Giovanni Cardone
Fino al 21 Settembre 2025 si potrà ammirare presso CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino la mostra dedicata a Alfred Eisenstaedt a cura di Monica Poggi. Un’esposizione inedita a trent’anni dalla morte del fotografo e a venticinque dall’ultima mostra in Italia capace di riportarne alla luce il talento poliedrico e in continua evoluzione, ripercorrendo la sua carriera come fotografo per la rivista “Life” e la sua capacità unica di raccontare il mondo con sguardo ironico e poetico.
A ottant’anni dalla realizzazione del celebre scatto a Times Square, l’esposizione ripercorre tutto l’arco della sua produzione, presentando una selezione di 170 immagini, molte delle quali mai esposte, a partire dalle prime fotografie realizzate in Germania negli anni Trenta. Lavori che lo portarono a consolidarsi come fotoreporter e a ricevere le prime commissioni in Europa, seguite da quelle ricevute negli Stati Uniti del boom economico e nel Giappone post-nucleare. Un percorso di successo, che si concluderà negli anni Ottanta con altri scatti sui personaggi dello spettacolo e della politica. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Alfred Eisenstaedt apro il mio saggio dicendo : La pratica di raccontare delle storie giornalistiche attraverso le fotografie fu resa possibile dalle innovazioni tecniche nel campo della fotografia e della stampa avvenute alla fine del XIX secolo, per la precisione fra il 1880 e il 1897. Mentre eventi di rilevanza giornalistica cominciarono ad essere fotografati già intorno al 1850, i processi di stampa a partire dalle incisioni, furono possibili solo negli ultimi due decenni del secolo. Prima di allora era possibile soltanto pubblicare delle litografie derivate dalle foto, in quanto, quest’ultime, non possono ancora essere stampate sulla carta insieme alle righe di piombo. La Guerra di Crimea, combattuta dal 1853 al 1856, è stato il primo evento di una certa rilevanza storica (e giornalistica) del quale conserviamo una testimonianza fotografica, documentazione che dobbiamo a Carol Szathmari, il primo fotogiornalista della storia. Purtroppo sono solo poche, fra quelle scattate, le immagini sopravvissute fino a noi. Le immagini di William Simpson dell’«Illustrated London News» e le foto di Roger Fenton, furono pubblicate come incisioni. Allo stesso modo, le foto della Guerra Civile Americana, scattate da Mathew Brady, furono incise prima della loro pubblicazione sull’«Harper’s Weekly». Il pubblico aveva però voglia di rappresentazioni che fossero più realistiche di quelle presenti sugli articoli dei giornali. Così, era pratica comune che le fotografie più interessanti venissero esposte in gallerie fotografiche, oppure riprodotte in un limitato numero di copie. La prima foto giornalistica fu pubblicata il 4 Marzo 1880, sul giornale newyorkese «The Daily Graphic». Tecnicamente si trattava di una riproduzione in mezzi toni (invece che di una xilografia come era stato fatto fino ad allora). «Negli ultimi anni del secolo scorso iniziava così finalmente a svilupparsi quello che è stato il più importante mass medium contemporaneo, prima dell’avvento e della diffusione pubblica della televisione: il fotogiornalismo» . Furono anni che videro la realizzazione di numerose innovazioni. In questa fase, le prime lampade al magnesio permettevano di generare un forte lampo di luce che metteva gli operatori nelle condizioni di poter fotografare anche in interni. Ad utilizzarle, fra i primi importanti fotogiornalisti, spiccava Jacob Riis, reso famoso per il suo bel lavoro sugli slums newyorkesi, intitolato How the Other Half Lives (Come vive l’altra metà della città), con i suoi scritti e le sue immagini, che vide la luce nel 1890. Sfortunatamente al momento della pubblicazione le tecniche di riproduzione tipografica delle fotografie lasciavano ancora molto a desiderare e quindi, delle 35 immagini presentate solo 17 furono stampate a mezzi toni (peraltro di qualità assai scadente), mentre le altre vennero riprodotte con la tecnica del disegno e dell’incisione, perdendo così quasi completamente tutti quegli elementi di immediatezza e di aderenza alla realtà che le caratterizzavano all’origine. Susan Sontag sottolinea che «la fotografia, intesa come documentazione