Ci pensa Donald Trump. Con un ordine esecutivo firmato con la solita enfasi elettorale, il presidente americano ordina alle case farmaceutiche di abbassare «volontariamente» i prezzi dei medicinali. Nessun vincolo, nessuna sanzione, solo un vago invito cordiale, condito da una minaccia vaga: «Useremo il potere del governo federale» se non obbedite. Quale potere? E come, quando? Dettagli irrilevanti. Il messaggio per le industrie del farmaco, però, è chiaro: niente panico. Si temeva una stretta regolatoria, e invece arriva quella che paradossalmente è una vittoria per Big Pharma: per ora può tirare un sospiro di sollievo e continuare a fissare i listini senza troppe interferenze. Trump, nel frattempo, si autoproclama pure linguista e conia quella che chiama una «nuova parola»: «equalize», letteralmente «equalizzare» i prezzi dei farmaci a livello globale. Traduzione dal trumpese: non tanto far pagare meno agli americani, quanto far pagare di più agli europei. Se l’insulina costa troppo a Detroit, la soluzione di Trump è farla costare di più a Parigi. Trump ha anche affermato che la riduzione dei prezzi dei farmaci sarà parte integrante del processo di bilancio del Congresso. Ma tale disposizione non è stata inclusa in alcun documento legislativo pubblicato dalla Camera o dal Senato. E i farmaci da prescrizione non rappresentano il 50 o il 60% della spesa sanitaria federale, come dice lui.
Maria Casadei