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A Roma una mostra dedicata a Mario Giacomelli uno dei più grandi Maestri della Fotografia Italiana

Gazzettino Italiano Patagónico by Gazzettino Italiano Patagónico
28 de mayo de 2025
in Arte, Giovanni Cardone 
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A Roma una mostra dedicata a Mario Giacomelli uno dei più grandi Maestri della Fotografia Italiana
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Giovanni Cardone

Fino al 3 Agosto 2025 si potrà ammirare al Palazzo delle Esposizioni Roma la mostra dedicata a Mario Giacomelli  –‘Mario Giacomelli. Il fotografo e l’artista’ a cura di Bartolomeo Pietromarchi Katiuscia Biondi Giacomelli. L’esposizione promossa da Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e Azienda Speciale Palaexpo, prodotta e organizzata da Azienda Speciale Palaexpo in collaborazione con Archivio Mario Giacomelli. L’iniziativa rientra in un ampio progetto espositivo concepito per celebrare i cento anni dalla nascita di Mario Giacomelli, articolato in due mostre parallele: “Mario Giacomelli. Il fotografo e l’artista” a Palazzo Esposizioni Roma e “Mario Giacomelli. Il fotografo e il poeta” a Palazzo Reale di Milano attraverso questi due percorsi complementari è possibile approfondire le molteplici sfaccettature del lavoro di Giacomelli e testimoniare l’eredità artistica e culturale di uno dei più grandi maestri della fotografia italiana. Un’opportunità unica per riscoprire Giacomelli non solo come fotografo ma come figura centrale nel panorama artistico e culturale del Novecento, capace di costruire un ponte tra fotografia, pittura, poesia e scultura con visioni che continuano a ispirare nuove generazioni di artisti e osservatori. La mostra a Palazzo Esposizioni Roma propone una vasta selezione dell’intera opera fotografica di Giacomelli, dimostrando la straordinaria capacità con la quale l’autore ha attraversato e contaminato diverse discipline artistiche. Sono in mostra oltre 300 stampe originali, molte delle quali inedite e mai esposte. Il focus è sulle relazioni tra l’opera di Giacomelli e le arti visive contemporanee, con l’esposizione, lungo il percorso espositivo, di lavori di Afro (Afro Basaldella), Roger Ballen, Alberto Burri, Enzo Cucchi, Jannis Kounellis che dialogano con la poetica e la visione del fotografo. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Mario Giacomelli apro il mio saggio dicendo :  Posso affermare che Mario Giacomelli artista sensibilissimo e tormentato, considera la fotografia un suo personale modo di narrare la vita la natura, per cui fotografa con il suo sofferto bianco e nero i paesaggi marchigiani che raccoglie in Storie di terra e Presa di coscienza sulla natura (1954-2000). Per arrivare all’ultimo drammatico racconto Questo ricordo lo vorrei raccontare (1999-2000), quando l’autore riesce a tradurre in intensa e drammatica rappresentazione la sua stessa malattia; in queste immagini si legge una struggente volontà di lasciare un traccia del proprio passaggio sulla terra in un’ennesima sfida con la morte con la quale si era confrontato a lungo nel corso della sua esistenza e in tanta parte della sua produzione artistica. Questo straordinario maestro dell’immagine ha mostrato, anche in questa occasione e fino all’ultimo soffio di vita, una fede assoluta nel suo lavoro, continuando con determinato puntiglio a rappresentare il suo mondo poetico con questo tenerissimo racconto autobiografico, dove il “raccontare” nasce dalla consapevolezza che il futuro è diventato uno stretto sentiero da percorrere con il desiderio di sopravvivere a se stesso, che bisogna condensare l’ultimo brandello di vita in una sequenza di immagini animate da ombre e simboli, da maschere grottesche e animali fantastici: siamo di fronte allo struggente addio al mondo da parte di un Maestro che affida al suo ormai fragile respiro