sociale, era uno strumento di quell’atteggiamento essenzialmente borghese, insieme missionario e soltanto tollerante, curioso e indifferente, che va sotto il nome di umanesimo, e che vedeva negli slum il più affascinante degli ambienti» . Solo nel 1897 fu possibile riprodurre le fotografie con la tecnica dei mezzi toni nel processo di stampa veloce dei giornali, siano essi periodici o quotidiani. In ogni caso, la velocità con la quale giungevano le notizie scritte in redazione, era decisamente superiore rispetto allo sviluppo e alla stampa delle fotografie, che quindi non potevano essere presenti sul giornale al momento della pubblicazione della storia. C’era sempre un margine di alcuni giorni fra il primo lancio della notizia e la pubblicazione della foto che la accompagnava. Nonostante fossero state avviate tutte queste innovazioni, rimasero altrettanto numerose le limitazioni tecniche, ed infatti molte delle storie presenti sui giornali sensazionalistici dell’epoca, furono presentate attraverso disegni ed incisioni. Eravamo comunque in quella fase, molto importante per lo sviluppo del giornalismo moderno, inaugurata da Joseph Pulitzer e William Randolph Hearst – il New Journalism e la Yellow Press – che diede tendenzialmente maggiore spazio alle immagini e alla cronaca cittadina. Nel 1921, per la prima volta, la telefoto rese possibile la trasmissione di immagini alla stessa velocità con cui viaggiavano le notizie. Tuttavia, servirono il lancio della prima fotocamera “commerciale” Leica con formato 35mm nel 1925, e le prime lampade flash fra il 1927 ed il 1930, affinché fossero presenti tutti gli elementi necessari per poterci considerare pienamente nell’“età d’oro” del fotogiornalismo. Da quel momento il termine fotogiornalismo si è designato come un genere a sé, caratterizzato e fortemente distinto nell’ambito della storia della fotografia. Un settore indipendente entro i propri confini «quasi un continente, con un fronte ideologico, al quale si opporrebbe quello degli artisti, anzi dei cosiddetti fotografi-artisti, con le loro estetiche e filosofie, che ai fotogiornalisti sembrano perlopiù manie, velleità, inutili o eccessive ambizioni. Il fotogiornalismo acquista la sua identità a partire dagli anni Venti del Novecento sebbene, come già accennato, fosse il periodo a cavallo fra il Diciannovesimo ed il Ventesimo secolo ad aver creato le condizioni per lo sviluppo di questo nuovo genere nel sistema dell’informazione. Le innovazioni tecnologiche ed un clima socio-culturale favorevole sono stati i genitori di tale nuovo approccio, per il momento ancora embrionale, al mondo della notizia. Per quanto la fotografia avesse ormai piena legittimità nella società di metà Ottocento, ad essa non era ancora riconosciuta la capacità di raccontare le notizie allo stesso modo delle parole, di conseguenza i quotidiani e i periodici – che venivano sfogliati dagli stessi soggetti immortalati nei ritratti di famiglia o nelle più diffuse e popolari carte de visite facevano un utilizzo del tutto limitato di immagini sulle loro pagine. Le poche volte che comparivano non servivano ad altro che da contorno al testo, avevano, infatti, solo carattere decorativo. Il giornalismo di fine Ottocento, però, fu radicalmente reinterpretato grazie alle innovazioni tecniche, e ad un nuovo approccio socio-culturale. Questo progressivo cambiamento portò all’affermazione della stampa illustrata, e alla successiva comparsa delle fotografie sui giornali. Inizialmente, la stampa venne arricchita solo di disegni e xilografie, per l’avvento delle immagini fotografiche si dovette attendere il perfezionamento delle nuove procedure di stampa. Prima del 1840, solo alcuni settimanali o mensili come l’«Observer» e il «Weekly Chronicle» in Gran Bretagna riproducono, piuttosto raramente, qualche xilografia. I quotidiani non sono quasi mai illustrati. Negli anni 1840 si assisteva alla prima comparsa in massa di immagini sulla stampa. Nello stesso momento in cui il dagherrotipo si diffonde trionfalmente nel mondo, vedono la luce molte riviste popolari, nelle quali l’impressione delle incisioni viene fatta su legno, dai disegni originali. La nascita del primo periodico illustrato è datata 1842, si tratta del «The Illustrated London News», che nasce nella