Giovanni Cardone
Fino al 5 Ottobre 2025 si potrà ammirare alle Gallerie d’Italia Milano la mostra “Una collezione inattesa. La Nuova Arte degli Anni Sessanta e un Omaggio a Robert Rauschenberg”, a cura di Luca Massimo Barbero. L’esposizione vuole essere un omaggio al grande artista americano Robert Rauschenberg e un itinerario inedito sull’arte contemporanea degli anni Sessanta. L’esposizione, che conta oltre 60 opere, si sviluppa nelle monumentali sale delle Gallerie d’Italia di Milano, offrendo al pubblico un viaggio ricco e articolato che attraversa la grande sperimentazione radicale degli anni Sessanta, per arrivare agli sviluppi più significativi del decennio successivo. Il percorso si arricchisce di intensi dialoghi tra opere rappresentative della cultura visiva concettuale, sia europea che americana. Le Collezioni di Intesa Sanpaolo, ancora una volta, si rivelano al grande pubblico in modo inatteso e sorprendente, grazie anche al fondamentale contributo della Collezione Luigi e Peppino Agrati, oggi parte del patrimonio artistico della Banca. Un’occasione unica per esplorare l’evoluzione dell’arte contemporanea, attraverso una selezione di lavori raramente esposti. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Robert Rauschenberg apro il mio saggio dicendo : Robert Rauschenberg nacque dal matrimonio tra Dora Carolina Matson ed Ernest R. Rauschenberg. A sedici anni, il giovane entrò all’università di farmacia e nel 1943 venne chiamato alle armi dalla marina militare statunitense, dove svolse il ruolo di tecnico all’ospedale psichiatrico fino al 1945. Rauschenberg si iscrisse all’Istituto d’arte di Kansas City e in seguito all’Accademia Juliandi Parigi, dove conobbe la sua futura moglie Susan Weil . Quest’ultima lo convinse a iscriversi al Black Mountain Collage, dove era diventato professore di pittura Josef Albers , uno dei fondatori della Bauhaus, celebre istituto d’arte tedesco chiuso negli anni Trenta dai nazisti. Tuttavia, il rapporto tra Albers e Robert non fu dei migliori, perché il giovane studente non era compatibile con il rigido metodo di insegnamento del professore di pittura. Nello stesso anno Rauschenberg conobbe il compositore avanguardista John Cage con il quale instaurò una profonda amicizia che diede vita a diverse collaborazioni. Infatti, il musicista fu uno dei primi a credere nel giovane artista e lo accolse all’interno del movimento New Dada da lui fondato. L’incontro con Cage costituì un punto di svolta nella carriera di Robert, poiché il musicista lo avvicinò a un approccio all’arte più concettuale e performativo. In questi anni, Rauschenberg elaborò le sue prime opere che facevano presagire le caratteristiche e le tematiche dei suoi capolavori maturi. Già all’epoca, l’artista non si limitava all’uso di un’unica tecnica, ma ne sperimentavadiverse, talvolta unendole insieme. Inoltre, anche in questi primi progetti erano presenti certi concetti fondamentali che avrebbe portato avanti per tutta la sua carriera, quali lo sdoppiamento, la ripetizione e le griglie. Nel 1949, Robert Rauschenberg si trasferì a New York, dove entrò in contatto con l’espressionismo astratto, corrente artistica nata negli anni Trenta i cui maggiori esponenti erano Jackson Pollock e Mark Rothko . In seguito alla scoperta di questa corrente, Rauschenberg iniziò a fondere il suo stile con le vigorose pennellate espressioniste e i simboli astratti. Negli anni a seguire Robert intraprese un viaggio in Europa e in Nord Africa, durante il quale iniziò a combinare dipinti, sculture e oggetti di tutti i tipi per creare un’unica opera. Questi progetti furono importanti per la futura elaborazione della serie Combines (1954-1964), le opere più importanti di Rauschenberg. Infatti, già in questi collage era ravvisabile l’intento del giovane statunitense di diminuire la distanza tra l’arte e la vita di tutti i giorni. Nel 1963 venne organizzata la prima mostra personale dell’artista nel Museo ebraico di New