la volontà di “architettare un racconto come intuizione futura nel silenzioso fiume. Giacomelli si è affermato come un originale narratore che ha saputo trarre ispirazione da alcuni testi poetici che sono stati capaci di suscitare in lui particolari sensazioni e stimoli creativi: “Soltanto un nobile poeta dal puro sentimento ha detto Giuliana Scimè riesce a coniugare in armonia le parole, il loro significato con la trasposizione in fotografie evocative di pensieri e non di eventi. Mario Giacomelli è uno dei pochissimi che tenti questo ardito miracolo…il suo racconto visivo è un’opera autonoma che è stata stimolata da un’altra opera, interpretazione personale che svela, a noi sordi e ciechi, il mistero dei dialoghi con l’immaginario”. Il fotografo marchigiano è un autore difficilmente classificabile secondo scuole e generi fotografici, in quanto più che alla perfezione tecnica egli punta al risultato narrativo, che riflette una “voglia” di raccontare fortemente legata e motivata al proprio mondo interiore in un continuo e singolare raffronto con la poesia. Infatti Giacomelli riesce ad entrare nello spirito più profondo di testo poetico non per diventare un “illustratore di versi”, ma per essere un autore che si esprime attraverso le immagini, seguendo il filo di emozioni, sensazioni, sentimenti, ricordi e riflessioni, che una poesia ha fatto nascere in lui: “Guardando le cose che ho fatto egli dice mi accorgo che i miei lavori non hanno valore come bella immagine ma, se hanno qualcosa, è quella che io ho cercato di dare. In queste foto rimane la traccia dell’intervento, nelle poesie e nei racconti, che mi porta fuori dal quotidiano, dal contatto traumatico coll’esistenza. cioè mi servo di qualcosa di reale che però e, in un certo senso, fuori dal quotidiano. Mi piace passare dentro quello che accade, dentro il racconto dentro la realtà, con tutte le emozioni che può provare un uomo, cercando prima dentro se stesso”. Giacomelli ha lavorato per tutta la vita su alcuni testi poetici con una straordinaria coerenza come se stesse riscrivendo in continuazione lo stesso racconto fotografico, nel quale confluisce, pur con modulazioni e contenuti diversi, una materia in costante ebollizione che comporta anche una evoluzione umana e artistica. Nel corso del suo lungo percorso di ricerca egli ha aggiunto e ha tolto immagini in continuazione; ha mescolato fotografie fatte in epoche e in occasioni diverse; ha accostato o sovrapposto fotogrammi in cui la realtà è chiaramente leggibile con altri segnati da una forte astrazione. In tutte queste operazioni (e qui sta la sua coerenza stilistica) si avverte il suo personalissimo intervento nella particolarità e nel “taglio” dell’inquadratura, nella manipolazione del negativo o della stampa, perché chiuso nel suo laboratorio egli è solo preoccupato di tradurre in una immagine fotografica quella immagine mentale che i versi di un poeta avevano fatto nascere a livello interiore, tanto che egli può affermare: “Le mie non vogliono essere solo fotografie…io non faccio il fotografo, non so farlo…Sono uno che cerca dei godimenti – ma non solo per se stesso – perché in ogni caso rendo consapevoli anche gli altri…ho bisogno degli altri, perché voglio che l’immagine non finisca con me, ma continui a vivere con gli altri”. Secondo Giacomelli i suoi racconti “vivono delle forze inconsce. Gli oggetti sono segnati dal passato e da una nuova realtà portata in luce come esperimento di libertà sentita, come creatività che lievita, nel suo silenzio. Analizzo i pensieri per tramutarli nella forma a misura d’uomo, dove l’uomo non è determinato dal mondo circostante, ma è il centro, il creatore di ogni libertà. Non il suo mondo esterno, ma la creatività, la libertà, il guardare sotto la pelle delle cose ribaltando le emozioni in immagini sulla superficie della pellicola. E’ ciò che mi interessa. La realizzazione