capitale britannica ad opera di Herbert Ingram. Negli anni 1840 si assisteva alla prima comparsa in massa di immagini sulla stampa. Nello stesso momento in cui il dagherrotipo si diffonde trionfalmente nel mondo, vedono la luce molte riviste popolari, nelle quali l’impressione delle incisioni viene fatta su legno, dai disegni originali. La nascita del primo periodico illustrato è datata 1842, si tratta del «The Illustrated London News», che nasce nella capitale britannica ad opera di Herbert Ingram. Un nuovo tipo di concezione della notizia, un prodotto editoriale che avrebbe dovuto offrire ai lettori un «resoconto continuo degli avvenimenti mondiali importanti, dei progressi sociali e della vita politica, per mezzo di immagini costose, varie e realistiche». La pubblicazione illustrata riscosse un enorme successo, e le vendite crebbero vertiginosamente. Fra il 1855 e il 1860 la sua tiratura passa da 200.000 a 300.000 copie. I buoni risultati raggiunti consentirono all’editore di arricchire l’offerta del giornale ampliando il numero dei collaboratori, giornalisti e disegnatori, che furono inviati a testimoniare sia le vicende che si svolgevano in importanti teatri di guerra (guerra di Crimea, guerra franco-tedesca, Comune di Parigi) che gli eventi di grande rilevanza economica, storica, sociale, politica e culturale (funerali di stato, efferati omicidi, ecc). Con la fondazione a Londra, nel 1869, del «Graphic», la rivista di Ingram deve fare i conti con un serio concorrente. Questo nuovo prodotto editoriale si consolida in tutta Europa e si assiste alla nascita di numerose testate a tema, come le francesi «Le Monde Illustré» e «L’Illustration» (Parigi) e la tedesca «Illustrirte Zeitung» (nata nel 1846, da non confondere con la «Arbeiter Illustrierte Zeitung – AIZ», periodico del partito comunista tedesco stampato dal 1921 al 1938). In Italia nel 1847 nacque «Il Mondo Illustrato» (Torino) che rappresentava il primo giornale italiano di grande formato, illustrato con incisioni in legno; esso avrà però vita breve in quanto chiuderà già alla fine del 1849. A Milano nel 1864, uscirono sia «L’Illustrazione Italiana» (editore Cima) che «L’Illustrazione Universale» (editore Sonzogno). La prima chiuse quasi subito, in quanto utilizzava un tipo di incisione di lenta lavorazione e tiratura limitata; anche la seconda non ebbe vita facile in quanto non disponeva di abili incisori. Solo «L’Illustrazione Italiana» (Milano), nata nel 1875 su iniziativa di Emilio Treves e con la collaborazione di una fitta rete di laboratori di incisori, ebbe la fortuna di essere pubblicata per diversi decenni. Nacquero e si diffusero riviste illustrate anche aldilà dei confini del Vecchio Continente, si tratta di «Harper’s Weekly» e «Frank Leslie’s Illustrated Newspaper» (New York), «Revista Universal» (Città del Messico), «A Illustraçao» (Rio de Janeiro), fino all’australiana «Illustrated Australian News» (Melbourne). Tutte pubblicazioni basate sulla presenza delle immagini, che facevano di queste la propria peculiarità nei confronti degli altri giornali e che senza dubbio rappresentano le antesignane dei fotogiornali. La svolta sarebbe avvenuta di lì a poco. Nel 1869 il «Canadian Illustrated News» pubblicò la prima illustrazione ricavata direttamente da una fotografia, mentre, a partire dagli anni 1880, con l’invenzione della lastra a mezzatinta fu possibile, finalmente, stampare le fotografie sui giornali utilizzando la stessa macchina necessaria per i caratteri tipografici. La fotografia comincia quindi a fare la propria comparsa sui giornali e, rispetto alle illustrazioni, consente un notevole risparmio di tempo. In quegli anni i disegnatori cominciano a portare con sé, nei reportages, apparecchi fotografici per – se così si può dire – «prendere appunti». Numerose fotografie scattate dall’équipe di Mathew Brady servono durante la guerra di Secessione come «materia prima visuale» nei laboratori d’incisione delle maggiori riviste americane. Tutta una serie di procedimenti di stampa fotomeccanici consente di ottenere risultati notevolmente definiti e dettagliati, ma si tratta di operazioni lunghe, costose e spesso più vicine a produzioni artigianali che a riproduzioni in serie. Negli anni 1890, le incisioni su legno cedono