinaria. Arricchita da apparati fotografici, biografici e storici provenienti dall’Archivio Gigli,la mostra si svolge dalla fase del realismo sociale e divisionista, attraverso la stagione dell’avanguardia radicale futurista (Balla firma con Marinetti e altri, tra cui Boccioni, Carrà e Russolo, i manifesti che definivano gli aspetti teorici del movimento), per approdare dopo il 1930 a un’inedita e pionieristica figurazione. Apre il percorso Nello specchio (1901-1902), dove sono rappresentati l’amico scultore Giovanni Prini con sua moglie, lo scrittore Max Vanzi e lo stesso Balla. Di fronte a questo dipinto Giacomo Puccini esclamò: «Questa è la mia ‘Bohème’, la voglio ad ogni costo!». Benché lusingato, Balla preferì rimettendoci che il quadro fosse acquistato dallo Stato italiano che lo destinò alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Tra i nuclei più significativi riservati al pubblico si colloca il grande ciclo intitolato Dei viventi. Delle 15 opere dipinte dall’artista rivelate nel 1968 da Maurizio Fagiolo dell’Arco grazie a un appunto di Balla, sono giunte fino a noi solo quattro tele incentrate sugli ultimi e gli emarginati della nuova società del progresso di inizio Novecento, interesse riconducibile anche alle ricerche dell’antropologo e criminologo Cesare Lombroso, con il quale Balla entrò in contatto nel periodo torinese. Tra le opere Dei viventi superstiti c’è La pazza, una donna immortalata da Balla sul terrazzo della sua casa-studio ai Parioli in modo da suscitare stupore e sgomento in chi la osserva: l’atteggiamento è stravolto, la gestualità ha un ritmo convulso mentre lo sguardo vaga senza meta esprimendo la malattia psichica con disarmante efficacia. Dietro la tela I Malati è trascritta a macchina l’etichetta con le volontà di Balla sulla modalità di presentazione delle quattro opere, a mo’ di polittico e secondo una precisa successione, fedelmente proposta in occasione dell’allestimento a Parma: La pazza, I malati dipintonoto anche come Prime cure elettriche, Il contadino (di proprietà dell’Accademia di San Luca, in mostra pertanto attraverso una riproduzione fotografica a misura naturale in bianco e nero) e Il mendicante. Il percorso rivolge attenzione all’affascinante rapporto che lega i disegni preparatori dell’artista ai dipinti: un aspetto fondamentale della sua produzione. Ne offre una potente testimonianza lo studio per Fallimento del 1902 circa (esito della sua attenta osservazione dei scarabocchi infantili sulla porta di un negozio in via Veneto a Roma chiuso da tempo) che Enrico Crispolti individuò come sorprendente precursore, in particolare, delle litografie dei muri parigini del 1945 di Jean Dubuffet. Tra i bozzetti di capolavori chiave del periodo futurista, si colloca uno dei due studi de I ritmi dell’archetto (lavoro conosciuto anche come Le mani del violinista) eseguiti nell’inverno del 1912 a Düsseldorf dove Balla si era recato per decorare la sala da pranzo nella casa della sua ex allieva, GrethelLöwenstein. Nello stesso anno, scrive alla sua famiglia: «Ora sto anche per finire uno studio della mano del marito che suona il violino, ma in movimento, in diverse posizioni e [incorporando] i continui movimenti dell’archetto». Sempre al soggiorno a Düsseldorf nel 1912 appartiene uno dei preziosi studi sull’iride (con al verso un Autoritratto), denominati dopo la morte dell’artista, dagli anni Sessanta, Compenetrazioni iridescenti, tra le più alte espressioni della ricerca di Balla, primo esempio di un’astrazione geometrica figlia della scomposizione ottico-dinamica della luce, che ha contribuito a ribadire il ruolo centrale di Balla nella nascita dell’astrattismo europeo. Attraverso gli studi sull’iride, per utilizzare le parole di Fagiolo dell’Arco, «Balla vuole rendere la sostanza di un fenomeno evanescente come l’arcobaleno, che è un simbolo della luce». Da altre ricerche, che comprendono lungo il percorso espositivo anche i sei disegni per Volo di rondini, attraverso il dinamismo dell’auto (con l’intenso Espansione dinamica + velocità N. 9 del 1913 circa) si approda alle “linee della velocità”, definite dallo stesso Balla la base fondamentale delle sue forme di pensiero. In mostra si potrà ammirare anche il nucleo di lavori di diversa provenienza rispetto alle figlie dell’artista, esito di acquisizioni compiute nel corso degli ultimi decenni dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma o di donazioni. A questo ambito, appartiene lo splendido disegno Linea di velocità + spazio(1913 ca.) che tornerà a essere esposto al pubblico dopo oltre mezzo secolo.Allo splendido ciclo delle Dimostrazioni interventiste del 1915 (il 28 giugno 1914 scoppia la Prima guerra mondiale: mentre l’Italia si proclama neutrale, i Futuristi declamando la guerra come “sola igiene del mondo” sono tra i favorevoli all’intervento in guerra) appartiene l’imponente dipinto Forme-volume del grido “Viva l’Italia” di cui sarà mostrato al pubblico per la prima volta l’esito di analisi radiografiche svolte sull’opera dalla ditta ArsMensurae di Stefano Ridolfi: si riconosce la sagoma di una donna in piedi, in verticale, mentre la composizione del 1915 viene dipinta in orizzontale. La figura femminile, visibile anche sul retro della tela in trasparenza, è stata ricondotta da Elena Gigli allo studio preparatorio passato in un’asta nel 1998 per il ritratto fatto da Balla alla moglie Elisa nel 1908, Nudo controluce, di cui oggi esiste, in una collezione privata, la realizzazione su carta. Le sezioni conclusive della mostra sono dedicate all’ultima produzione figurativa di Balla, ancora poco nota al grande pubblico, di cui sono stati avviati studi solo in tempi recenti (soprattutto da Fabio Benzi), che attinge all’immaginario della fotografia di moda e di attualità, nonché a quello cinematografico, tanto quanto alla fascinazione per quell’energia universale che innerva la natura osservata nei parchi e nei giardini di Roma. Tra le opere che mettono in evidenza queste inclinazioni, spicca l’olio intitolato sul retro della tavola LA FILA PER L’AGNELLO (DETTO A ROMA ABACCHIO),dipinto nell’inverno del 1942. Un’originale prospettiva di “ripresa” offre una visione soggettiva attraverso la finestra del palazzo di Balla che si affaccia su via Montello, sulle lunghe file di persone intente a cercare di procurarsi il cibo che ormai scarseggia nella capitale nel cuore della Seconda guerra mondiale. L’artista si mette nuovamente in gioco con un approccio sperimentale che restituisce ancora una volta,ma in modi diversi,quel senso di incredibile potenzialità dell’esperienza quotidiana. Il fil rouge è sempre la luce, linfa vitale dell’immagine, dal colore alla sua forma.
Palazzo del Governatore di Parma
Giacomo Balla, un universo di luce
dal 10 Ottobre 2025 al 1 Febbraio 2026
dal Mercoledì alla Domenica dalle ore 10.00 alle ore 19.00 – Lunedì e Martedì Chiuso
Giacomo Balla Espansione dinamica + velocità N.9 1913 circaolio su carta su tela, cm 64 x 107,2 Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea© Giacomo Balla, by SIAE 2025
Giacomo Balla Pessimismo e ottimismo 1923 olio su tela, cm 114,5 x 175,5 Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea © Giacomo Balla, by SIAE 2025