figurativa è una cosa mentale, è lo spirito che crede nella genialità della forma; che silenziosamente fonde presente e passato, realtà e ricordo, in un unico blocco mentale che è il linguaggio. Nasce così la reinvenzione come elemento di costruzione, come spostamento fantastico di una realtà vissuta, dove l’intensità del pensiero di nuovo crea e trattiene quel silenzio che produce il tracciato del “Racconto”. Il “Racconto” segue le vie che l’interiorità ha disposto in un continuo di segni, di simboli e significati che slittano progressivamente nell’indicibile; all’incrocio del tempo che si impregna con quello dello spazio. Il passato diventa presente, produce ulteriori ricordi tradotti in domande senza risposte, come oggetto di discussione per i periodi silenziosi della mia anima. Giacomelli in una intervista rilasciata trent’anni dopo, ha modo di affrontare i concetti di “poesia” e “fotografia” in un modo che risulta illuminante non solo per capire la sua personalità di artista, ma anche lo spirito che anima questo capolavoro dei pretini: “Il mio mestiere è il tipografo e vivo con il mio lavoro. La fotografia è un’altra cosa: quando io fotografo è come se entrassi in un bel giardino dove sento il profumo dei fiori, dove vedo i fiori anche se non esistono. E’ semplice: io ho bisogno di lavorare per mangiare e ho bisogno della fotografia per vivere il sogno…Io sono proprio il fotografo della domenica, perché il resto della settimana è occupato dal lavoro. La domenica…vado con la macchina alla ricerca di emozioni. Provo fastidio a sentirmi definire poeta, perché esistono i poeti veri…Allo stesso modo mi arrabbio quando mi chiamano fotografo, perché non sono nemmeno questo. Io non so caricare la macchina di un altro e adopero la mia perché è la più stupida che esista. E’ un po’ come me, la più semplice delle cose: lei un oggetto chiamato “macchina”, io sono un oggetto chiamato “uomo”…La verità è che tu vivi dove vivono gli altri, vedi quello che vivono gli altri, però tu selezioni quello che gli altri non selezionano, cioè i tuoi occhi riescono a vedere un fiore che si è piegato…Cosa mi ha dato la fotografia? Ci vorrebbe una parola magica perché mi ha dato qualcosa di magico, ma non vorrei usare questa parola perché ritengo che ognuno di noi abbia quello che si merita. Io ho avuto questo qualcosa di magico non solo perché me lo merito, ma anche per una mia scelta di vita. Si corre dietro a un’infinità di cose e io ho scelto questo aggeggio così stupido, così insignificante perché mi permette di scrivere e di parlare di poesia senza avere gli strumenti letterari per farlo. Ho capito che per la mia ignoranza la macchina fotografica era l’oggetto giusto per esprimermi. Non so con precisione che cosa mi ha dato la fotografia, posso dire soltanto che essa ha aperto un cancello, perché questa è in fondo la mia idea di fotografia: apro un cancello e vedo un giardino pieno di ogni cosa che desidero, che mi sfugge di continuo, ma che di continuo io posso afferrare. Quindi per me la fotografia è la cosa più astratta e nello stesso tempo più concreta. Con la macchina fotografica ho attraversato un cancello e ho trovato un prato dove non si finisce mai di respirare l’aria, la libertà, questo verde, questi fiori, questo silenzio, tutto quello che ti può dare un prato. L’unica cosa certa per me è questa immensità della fotografia: il fotografo ha bisogno di un vuoto, di uno spazio avanti a sé e in questo spazio lui vuole che danzino immagini che sono soltanto segni, scritture indecifrabili per gli altri”.  