progressivamente il posto ai clichés in mezzatinta, tratti da fotografie ma spesso con retino grossolano e quindi poveri di dettagli. In questo periodo di transizione i disegnatori, per raggiungere una maggiore apparenza di realismo, eseguono «istantanee» e gli incisori si soffermano su particolari e sfumature. Si ottiene una sorta di osmosi che vede le illustrazioni sempre più vicine all’immagine fotografica, e fotografie – spesso molto ritoccate e retinate – somigliano sempre più ad incisioni manuali. Nel 1898, lo scoppio della guerra tra Spagna e Stati Uniti segna l’irruzione nella stampa americana del reportage fotografico. Pagine intere riportano le immagini dei combattimenti a Cuba, scattate da Jonh C. Hemment, James Burton, F. Pagliuchi, William Randolph e James Henry Hare. Proprio quest’ultimo, prima di documentare il primo conflitto mondiale, fra il 1900 e il 1914 fotografa la guerra contro i Boeri, quella russo giapponese e le rivolte nell’America Centrale. A partire dal conflitto russo-giapponese del 1904-1905, le sue immagini, largamente riprodotte dalla stampa americana, sono anche vendute a periodici illustrati europei: si fondano così le basi della diffusione internazionale delle immagini fotografiche. La fotografia fornisce la materia prima, un po’ come avviene per le agenzie di stampa (nascono nello stesso periodo in cui viene inventata la fotografia, la prima è la francese Havas, del 1835) che forniscono i dispacci necessari alla composizione del giornale. La foto è una risorsa particolarmente pregiata perché internazionale sin dalla sua realizzazione, insensibile ai confini linguistici che richiedono per i testi scritti una lunga e laboriosa traduzione. Immagini dai fronti di guerra, istantanee di soldati e militari, testimonianze da città e quartieri degradati, si accompagnavano a veri e propri fotoreportages che, sebbene vincolati alle scelte politiche (soprattutto per quanto riguarda vicende militari) o editoriali, facevano trasparire l’identità e la professionalità dei fotogiornalisti. Capacità che andavano ben oltre i ritratti posati fino a quel momento realizzati dalla maggior parte dei fotografi. In Germania, l’«Illustrirte Zeitung» pubblicò nel numero del 15 marzo 1894 due istantanee raffiguranti le manovre dell’esercito tedesco, si trattava di stampe tratte da lastre incise a mezzatinta. Inizialmente, comunque, le immagini fotografiche ebbero un ruolo puramente illustrativo. Solo nel 1890 nasce una rivista che ha lo scopo di usare prettamente la fotografia: l’«Illustrated American». Nel suo primo numero, in una nota dell’editore, si legge: «Il proposito particolare della rivista è quello di approfondire le possibilità, fino a oggi quasi inesplorate, della fotografia e dei vari procedimenti di riproduzione». Nello stesso anno nascono in Germania diverse riviste illustrate che raccolsero molto successo, fra queste la «Berliner Illustrierte» e la «Münchner Illustrierte Presse» le quali «nel momento di maggiore successo, stampano sia l’una che l’altra circa due milioni di copie e sono alla portata di tutte le tasche, giacché un esemplare costa solo 25 pfennig» . Alla fine del Diciannovesimo secolo, «Paris moderne» (1896), giornale dall’impaginazione più tradizionale rispetto alle nuove riviste illustrate, introduce una concezione del fotogiornalismo che preannuncia i lavori di Salomon, Kertész, Cartier-Bresson (artefice e fautore del momento decisivo). Nell’editoriale del primo numero il direttore afferma che la rivista nasce «nel momento giusto» e che, volendo essere «non un imitatore, ma un innovatore, un pioniere» egli intende affidare un ruolo di primo piano all’istantanea e creare così una documentazione inestimabile, «un riflesso straordinariamente realistico della vita in tutte le sue forme». A suo giudizio, è passato il tempo del «Fermo così». Compito di un giornale illustrato deve essere quindi quello di «rendere in immagini avvenimenti pieni di vita». Purtroppo la rivista chiude dopo pochi mesi di pubblicazioni, ma le intuizioni del suo fondatore, Auguste Deslinières, furono decisive per lo sviluppo del fotogiornalismo. Arrivati a questo punto, in cui il rapporto tra fotografia e stampa si fa sempre più stretto, la foto può essere considerata un prodotto finito e non più