York e l’anno seguente Rauschenberg consolidò la sua fama con la vittoria del Gran Premio alla pitturaalla Biennale di Venezia. In occasione dell’esposizione Robert presentò per la prima volta le sue Combines, che ottennero un grandissimo successo.In seguito, Rauschenberg si interessò al mondo tecnologico e avviò una serie di collaborazioni con ingegneri e fisici per creare delle opere d’arte. Questa ricerca confluì nella E.A.T. (Experiments in Art and Technology), un’organizzazione che metteva in contatto artisti e ingegneri per dar vita a delle collaborazioni, che unissero i due campi del sapere.Un altro ambito artistico molto importante fu quello performativo, dato che Robert disegnò costumi e scenografie per vari spettacoli. Tuttavia, lo statunitense non si limitò unicamente a lavorare dietro le quinte, ma ideò anche numerose performance artistiche. In alcuni casi era lui stesso a dare vita alle esibizioni, in altri integrava le sue opere con aspetti performativi, come il suono nella serie Elemental Sculpture (1953-1959) o il passare del tempo in una Combine. Robert Rauschenberg nel 1970 si trasferì a Captiva Island, un piccolo villaggio di pescatori sulla costa della Florida, diametralmente opposto alla caotica New York. In questo piccolo paradiso terreste l’artista ebbe modo di riscoprire una nuova vitalità, che influenzò le sue opere schiarendo i suoi colori e spingendolo a usare dei materiali naturali. Il trasferimento a Captiva Island diede vita al periodo più fruttuoso della carriera di Robert, che ideò diversi capolavori tra gli anni Settanta e gli anni Novanta. Il lavoro eseguito a Captiva Island è visibile in opere come i Veneziani (1972-1973) e in Mirage (1975), nei quali Rauschenberg espresse la sua passione per i materiali trovati e lo studio dei diversi tipi di tessuti. Inoltre, durante il soggiorno nella piccola isola, Robert approfondì il suo interesse per la tematica ambientale, che divenne centrale in un nuovo progetto a lungo termine: Rauschenberg Overseas Culture Interchange, detto ROCI (1984-1991). Anche negli ultimi anni della sua carriera Robert Rauschenberg continuò a sperimentare nuove tecnologie e nuovi materiali con lo stesso entusiasmo delle sue prime ricerche artistiche. Nel 1996 venne organizzata una sua retrospettivadal Museo Solomon R. Guggenheim di New York, grazie alla quale Robert ebbe modo di ripercorrere tutta la sua carriera. Nonostante Rauschenberg avesse la mano destra paralizzata a causa di un infarto avuto nel 2002, continuò a lavorare utilizzando soltanto la mano sinistra fino al 2008, quando morì di arresto cardiaco in ospedale. È impossibile racchiudere le opere di Robert Rauschenberg all’interno di uno stile o di un genere canonico, perché fin dai primi lavori l’artista texano iniziò a sperimentare diverse tecniche e differenti tipologie di supporto. Inoltre, le sue opere vanno quasi sempre oltre l’aspetto contemplativo, identificandosi come degli oggetti che vivono e interagisconocon lo spazio dello spettatore. Una delle prime opere di Robert Rauschenberg furono i White paintings (1951), dipinti bianchi monocromatici disposti a griglie. I pannelli elaborati da Robert non avevano alcuna caratteristica estetica, ma si realizzavano soltanto una volta entrati in contatto con gli spettatori. I White paintings erano come delle opere non completamente realizzate, che necessitavano dell’intervento attivodello spettatore per riuscire a esprimere a pieno la loro essenza. Infatti, l’artista aveva pensato i pannelli come delle tele bianche, che non si limitavano a un unico soggetto, ma a infinite possibilità che si imprimevano sulla tela ogni volta che qualcuno o qualcosa vi passava davanti. Nello stesso anno Robert elaborò i Black paintings (1951), ovvero dei pannelli monocromatici, che rispetto ai White paintings si differenziavano per il colore nero e per la loro consistenza. Infatti, questi dipinti erano realizzati con l’aggiunta di fogli di giornale, che a