L’esposizione parte da un confronto con le opere pittoriche e grafiche di Afro e Alberto Burri, che esplorano il rapporto tra astrazione e materia. Le sperimentazioni di Giacomelli sulla superficie fotografica riecheggiano le ricerche materiche, alchemiche e pittoriche di Afro e Burri, in una comune indagine sulla densità del nero e del bianco, sul contrasto e sul segno. Profondamente attratto dall’arte di Afro e amico personale di Burri, Giacomelli trovò nell’arte un costante punto di riferimento, visibile nelle sue sperimentazioni, soprattutto in camera oscura. In mostra sono presenti le sue celebri serie paesaggistiche (dagli anni ‘50 al 2000), Motivo suggerito dal taglio dell’albero (1966/1968), Territorio del linguaggio (1994) e Bando (1997/1999). Un altro significativo dialogo si sviluppa attorno al tema del realismo, attraverso il confronto con l’opera di Jannis Kounellis. In questa sezione sono esposte le serie Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (1966/1968), E io ti vidi fanciulla (1993/1994), Lourdes (1957) e Mattatoio (1960). La dichiarata vicinanza di Giacomelli al protagonista dell’Arte Povera emerge non solo nella scelta dei soggetti, ma anche nella sensibilità estetica condivisa, fatta di riferimenti alla cultura contadina, alla materia e a una visione artistica fortemente improntata al realismo. Le opere in mostra testimoniano questa affinità, restituendo immagini intense e poetiche sulla condizione umana, sul tema della vita e della morte e sul sottile confine che le separa, tra suggestioni liriche e narrazioni. Segue poi un confronto con l’opera di un altro artista, suo conterraneo e con il quale Giacomelli condivise anche occasioni espositive, Enzo Cucchi. Il tema di questa stanza è il paesaggio, inteso in senso ampio: non solo come rappresentazione del territorio, ma come espressione culturale, visione ed elemento identitario che definisce il legame tra l’uomo e la terra. Anche in questo caso, emergono forti richiami e rimandi tra le immagini oniriche e visionarie del pittore e quelle del fotografo, che si intrecciano in un’ampia composizione di scatti provenienti da diverse serie realizzate nel corso degli anni. A concludere il percorso tematico è un dialogo diretto con uno dei grandi interpreti della fotografia contemporanea, Roger Ballen, che ha più volte dichiarato la sua ammirazione e il suo debito artistico nei confronti di Giacomelli. Il confronto si sviluppa attorno alle ultime opere del maestro marchigiano, tra cui Questo ricordo lo vorrei raccontare (2000), La domenica prima (2000), Astratte (’90) e Per poesie (ferri e lenzuola) (‘60/’90), in un intenso scambio tra linguaggi e sensibilità artistiche. Una grande mostra dedicata a Roger Ballen aprirà al Mattatoio il 27 maggio 2025, allacciando, come di consueto, un serrato dialogo tra le diverse proposte culturali di Azienda Speciale Palaexpo. Al cuore del percorso espositivo si trova una sala interamente dedicata alla celebre serie Io non ho mani che mi accarezzino il volto (1961/1963), che, nei primi anni Sessanta, ha consacrato Mario Giacomelli sulla scena internazionale. Per la prima volta, viene presentata la più ampia selezione di stampe della serie, comprendente numerose immagini inedite, accompagnata da una preziosa raccolta di provini di stampa. Concepita come una vera e propria installazione, la sala restituisce l’energia e il movimento circolare che animano la serie, esaltandone la dimensione performativa. Le immagini dei giovani seminaristi, sospese tra gioco e spiritualità, si fanno pura poesia visiva, capaci ancora oggi di emozionare e coinvolgere lo spettatore con la loro intensità senza tempo. Ad aprire e chiudere la mostra sono due stanze immersive. All’inizio del percorso una installazione multimediale in cui la voce di Giacomelli e una colonna sonora appositamente concepita accompagnano la proiezione delle sue immagini, regalando un’esperienza coinvolgente e suggestiva. Al termine della mostra, la riproduzione fotografica dello studio dell’artista è ulteriormente impreziosita dall’esposizione dell’ingranditore e della mitica Kobell, la sua unica macchina fotografica. La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Silvana Editoriale.