solo una materia prima, «alla fotografia è finalmente aggiunto quanto le mancava per essere veramente un medium, cioè un circuito di distribuzione». Ancora una volta, sono le innovazioni tecnologiche a segnare il passo. Il Ventesimo secolo si inaugura con la nascita della stampa mediante rotativa di immagini e testi fotograficamente incisi su cilindri. Successivamente perfezionata, questa tecnica consentì di arrivare pronti all’importante appuntamento con la prima guerra mondiale. I giornali erano ormai in grado di diffondere immagini d’attualità con tirature ingenti e qualità soddisfacente. Si da avvio all’era moderna della stampa illustrata. Si afferma la categoria professionale dei reporter fotografi, i fotogiornalisti come oggi li intendiamo. Inizialmente i quotidiani riservano uno spazio minore alla fotografia, rispetto ai settimanali. Le foto sono in numero limitato sulle pagine e rappresentano solo un corredo della notizia, la carta utilizzata, fra l’altro, condiziona negativamente la resa delle immagini. I settimanali, invece, stampati su carta più pregiata, dedicano alla fotografia molto più spazio, non avendo l’obbligo della completezza delle notizie, come il quotidiano, selezionano alcune storie, conformi alla linea editoriale della rivista e ritenute interessanti a tal punto da essere diffusamente raccontate. Di questo racconto le immagini (molteplici per ogni servizio) sono prima il corredo e poi, sempre più, l’ossatura. Testo scritto e fotografie cominciano ad integrarsi e compenetrarsi profondamente. Ogni foto reca una didascalia in cui l’immagine viene spiegata e interpretata, aggiungendo spesso giudizi e opinioni. Alla vigilia della Grande Guerra, le immagini fotografiche fanno ormai parte dei media, sono al servizio dell’informazione ma anche della propaganda. Posso affermare che Alfred Eisenstaedt nasce alla fine del 1800, il 6 dicembre 1898 per la precisione, nella cittadina di Dirschau, nella Prussia occidentale dove vivrà per i primi 8 anni di vita per poi trasferirsi insieme alla sua famiglia nella città di Berlino. Qui cominciò a muovere i primissimi passi con la fotografia, anche se la passione vera e propria si manifesterà più avanti, in particolare dopo la Prima Guerra Mondiale, durante la quale venne gravemente ferito. Arruolatosi nell’esercito tedesco come artigliere, nel 1918 riportò profonde ferite ad entrambe le gambe, e dopo una lunga convalescenza, riprese lentamente una vita normale, iniziando a lavorare in una ditta di bottoni e cinture, l’unica attività che riuscì a trovare che gli permettesse di fare un lavoro retribuito. Fu in questo periodo che ritrovò l’amore, mai sopito del tutto, verso la fotografia, e in maniera totalmente autodidatta, ben presto si trasformò da dilettante in professionista. Nel 1925 infatti, grazie ai risparmi accumulati grazie al suo lavoro, riuscì a comprarsi una fotocamera Zeiss e ben presto riuscì a guadagnare più come fotografo che come venditore, e sebbene il suo datore di lavoro avesse più volte provato a dissuaderlo dal continuare la sua passione, Alfred, decise di lasciare il lavoro per dedicarsi interamente alla fotografia e già nel 1929 cominciò a far parte della vivace scena del fotogiornalismo in Germania. Durante gli anni ’20 e fino all’inizio degli anni ’30 fu particolarmente influenzato da Erich Salomon, un vero e proprio pioniere della fotografia documentaria, stile che poi contraddistinguerà la sua intera opera futura. Iniziò a lavorare come freelance per numerose riviste per arrivare, più o meno nel 1928, a intraprendere una seria collaborazione con la Pacific and Atlantic Photos di Berlino e ottenere, solo un anno dopo, nel 1929, la commissione che fece decollare la sua carriera professionale: la premiazione dei premi Nobel a Stoccolma. Iniziò a lavorare come freelance per numerose riviste per arrivare, più o meno nel 1928, a intraprendere una seria collaborazione con la Pacific and Atlantic Photos di Berlino e ottenere, solo un anno dopo, nel 1929, la commissione che fece decollare la sua carriera professionale: la premiazione dei premi Nobel a Stoccolma. Tra il 1929 e il 1935, testimoniò con il suo occhio analitico la scena politica d’Europa che in quegli anni si preparava a una delle parentesi più buie della storia