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Il social network europeo per sostituire Instagram, Facebook e TikTok

Gazzettino Italiano Patagónico by Gazzettino Italiano Patagónico
16 de abril de 2025
in Tecnología
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Il social network europeo per sostituire Instagram, Facebook e TikTok
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L’amministrazione Trump ha accordato un’ulteriore proroga a ByteDance, la società cinese proprietaria di TikTok, per chiudere la trattativa di vendita della sua sussidiaria americana. La situazione resta incerta, e questo «tira e molla» offre lo spunto per interrogarsi: l’Europa può investire su un «proprio» social network? Memori di quanto accaduto con X (ex Twitter) – laddove molti personaggi noti italiani (dal cantante Piero Pelù all’attore Vinicio Marchioni) e internazionali (dalla modella Gigi Hadid all’attrice Whoopi Goldberg) hanno espresso il proprio dissenso lasciando il social di Elon Musk – è possibile lasciare i social network «made in Usa» per approdare su piattaforme europee (o comunque non americane)?. Nel Regno Unito, il quotidiano Guardian scrive: «I benefici di stare su X sono superati dagli aspetti negativi e le risorse per promuovere il nostro giornalismo possono essere usate altrove». Condivisibile o meno, i numeri rilasciati dalla piattaforma di e-commerce Shopify parlano chiaro: ad aprile 2024, Facebook contava 3 miliardi e 65 milioni di utenti nel mondo (Instagram ne contava 2 miliardi). Al contempo, in Italia Facebook era utilizzato dal 77,5 per cento degli utenti (Instagram dal 75,3 per cento). Se fino a qualche anno fa la maggior parte delle app installate nei nostri smartphone provenivano da una regione particolarmente ristretta del globo (Google Maps alla mano, la California, e più dettagliatamente la Silicon Valley), oggi si stanno invece palesando – sempre più intensamente – anche in Occidente le applicazioni asiatiche, soprattutto cinesi: da Weibo – un ibrido tra Facebook e X – a Xiaohongshu (nota anche come REDnote, ricorda Instagram). Ma sono entrambe utilizzate solo da utenti in lingua cinese. Per restare più ancorati alla nostra realtà, citiamo due piattaforme russe: la ben nota Telegram (conosciuta anche per l’arresto di Pavel Durov, il suo fondatore) e VKontakte (una sorta di Facebook del Cremlino). Da Telegram (app di messaggistica privata che, come WhatsApp, offre agli utenti l’opportunità di inviare testi, immagini e note vocali) a Signal. In questo caso restiamo negli Stati Uniti (l’applicazione è stata lanciata da Signal Foundation, un’organizzazione senza scopo di lucro, in California, presieduta da Meredith Whittaker) che non accumula metadati, non traccia le persone né mostra annunci pubblicitari. Pertanto, non monetizza dati personali. Seppur non abbia una parte di social media né preveda di integrare l’intelligenza artificiale (come nel caso del di Meta AI, il tasto su WhatsApp e Instagram), Signal vuole essere un app per la messaggistica e le chiamate il più fruibile possibile. A questo proposito, Whittaker ammette: «Forniamo un’infrastruttura di comunicazione veramente privata a tutti, ovunque, a livello globale. Punto e basta. Non cambieremo rotta». Senza dimenticare l’intramontabile piattaforma di social media (anch’essa «made in Usa») Snapchat; si tratta un’applicazione di messaggistica multimediale accessibile attraverso dispositivi mobili Android e iOS. Gli utenti di Snapchat possono condividere video e immagini aggiungendovi filtri oppure altri effetti. Dotata di un Safety Center («puoi facilmente segnalarci contenuti inappropriati direttamente dall’app.Tieni premuto sullo Snap, poi premi il pulsante «segnala Snap». Facci sapere cosa sta succedendo: faremo del nostro meglio per aiutare», spiega l’azienda), Snapchat viene spesso «inserita» da imprese e brand nelle proprie strategie di marketing. Con quale intento? Sfruttare gli annunci e i filtri brandizzati dell’app. In tutto ciò il grande assente è il Vecchio Continente. I dati e le evidenze empiriche attestano infatti che, ad oggi, non sussiste l’opportunità di creare un social in grado di raggiungere un duplice obiettivo: gareggiare con le big tech statunitensi e cinesi e rappresentare un modello alternativo e focalizzato su valori umanistici (come nelle parole che, di recente, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha rivolto alle nuove generazioni: «Non fatevi chiudere in tanti mondi separati. Usate i social sempre con intelligenza, impedendo che vi catturino producendo una somma di solitudini». Certo, le alternative ci sono, ma sono tutte troppo «deboli» per competere con la triade formata da Facebook, Instagram e X (sul podio, ovviamente, non inseriamo Truth Social, la piattaforma autoreferenziale che Trump ha lanciato nel 2022 per contrastare la narrazione del mondo liberal). Qualche esempio? I social network Bluesky (che, un italiano non sempre perfetto, invita ad addestrare l’algoritmo mettendo like ai contenuti che ci interessano) e Mastodon (con un’interfaccia simile all’ex Twitter, la piattaforma tedesca è stata lanciata dall’ingegnere informatico Eugen Rochko). Fondato su un software «open source» – dunque, sviluppato e gestito mediante una collaborazione aperta – Mastodon permette agli utenti di riunirsi in una comunità a loro scelta. Priva di pubblicità, la piattaforma vive (appunto) grazie alle donazioni dei singoli utenti. Ma è ancora un microcosmo. Così come, uscendo dall’Europa, è Pixelfed, servizio di social network di condivisione di immagini gratuito e «open source». Definita l’alternativa a Instagram, la piattaforma sviluppata dal canadese Daniel Supernault non ha mai decollato. Il messaggio è lampante: il Vecchio Continente è (tutt’ora) considerato un regolatore globale, più che un innovatore. Tagliata fuori da qualsivoglia scenario futuribile in ambito digitale, l’Europa cerca – anche attraverso la Spagna – un riscatto. Qui, lo scorso marzo, il Congresso dei deputati ha dibattuto la proposta non legislativa di Sinistra repubblicana di Catalogna (Esquerra Republicana de Catalunya), che sollecita il governo a percorrere un doppio binario: creare di un social network europeo finanziato con fondi pubblici e sviluppare una regolamentazione più rigida sulle attuali piattaforme private, ritenute un esempio di «tecno-feudalesimo», Un fenomeno nel quale gli utenti – secondo Erc – «non sono proprietari dei loro dati né dei loro spazi digitali, ma diventano servi digitali in un sistema controllato da un numero circoscritto di attori privati». La Sinistra repubblicana di Catalogna non ha dubbi: le big tech americane – da Meta (Facebook, Instagram, WhatsApp) ad Alphabet (Google, YouTube) a X – hanno conquistato una posizione di dominio mai visto prima sullo spazio pubblico online. Da qui l’urgenza di creare un social network di interesse pubblico a livello europeo, finanziato dall’Ue mediante un accordo pubblico-privato. Una sfida affascinante che, fin d’ora, si annuncia tutta in salita.

Massimo Canorro

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