Biografia Mario Giacomelli

Nasce a Senigallia (Ancona) nel 1925, è il maggiore di tre fratelli e all’età di 9 anni perde il padre. In questo periodo comincia a dipingere e a scrivere poesie. La madre trova lavoro come lavandaia presso il locale ospizio. Qualche anno più tardi (1955) Mario ritornerà in quel luogo, dove realizzerà le immagini della serie “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, titolo ripreso da Cesare Pavese. Avrà modo di dire in seguito che tra tutte le immagini, quelle dell’ospizio di Senigallia gli hanno procurato le più grandi emozioni. La prematura perdita del padre, costringe Mario ad iniziare presto a lavorare come garzone in una tipografia di cui diventerà in futuro proprietario. Il tempo della scuola viene sovente impegnato in tipografia, la magia della stampa lo cattura e a 13 anni decide di fare il tipografo. La “Tipografia Marchigiana” affacciata sulla piazza che, nel centro di Senigallia, celebra con un monumento Papa Mastai Ferretti (Pio IX), ha chiuso le sue serrande nel Dicembre del 1999. Il 1953 segna la svolta nella vita di Giacomelli, acquista infatti per 800 lire una macchina fotografica e il giorno di natale si reca sulla spiaggia per scattare la sua prima fotografia. E’ solo di fronte al mare che lambisce la spiaggia con le sue onde, scatta e movendo la macchina al momento dello scatto ottiene la sua prima fotografia “L’approdo”, immagine della battigia carezzata da un’onda come un colpo di pennello. Vicino alla tipografia abita una persona che tanto peso ha avuto nell’inserimento delle Marche sul dibattito che, a livello nazionale, si stava sviluppando sulla fotografia, quest’uomo è Giuseppe Cavalli.  Avvocato, uomo di lettere, profondo conoscitore di Croce (cita spesso a memoria passi del “Breviario” al giovane Giacomelli, chiedendogli poi opinioni a cui il “nostro” risponde invariabilmente “non ho capito” o “non sono d’accordo”) ma anche esperto di tecnica e storia della fotografia, fondatore nel 1947 con Leiss, Finazzi, Vender e Veronesi de “La Bussola”, storico circolo le cui idee crociane furono espresse nel Manifesto pubblicato da “Ferrania” nel maggio 1947. Dopo alcuni anni tuttavia il successo iniziale riscosso da “La Bussola” comincia a venir offuscato dal progressivo affermarsi di un altro gruppo storico “La Gondola” guidato da Paolo Monti, alle cui immagini molti giovani si avvicinano, colpiti dal loro grande vigore espressivo. E’ forse questo uno dei motivi per cui, nel 1953, Giuseppe Cavalli fonda proprio a Senigallia il gruppo “Misa”, di cui Giacomelli e Piergiorgio Branzi rappresentano le “giovani speranze”. Nel “Misa” non c’è la presenza egemone delle idee di Cavalli come ne “La Bussola”, è un gruppo aperto dove ognuno è libero di condurre le ricerche che vuole, sono così inevitabili gli scontri, soprattutto tra Giacomelli e Cavalli stesso. “Cavalli purtroppo vedeva solo da una parte e allora litigavamo sempre” avrà modo di dire Giacomelli. Del gruppo “Misa” Mario Giacomelli è cassiere per alcuni anni. Nel corso delle discussioni all’interno del “Misa”, Giacomelli conosce le opere di Paolo Monti, apprezzandole al punto di arrivare a dichiarare “Cavalli diceva che era il nemico pubblico n° 1, ma a me Monti mi faceva morire!”. E sarà proprio Paolo Monti (in giuria con Roiter e Comisso, tra gli altri) a dargli la soddisfazione del premio al miglior complesso di opere al Concorso di Castelfranco Veneto nel 1955. “Apparizione è la parola più propria alla nostra gioia ed emozione, perché la presenza di queste immagini ci convinse che un nuovo e grande fotografo era nato” dichiarerà in seguito lo stesso Monti. Nel 1956 Cavalli, forse nel tentativo di svecchiarla, lo chiama a far parte insieme a Branzi de “La Bussola”, da cui uscirà ben presto per insanabili divergenze. Del 1957-59 è la serie di immagini riprese a Scanno, Giacomelli rimane affascinato dall’atmosfera fiabesca del luogo, che aveva già colpito altri grandi fotografi, tra cui Henri Cartier Bresson. Sempre del 1957 è la serie “Lourdes” seguita, nel 1958, da “Zingari”, “Puglia” e, nel 1959, (ripresa nel 1995) “Loreto”. Del 1961 sono le immagini di “Mattatoio” e nello stesso anno inizia a lavorare alla serie “Io non ho mani che mi accarezzino il viso”, titolo ripreso da uno scritto di padre Turoldo. Le immagini sono riprese nel Seminario Vescovile di Senigallia, che Giacomelli frequenta per un anno prima di dar forma alle foto vere e proprie. In questo ambiente i giovani seminaristi sono ripresi in momenti di ricreazione, le foto restituiscono l’incanto di uno spazio umano, ma al tempo stesso sospeso in una sorta di astrazione temporale. Nel 1963 inizia la grande stagione di mostre che porteranno le sue immagini nei più grandi spazi espositivi del mondo, dalla Photokina di Colonia nel 1963 al MOMA di New York (1964), dal Metropolitan di new York (1967) alla Bibliothèque Nationale di Parigi (1972), dal Victoria & Albert Museum di Londra (1975) al Visual Studies Workshop di Rochester (1979 e poi Venezia, Providence, Parma, ancora New York, di nuovo Colonia, Mosca, Arles, Amsterdam, Tolosa, Bologna, Londra, Rivoli fino alle recenti antologiche di Empoli, Losanna e Roma (purtroppo postuma). Risale agli anni 1964-66 “La buona terra”, seguita da “Caroline Branson” del 1971-73, lavoro ispirato all’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, poi “presa di coscienza sulla natura (1980-94), la grande serie dei paesaggi. Su testi del poeta Permunian si fonda “Il Teatro della neve” (1985-87) seguita da “Ninna Nanna” e “A Silvia” (1987-88), lavoro pensato in origine per un programma televisivo. Nel 1986 muore la madre, a cui aveva dedicato nel 1955 un intenso ritratto. Tra i lavori più recenti ricordiamo: “Il mare dei miei ricordi” (1991-94), “Io sono nessuno” (1994-95) su testi di Emily Dickinson fino ad arrivare a “Questo ricordo lo vorrei raccontare” (1998-2000) e “Bando” (1998-99) ciclo di immagini in serie di 4, ispirate ad una poesia di Sergio Corazzini e presentato nel 1999 alla XXIV Biennale d’Arte contemporanea di Alatri. Il 25 novembre 2000, all’età di 75 anni, Mario Giacomelli si è spento nella sua casa di Senigallia.