contemporanea. Tra i suoi scatti più famosi di quel periodo troviamo l’incontro tra Adolf Hitler e Benito Mussolini in Italia, e la foto ritraente il fidato collaboratore del Führer, Joseph Gobbels durante l’Assemblea delle Nazioni a Ginevra nel 1933. Sempre di quegli anni, famoso è lo scatto del cameriere pattinatore scattata al Grand Hotel di Ginevra, quando fu ordinato ad un cameriere di servire ai tavoli munito di pattini ai piedi. Ben presto l’ascesa del nazismo divenne sempre più prepotente e le origini ebraiche di Eisenstaedt lo spinsero ad abbandonare l’Europa e così nel 1935, decise di recarsi negli Stati Uniti stabilendosi nel quartiere Jackson Heights nella città di New York. Quando approdò in America, aveva già la fama di un grande fotografo e iniziò quasi subito a lavorare per diverse testate molto note come Hartper’s Bazar, Vogue, Town and Country fin quando nel 1936, Henry Luce (direttore editoriale del Time e che prese le redini della nuova rivista proprio nel 1936) lo assunse, insieme a Margaret Bourke-White, Peter Stackpole, e Thomas McAvoy come uno dei quattro fotografi dello staff per la nuova rivista LIFE. La novella testata, che si è ben presto trasformata in una delle più importanti testate di fotogiornalismo, sarà la rivista per cui Eisenstaedt lavorerà praticamente tutta la vita producendo più di 2500 servizi e più di 90 copertine. I primi anni alla rivista Life videro una produzione fotografica praticamente tutta relativa al nuovo conflitto mondiale e in molti casi ritraevano strazianti scene di saluto tra i militari pronti a partire per il fronte e le loro mogli, ma la sua foto più celebre, famosa in tutto il mondo, fu quella del famosissimo bacio in Times Square tra un marinaio e un’infermiera, scattata poche ore dopo la dichiarazione del presidente Truman che annunciava la fine della guerra (14 agosto 1945) e che universalmente venne considerata l’immagine per eccellenza che rappresentava la fine del conflitto mondiale. Eisenstaedt ha fotografato re, dittatori e star del cinema, ma ha anche ritratto con sensibilità persone comuni in situazioni quotidiane. Il suo scopo, disse una volta, era «trovare e catturare il momento della narrazione». A differenza di molti fotoreporter del dopoguerra, non era legato a un particolare tipo di evento o area geografica: era un generalista. Questa qualità lo rese uno dei fotografi preferiti dagli editori, non solo per il suo occhio veloce, ma anche per la sua abilità nel fare buone fotografie di qualsiasi situazione o evento. Il suo occhio non giudicante ma acutamente percettivo e la sua facilità con la composizione hanno reso le sue fotografie documenti memorabili della sua epoca sia storicamente che esteticamente. Tra le sue pubblicazioni più note ci sono Witness to Our Time del 1966 (il libro comprende il grande lavoro di Eisenstaedt nel ritrarre i personaggi del periodo, da Hitler alle star di Hollywood), The Eye of Eisenstaedt del 1969, Eisenstaedt’s Guide to Photography del 1978 o Eisenstaedt: Germany del 1981. Continuò a scattare fino alla sua morte immortalando gente comune e persone famose (nota è la sua foto del 1993 che ritrae il Presidente Clinton con la moglie Hillary e la figlia Chelsea. Alfred Eisenstaedt si spense il 24 agosto 1995 nel Menemsha Inn Cottage, a Pilot House, alla veneranda età di 97 anni. Il percorso espositivo viene tracciato proprio partendo dalla geografia dell’esistenzadi Eisenstaedt, evidenziando non solo i cambiamenti avvenuti nei luoghi da lui attraversati, ma anchel’evoluzione del linguaggio di cui si è servito per raccontarli. Nato nel 1898 a Dirschau, nella Prussia Occidentale (oggi Polonia), Eisenstaedt ha un primo approccio casuale con la fotografia durante l’adolescenza, quando uno zio gli regala una Eastman Kodak Nr. 3 che lo accompagnerà durante tutti gli anni di studio. Abbandonato il mezzo fotografico allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, lo riprende al ritorno dal fronte, e quello che inizialmente sembra un passatempo diventa presto, pur senza troppa consapevolezza, una carriera. Tra gli Anni Venti e Trenta il fotografo racconta in modo divertito e ironico il mondo dell’aristocrazia, la cui stravaganza lo incuriosisce; sono gli anni degli scatti alle famiglie in vacanza a