seconda dell’angolatura potevano essere scorti dallo spettatore. In questo modo, Rauschenberg inserì per la prima volta l’elemento della sorpresa, che sarebbe diventato fondamentale nell’elaborazione delle sue opere più importanti: le Combines. Ulteriori opere della serie monocromatica furono i Red paintings (1953-1954), dei dipinti rossi monocromatici, realizzati con l’aggiunta di diversi materiali, quali il legno, i fogli di giornale e tanti altri. Intorno al 1954 Robert Rauschenberg inventò il termine Combines per descrivere le sue ultime opere: delle combinazionitra pittura e scultura, che andavano ben oltre le solite categorie artistiche. Infatti, la serie Combines includeva delle opere molto diverse tra loro: alcune venivano appese al muro, altre stavano in piedi da sole e i materiali adoperati cambiavano di opera in opera. L’artista iniziò a raccogliere oggetti per strada, nelle discariche e in ogni genere di negozio per poi assemblarli e trattarli insieme. Tramite questo processo Rauschenberg riusciva a dare una nuova vita agli oggetti scartati dalla società: da una parte elevandoli allo stato di opere d’arte, dall’altra utilizzando il loro effetto di straniamento e sorpresa. Quest’ultimo era causato dalla presenza di elementi inusuali, poiché scartati dallo società, all’interno del contesto artistico, finora esclusivo di opere dall’alto valore intellettuale ed estetico. Tra le Combines più famose vi sono Bed (1955) e Monogram (1955-1959). Nel primo caso, Robert Rauschenberg appese un lettoa una parete e lo dipinse come un quadro, con delle pennellate molto simili a quelle dei pittori espressionisti astratti. Tramite questo oggetto Rauschenberg riuscì a trasportare la dimensione intima dell’artista dinanzi agli occhi dello spettatore, dal momento che il letto costituisce il luogo in cui si susseguono le tappe principali della vita di ogni essere umano. In Bed l’effetto sorpresa è ottenuto tramite la sostituzione della tela con un letto, ma è in Monogram che lo straniamento è perfettamente raggiunto da Rauschenberg. Infatti, lo spettatore si trova davanti a una capraimbalsamata, appoggiata su una tela stesa per terra, simile a quelle di Jackson Pollock. In un’intervista Rauschenberg spiegò che l’opera non aveva alcun intento polemico, ma che aveva lo scopo di sorprendere lo spettatore. In questo caso l’effetto di straniamento è ottenuto tramite la presenza di un essere vivente ormai morto, che acquista nuova vita, grazie all’elevazione a oggetto artistico. Tra il 1984 e il 1991 Rauschenberg lavorò a un progetto artistico su larga scala: Rauschenberg Overseas Culture Interchange (ROCI). Per la realizzazione di ROCI Robert viaggiò in tutto il mondo, per dar vita a uno scambio di conoscenze ed esperienze che portasse alla realizzazione di opere d’arte, frutto di diversi influssi culturali. Lo scopo di Rauschenberg era quello di creare un dialogo tra culture diversee dar voce a dei paesi in cui le manifestazioni artistiche venivano represse dalle situazioni economiche o politiche. Tra i progetti più importanti vi fu ROCI Chile (1985), durante il quale Robert visitò la miniera di rame di Antofagasta in Cile, dove l’artista locale Benito Rojo gli spiegò come usare gli agenti opacizzanti sul rame. Il risultato di questa esperienza fu una raccolta di dipinti realizzati su un supporto per fotografie serigrafate e la serie Copperhead, in tutto quindici dipinti su rame (1985-1996). Inoltre, questa esperienza permise a Rauschenberg di conoscere e riportare in patria le conseguenze del regime repressivo del dittatore Augusto Pinochet sulla popolazione cilena, che invece erano state occultate e mascherate negli Stati Uniti. Robert Rauschenberg è stato uno dei più grandi innovatori nel mondo dell’arte contemporanea e il suo contributo è stato fondamentale per andare oltre la categorizzazione classica dei generi artistici. Ecco perché il cuore della mostra è il Salone Scala, interamente dedicato all’omaggio del