Palazzo delle Esposizioni Roma

Mario Giacomelli. Il fotografo e l’artista

dal 20 Maggio 2025 al 3 Agosto 2025

dal Lunedì alla Domenica  dalle ore 10.00 alle ore 20.00

Giovedì , Venerdì e Sabato dalle ore 10.00 alle ore 22.30

Mario Giacomelli L’approdo | The landing place, 1952 stampa d’epoca alla gelatina ai sali d’argento | vintage gelatin silver print, cm 29,8 x 39,4 Archivio Mario Giacomelli

Mario Giacomelli Senza titolo | Untitled, 1978 tecnica mista su cartoncino | mixed media on cardboard, cm 98,7 x 68,2 Collezione | Collection Archivio Mario Giacomelli

Mario Giacomelli Io non ho mani che mi accarezzino il volto | I have no hands that caress my face, 1961-63 stampe d’epoca e successive alla gelatina ai sali d’argento, dimensioni varie | vintage and later gelatin silver prints, various dimensions Archivio Mario Giacomelli

Mario Giacomelli Io non ho mani che mi accarezzino il volto | I have no hands that caress my face, 1961 provini con appunti di stampa | contact prints with handwritten notes Archivio Mario Giacomelli

Mario Giacomelli Metamorfosi della terra | Metamorphosis of the land, anni ’50, ’60, ’70 e ’80 | 1950s, 60s, 70s and 1980s stampe vintage alla gelatina ai sali d’argento, dimensioni varie | vintage gelatin silver prints, various dimensions Archivio Mario Giacomelli

Mario Giacomelli Presa di coscienza sulla natura | Epiphany about nature, anni 80-’90 | 1980s and 1990s stampe vintage alla gelatina ai sali d’argento, dimensioni varie | vintage gelatin silver prints, various dimensions A retro di un’opera il timbro “PRESA DI COSCIENZA SULLA NATURA (il lavoro dell’uomo, i segni, la materia, il caso)”. Nella sequenza stabilita da Giacomelli per la mostra sul paesaggio dedicata ad Alberto Burri, presso la galleria Anna D’Ascanio, Roma, 1999 | Stamp on verso «EPIPHANY ABOUT NATURE (the work of man, signs, material, chance)». In the sequence indicated by Giacomelli for the exhibition devoted to Alberto Burri, held in 1999 at the Galleria Anna D’Ascanio in Rome. Archivio Mario Giacomelli

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