Saint Moritz, ma anche dell’immagine di una tennista sul campo, prima fotografia che vende al settimanale DerWeltspiegel, segnando l’inizio della sua carriera. A partire da questo momento, riceve incarichi e committenze dalle principali riviste tedesche del periodo, che lo faranno viaggiare in tutta Europa come fotoreporter. Tra i diversi eventi politici che documenta si ricorda in particolare l’ascesa del nazifascismo- è suo un potente ritratto di Joseph Goebbels del 1933 che guarda in macchina con un’espressione truce e inquietante – e il primo storico incontro fra Mussolini e Hitler a Venezia nel 1934. In questo periodo Eisenstaedt descrive le sue fotografie come candid, ovvero capaci di racchiudere l’essenza spontanea del momento, nonostante una forte carica teatrale. Ispirandosi alla luce e alla composizione dei dipinti degli antichi maestri, il fotografo realizza scatti poetici e armoniosi, tra cui anche le sue iconiche fotografie di ballerine di danza classica, in cui risuona l’eco della pittura di Degas. Il suo sguardo non è però solamente poetico, in molti casi è anche ironico e affine talvolta all’estetica surrealista diffusa in Europa all’inizio del Novecento. Nel 1935, per fuggire alle leggi razziali, Eisenstaedt emigra negli Stati Uniti e nel 1936 inizia a collaborare con la celebre rivista americana “Life”per la quale firmerà alcuni dei suoi servizi più conosciuti. Maturato nella grande tradizione giornalistica del vecchio continente, il suo stile muta progressivamente, passando alla documentazione del veloce progresso della società americana. Abbandona la fotografia pittorica per dare spazio alla società in fermento, osservata con sguardo disincantato: i suoi scatti diventano così dinamici, mossi, con dettagli fuori fuoco e con protagonisti provenienti dalle strade di New York. Nell’arco della sua lunga carriera nella redazione di “Life”, Eisenstaedt pubblica più di 2500 servizi e oltre 90 copertine, ma la sua foto più nota rimane quella del V-J Day in TimesSquare. Dopo la guerra Eisenstaedt torna spesso in Europa, fotografando in particolare l’Italia e la Francia che aveva già ritratto prima di fuggire negli Stati Uniti. Nel 1947 si reca in Italia e ritrae i profondi cambiamenti avvenuti nel nostro Paese. Al posto dei monumenti e dei luoghi storici dei primi reportages ora le pubblicità e i cartelloni stradali riempiono lo spazio dell’immagine, mostrando una società avviata a una nuova stagione di benessere economico. Nel 1963 visita nuovamente Parigi ma, invece di ritrarre l’eleganza e l’opulenza dell’aristocrazia, si concentra sui volti della gente comune, cogliendo nei suoi scatti i passanti e i frequentatori dei mercati. A differenza di importanti fotografi dell’epoca e punti di riferimento nel mondo della fotografia, tra cui la collega di “Life”Margaret Bourke-White, Eisenstaedt non documenta la guerra ma ritrae le ragioni e le conseguenze generate nelle società, raccontandone il declino e la rinascita. Il fotografo realizza anche servizi per raccontare le conseguenze dei conflitti in diversi paesi, come l’Etiopia ripresa prima e dopo l’invasione imperialista italiana, il Giappone dove l’imperatore Hirohito in abiti civili osserva le rovine lasciate dallo scoppio delle due bombe atomiche e Israele fotografato all’indomani della sua nascita. In mostra si trova anche una sezione dedicata ai ritratti di personaggi famosi realizzati fin dai primi anni di carriera, con leader politici e celebrità che hanno segnato il secolo. Fra queste troviamo Sophia Loren, il cui scatto in lingerie, apparso sulla copertina di “Life”nel 1966, suscitò scandalo o quelle di Maria Telkes, Albert Einstein e J. Robert Oppenheimer, che ci offrono il suo sguardo su alcune delle menti più brillanti del Novecento. Anche in questo contesto emerge l’evoluzione umana delle figure ritratte: Oppenheimer, in particolare, è ritratto per la prima volta nel 1947 con sguardo spavaldo e poi ancora nel 1963, questa volta con l’espressione stravolta dal peso delle conseguenze delle sue ricerche. Quella di CAMERA è dunque una preziosa riscoperta di un maestro della fotografia, proposta attraverso gli scatti più famosi e quelli meno noti, che rivelano tutte le sfaccettature della sua opera: non uno ma tanti Alfred Eisenstaedt.