grande artista Robert Rauschenberg. Il 2025 segna il centenario della sua nascita e, in questa occasione speciale, viene celebrato per la prima volta il suo profondo legame con l’Italia e con Peppino Agrati, amico e collezionista. Grazie a questo legame, è possibile presentare insieme un nucleo di 17 opere, tra cui il capolavoro Blue Exit del 1961. Questo tributo si ricollega a uno degli aspetti fondamentali della ricerca di Rauschenberg, che, fin dai suoi esordi con la monocromia degli anni Cinquanta, ha ridefinito il concetto di Neo-Dada, diventando uno dei protagonisti assoluti della cultura visiva internazionale degli anni Sessanta. Particolare rilevanza anche in questo caso riveste il legame tra Peppino Agrati e Lucio Amelio, rappresentato in mostra dall’opera Trasmettitore Argento Glut del 1987 e proveniente dalla storica esposizione organizzata dal gallerista napoletano. Accanto alle grandi opere e ai disegni, la mostra include litografie straordinarie che raccontano non solo l’evoluzione tecnica che Rauschenberg ha reso innovativa, ma anche il suo rapporto con le immagini e i temi della società e della politica dell’epoca. Questa è la prima volta che l’intero nucleo di opere di Robert Rauschenberg proveniente dalle Collezioni Luigi e Peppino Agrati viene esposto al pubblico. Un’occasione unica per sottolineare l’importanza che il maestro americano ha attribuito alla composizione e alla grafica, elementi fondamentali del suo linguaggio artistico. La selezione di opere si apre con capolavori significativi che esplorano il monocromo, uno degli aspetti centrali della ricerca artistica tra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta. In questo contesto, la presenza di artisti come Yves Klein, Lucio Fontana e Piero Manzoni risulta fondamentale, rappresentando emblematicamente la ricerca europea di quel periodo. Queste opere si confrontano, in un dialogo vivace e serrato, con le nuove generazioni di artisti le cui ricerche aprono gli anni Sessanta, tra cui spiccano due rare opere di Giulio Paolini, un monocromo di Robert Ryman e una giovanile quanto sorprendente opera in piombo di Richard Serra. Come in un azzeramento della superficie, il curatore propone un confronto tra i grandi maestri dell’arte contemporanea provenienti da due sponde opposte dell’Oceano, in un dialogo tra minimalismo e monocromia. L’esposizione offre l’opportunità di ammirare opere di Carl Andre, protagonista della scultura minimalista americana, affiancate da due importanti lavori di Robert Mangold, artista raramente visibile nelle collezioni europee. A queste si uniscono due capolavori di Enrico Castellani: Superficie bianca (Omaggio all’alba) e Superficie bianca. Dittico. Un momento di approfondimento del nuovo immaginario degli anni Sessanta si sviluppa nella sala successiva, dove due leggii di Giulio Paolini – la cui presenza punteggia l’intero percorso di mostra – dialogano con due opere specchianti di Michelangelo Pistoletto, rispettivamente del 1967 e del 1979, e si intrecciano simultaneamente con il lavoro giovanile del maestro Jannis Kounellis del 1960. Questo spazio, creando un gioco di rimandi e riflessi ideali e concettuali, arricchisce la comprensione dell’evoluzione dell’arte in quegli anni cruciali di ricerca. Successivamente, in uno spazio concentrato e intensamente significativo, sei disegni realizzati con polvere da sparo introducono il pubblico all’opera del grande maestro californiano Edward Ruscha e si confrontano con tre opere in piombo di Jasper Johns, lo stesso artista che appare ritratto nell’opera di Giulio Paolini del 1967. Questo dialogo diventa così emblematico dello scambio serrato – sia concettuale che pittorico – che ha caratterizzato gli anni Sessanta, mettendo in relazione le esperienze artistiche dei due continenti. A questa selezione risponde la grande sala d’angolo, che, grazie all’ingresso della Collezione Luigi e Peppino Agrati nel patrimonio artistico di Intesa Sanpaolo, offre