A pochi giorni dalla tregua commerciale di 90 giorni raggiunta tra Stati Uniti e Cina, Pechino ha imposto nuove tariffe sulle materie plastiche. A partire da oggi, il gigante asiatico applicherà dazi fino al 75 per cento sull’importazione di plastica proveniente da Stati Uniti, Unione Europea, Taiwan e Giappone. La mossa arriva dopo un’indagine su presunte pratiche di dumping avviata a maggio del 2024, poco dopo che gli Stati Uniti avevano aumentato pesantemente i dazi su auto elettriche, semiconduttori e altri beni importati dalla Cina. Nel mirino delle nuove tariffe, come precisa una nota del ministero del commercio cinese diffusa ieri, è finito il copolimero di poliformaldeide, una plastica comune usata in componenti automobilistici, dispositivi medici ed elettrodomestici perché in grado di sostituire parzialmente metalli come rame e zinco. Le imposte variano dal 3,8 al 74,9 per cento. Le aliquote più elevate, pari a 74,9 per cento, sono state applicate all’import dagli Stati Uniti, mentre le spedizioni europee saranno soggette a dazi del 34,5 per cento. Tariffe del 35,5 per cento verranno invece applicate alle importazioni giapponesi, fatta eccezione per la nipponica Asahi Kasei, che ha avuto una aliquota specifica del 24,5 per cento. Dazi generali del 32,6 per cento sono stati imposti sui prodotti da Taiwan, mentre per le due aziende taiwanesi, la Formosa Plastics e la Polyplastics Taiwan, sono state applicate tariffe rispettivamente del 4 e del 3,8 per cento. La decisione di imporre tariffe sulle materie plastiche arriva dopo un’indagine antidumping avviata in precedenza. A gennaio, il ministero ha dichiarato che le indagini iniziali avevano accertato l’esistenza di pratiche di dumping e ha varato misure correlate preliminari sotto forma di un deposito a partire dal 24 gennaio. La Cina avvia regolarmente indagini antidumping contro i paesi con cui ha controversie commerciali più ampie. In particolare, Pechino ha imposto dazi antidumping sul brandy europeo, colpendo duramente l’industria francese del cognac, dopo che Bruxelles ha avviato una procedura antidumping nei confronti dei veicoli elettrici cinesi. Pechino mira così a tutelare la propria economia. In quest’ottica si deve leggere la decisione della Cina di ridurre la sua partecipazione al debito degli Stati Uniti. Già a marzo, prima dell’inasprimento delle tensioni commerciali con Washington, le riserve cinesi di titoli del Tesoro Usa sono scese a 765,4 miliardi di dollari, 18,9 miliardi di dollari in meno rispetto a febbraio. La Cina scende così al terzo posto tra i paesi stranieri detentori del debito statunitense, scavalcata dal Regno Unito e dal Giappone, attualmente il più grande detentore del debito statunitense. Da anni Pechino riduce progressivamente la sua esposizione ai titoli del Tesoro americano nel tentativo di diversificare il suo portafoglio e ridurre la propria dipendenza dal dollaro. Gli analisti sospettano che la Cina voglia anche tenersi alla larga da potenziali tempeste finanziarie legate al debito USA, soprattutto dopo le minacce tariffarie di Trump. E dall’altra parte dell’oceano, serpeggia un’altra paura: che il debito pubblico statunitense diventi un’arma nelle mani dei rivali commerciali.
Se. Co.