Biografia di Alfred Eisenstaedt
Nasce nel 1898 in una famiglia benestante della Prussia occidentale e cresce a Berlino, dove sviluppa fin da piccolo una profonda passione per la musica, che lo accompagnerà per tutta la vita. A quattordici anni riceve in regalo la sua prima macchina fotografica, una Kodak, ma la sua giovinezza viene presto interrotta dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale: viene arruolato e rimane gravemente ferito. Durante la lunga convalescenza frequenta i musei studiando la luce e la composizione dei grandi pittori del passato. Negli anni Venti, mentre lavora come commerciante di bottoni e cinture, torna con sempre maggiore interesse alla fotografia. Acquista una fotocamera Zeiss e inizia a vendere alcune fotografie a riviste illustrate. Nella prima metà degli anni Trenta la sua carriera decolla, viaggia in Europa per ritrarre eventi politici e celebrità, e il suo lavoro viene pubblicato su alcune delle testate più rilevanti del periodo, come “Die Dame”, “Berliner Illustrirte Zeitung”, “Graphic” e “London Illustrated News”. Con l’ascesa del nazismo, la situazione in Germania diventa pericolosa per un fotografo di origine ebraica. Dopo aver immortalato figure del regime come Goebbels e Hitler, e avere realizzato un importante reportage in Etiopia, nel 1935 Eisenstaedt emigra negli Stati Uniti, stabilendosi a New York. L’anno successivo viene assunto dalla rivista “Life”, diventando uno dei fotografi più importanti del magazine. Nel 1945, durante i festeggiamenti per la fine della guerra, realizza il celebre scatto del marinaio che bacia un’infermiera a Times Square. A partire dalla seconda metà degli anni Quaranta viaggia instancabilmente in tutto il mondo: documenta la ricostruzione del Giappone, ritorna in Etiopia, visita Israele e fotografa personaggi come Alfred Einstein, J. Robert Oppenheimer, Ernest Hemingway, John Fitzgerald Kennedy, Sophia Loren. Parallelamente, riceve numerosi riconoscimenti internazionali e pubblica diversi volumi fotografici che celebrano l’importanza del suo lavoro. Nonostante l’età avanzata, continua a lavorare: nel 1993, ormai novantacinquenne, scatta la sua ultima foto, ritraendo la famiglia del Presidente americano Bill Clinton. Due anni dopo, nel 1995, muore nella sua amata casa di Martha’s Vineyard.
CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino
Alfred Eisenstaedt
dal 13 Giugno 2025 al 21 Settembre 2025
dal Lunedì alla Domenica dalle ore 11.00 alle ore 19.00
Giovedì dalle ore 11.00 alle ore 21.00
Alfred_Eisenstaedt LIFE
Ritratto di Alfred Eisenstaedt in missione in Kenya, 1966. (Foto di Alfred Eisenstaedt/The LIFE Picture Collection © Meredith Corporation)
Alfred-Eisenstaedt-Al-teatro-delle-marionette-delle-Tuileries-rappresentazione-di-San-Giorgio-e-il-Drago.-Parigi-1963-©-Alfred-Eisenstaedt-The-LIFE-Picture-Collection-Shutterstock
Alfred_Eisenstaedt_Adolf_Hitler_e_Benito_Mussolini_si_incontrano_per_la_prima_volta_Venezia_14_giugno_1934_Alfred_Eisenstaedt_The_LIFE_Picture_Collection_Shutterstock
Alfred_Eisenstaedt_Il_fisico_americano_J_Robert_Oppenheimer_Princeton_New_Jersey_1947_Alfred_Eisenstaedt_The_LIFE_Picture_Collection_Shutterstock
Alfred-Eisenstaedt-Universita-del-Michigan.-Ann-Arbor-Michigan-1951-©-Alfred-Eisenstaedt-The-LIFE-Picture-Collection-Shutterstock-1-scaled