per la prima volta a Milano l’opportunità di ammirare le tre serie di dieci serigrafie originali di Andy Warhol: Marilyn, Electric Chairs e Mao Tse-Tung. Queste opere su carta costituiscono una riflessione sulla bellezza, sulla caducità del tempo e sulla potenza della comunicazione. In aggiunta, sarà possibile ammirare Waco, Texas di James Rosenquist, un’opera che arricchisce ulteriormente il percorso espositivo, rappresentando anch’essa un capitolo significativo della cultura pop. Il dialogo sul nuovo immaginario degli anni Sessanta si sviluppa anche nelle due ultime sale perimetrali del Salone Scala, dove sono esposte opere raffinate e intime di Roy Lichtenstein. Tra queste, spicca Mirror #2 del 1970, un pezzo silenzioso e quasi minimale, che, insieme a Brushstroke del 1965, diventano un simbolo emblematico della cultura Pop americana. Il dialogo prosegue con la figura di Jean-Michel Basquiat, che, ancora giovanissimo, espone sotto lo pseudonimo di SAMO nella galleria Mazzoli di Modena. L’artista intrattiene anche un profondo legame con l’Italia e con Napoli, grazie anche al gallerista Lucio Amelio, sodale di Peppino Agrati. Il ponte culturale tra Italia e Stati Uniti trova simbolicamente espressione anche grazie alla presenza di Francesco Clemente che, nel 1984, lavorò nel celebre lavoro collettivo a quattro e sei mani proprio con Basquiat e Andy Warhol, qui rappresentato con la serie Vesuvius. Il percorso espositivo rappresenta una nuova straordinaria opportunità per approfondire e valorizzare i numerosi temi, autori e movimenti presenti nelle Collezioni Intesa Sanpaolo.
La Collezione Luigi e Peppino Agrati
Dopo la donazione da parte del cavaliere Luigi Agrati, Intesa Sanpaolo è custode di una delle più importanti raccolte d’arte del secondo Novecento esistenti in Italia, la Collezione Luigi e Peppino Agrati. Con questa mostra prosegue la valorizzazione della Collezione nelle Gallerie d’Italia, dopo le mostre “Arte come rivelazione. Opere dalla Collezione Luigi e Peppino Agrati” nel 2018 e “Una Collezione Inattesa: Viaggio nel contemporaneo tra pittura e scultura” nel 2023. La Collezione Luigi e Peppino Agrati fu creata a partire dal 1968 dai due importanti industriali, eredi ed esponenti della borghesia illuminata lombarda. Dopo la morte di Peppino, il testimone è stato raccolto dal fratello Luigi che, insieme alla moglie Mariuccia Fumagalli, ha deciso di donare questo tesoro a Intesa Sanpaolo. Si tratta di lavori unici di Andy Warhol, Jean-Michel Basquiat, Robert Rauschenberg, Christo, Robert Ryman e, accanto ad essi, di una folta schiera di artisti italiani fra i più prestigiosi, tra i quali Lucio Fontana, Piero Manzoni, Mario Schifano, Alberto Burri, Fausto Melotti. Con molti di essi, gli Agrati hanno avuto un rapporto di dialogo e di amicizia. Dall’Informale alla Pop Art, dall’Arte Povera alla Conceptual Art per arrivare al Neoespressionismo e alla Transavanguardia, la collezione attraversa e intreccia i movimenti che hanno segnato il percorso dell’arte non solo italiana ma internazionale nella seconda metà del Novecento. La collezione è il risultato di una passione profonda, di una sensibilità intellettuale e sociale rivolta ai singoli artisti e al contesto in cui operarono. La raccolta rivela la stretta relazione che intercorse tra collezionista, artista e significato dell’opera d’arte. In occasione del finissage della mostra, Allemandi pubblicherà un volume di approfondimento sul nucleo di opere di Rauschenberg della Collezione di Luigi e Peppino Agrati.
Galleria d’Italia Milano
Una collezione inattesa. La Nuova Arte degli Anni Sessanta e un Omaggio a Robert Rauschenberg
dal 30 Maggio 2025 al 5 Ottobre 2025
dal Martedì alla Domenica dalle ore 9.30 alle ore 19.30
Giovedì dalle ore 9.30 alle ore 22.30
Lunedì Chiuso
Foto Allestimento della Mostra Una collezione inattesa. La Nuova Arte degli Anni Sessanta e un Omaggio a Robert Rauschenberg dal 30 Maggio 2025 al 5 Ottobre 2025 Ph. Maurizio Tosto