Due piazze confuse e ambigue come atto costitutivo di una coalizione politica probabilmente perdente. Nonostante l’incapacità del governo di Giorgia Meloni di imprimere una direzione coerente e organica alla politica estera del nostro Paese – in equilibrio precario tra l’Europa e il duo USA Trump-Vance – questo centrosinistra, che si appresta a vedere la luce, rischia di garantire il potere al centrodestra per i prossimi vent’anni. La piazza del 15 marzo «Per l’Europa» e quella del 5 aprile «Per la Pace e contro le armi», rappresentano il prodotto più riuscito di almeno due lustri di una continua e organizzata disinformazione, partita sin dall’invasione russa dell’Ucraina del marzo 2014, potenziata durante la pandemia e ancora in atto ai giorni nostri. Una disinformazione martellante che oggi trova, da destra (Fratelli d’Italia e Lega) a sinistra (Movimento 5 Stelle, Svg e l’ala «pacifista» del Pd), efficaci casse di risonanza e che si amplifica all’indomani di cruciali scelte da parte dell’Unione europea come, ad esempio, l’annuncio del Piano di riarmo europeo, il «famigerato» ReArm EU. Gli elementi che accomunano le due piazze del Centrosinistra sono diversi. Il primo è relativo al concetto di «pace» come elemento spurio, slegato dal contesto e dall’ambito di riferimento. La pace nonostante tutto e tutti. Come una sorta di parola magica che, al solo proferirla, risolve tutte le dispute nel migliore dei modi. Insomma, il concetto di pace di una qualsiasi miss a un concorso di bellezza, «Voglio la pace nel mondo!». Il secondo elemento comune è una confusa percezione di chi è l’aggredito e di chi è l’aggressore. L’Ucraina è sì stata aggredita, ma a ben guardare – secondo la visione dei «pacifisti» disinformati e disinformanti – l’aggressione non è immotivata, ma «giustificata» da un atto ostile da parte dell’Europa che, con l’appoggio degli Usa sotto la presidenza Joe Biden, ha forzato la mano per far entrare la repubblica ex sovietica prima nella Ue e poi nella Nato. E quindi, la vera aggressione è stata quella perpetrata dall’Europa e dagli Usa di Biden – l’Occidente cattivo – ai danni della Russia di Vladimir Putin. Quindi, l’aggressore, la Russia di Putin, diventa l’aggredito. Da questo postulato, così inquinato dalla disinformazione, ne deriva un altro, conseguenza logica e «coerente» e terzo elemento che accomuna la piazza del 15 marzo con quella del 5 aprile: è sbagliato inviare armamenti e aiuti all’Ucraina, perché così si continua a fomentare la guerra. E, quindi, bisogna stoppare ogni aiuto logistico, finanziario e militare a favore dell’Ucraina per arrivare finalmente alla pace (che vorrebbe dire consegnare l’Ucraina alla Russia, con buona pace del fatto che quest’ultima è paese aggressore – ma come abbiamo già scritto, secondo la visione disinformata e disinformante, essa è la vera aggredita -). Infine, un quarto elemento, strettamente connesso all’ideologia pacifista a tutti i costi, è la contrarietà più o meno netta nei confronti del ReArm EU ad oggi annunciato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Il piano di riarmo che vede una decisa guida franco-tedesca-polacca, con convinto appoggio della Gran Bretagna. In questo caso, abbiamo un istruttivo caso scuola di disinformazione, con tutti i suoi elementi più efficaci: il benaltrismo (quante cose più utili potrebbero essere fatte con quei soldi, anziché spenderli in armi); la derisione mista ad attacco (definire, ad esempio, «guerrafondai» coloro che si dicono d’accordo con il Piano di riarmo europeo, quasi a volerli descrivere come dei sadici individui, schiavi più o meno consapevoli dei voleri dei produttori di armamenti, ovvero lobby che muovono i poteri forti); l’argomento fantoccio da agitare a ogni piè sospinto tra interviste, ospitate nei talk e appelli «pacifisti» da opinion leader più o meno autorevoli, con annesse clip e materiale media da diffondere sui social (riprendendo gli argomenti disinformati e disinformanti che abbiamo già tratteggiato sopra, come la confusione tra «aggredito» e «aggressore», etc.). Difficile non pensare che dietro a tutto ciò ci sia una regia unica. E, infatti, l’ulteriore elemento fondativo di una buona azione di disinformazione è quella di creare dibattito circa un supposto complotto. E di solito, coloro che urlano al complotto, sono essi stessi i complottanti, più o meno consapevoli, in una spirale che porta confusione e sfoca i contorni della verità. Tutto si mischia nella più assoluta confusione. Operazione riuscita. Volgendo lo sguardo al panorama politico italiano, possiamo ben evidenziare come vi sia un partito traversale della disinformazione, e quando va bene, semplicemente disinformato, da destra a sinistra. In particolare, poi, l’esempio plastico di come la disinformazione sul conflitto russo-ucraino abbia avuto e stia avendo ampio successo è rappresentato dalle due piazze organizzate nell’alveo del centrosinistra: quella dello scorso 15 marzo a trazione Partito democratico – anche se, ufficialmente, non è stata una manifestazione partitica, linea difensiva che, tra l’altro, sostiene il Campidoglio al fine di giustificare l’esborso delle casse capitoline per finanziare la manifestazione – e quella del 5 aprile organizzata dal Movimento 5 Stelle. Fondamentalmente, due manifestazioni mosse platealmente dall’essenza stessa della disinformazione sul conflitto russo-ucraino che porta a guardare con estrema diffidenza l’Unione europea e con immotivata accondiscendenza le ragioni di un regime autoritario come quello putiniano. Un centrosinistra che, tra una capriola e l’altra, da un salto logico all’altro, in pieno delirio da disinformazione, risulta molto vicino alle posizioni del centrodestra di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni, trovando un punto di convergenza nella critica al piano ReArm EU e trovandosi a lambire le posizioni anti-europeiste di Donald Trump. Insomma, un’Internazionale populista al suo stadio più maturo. Ha ragione Goffredo Bettini – in questo frangente molto prodigo di interventi a testate unificate – nella sua intervista al quotidiano Domani dello scorso 2 aprile a dire che «Le due piazze non sono antitetiche». E, infatti, sono identiche in quanto entrambe confuse e ambigue. Anche perché in accordo, magari, con il concetto – altamente opinabile – sempre espresso dal medesimo Bettini (in un’intervista a Il Riformista del 4 aprile scorso) che «Putin non è Hitler». In ultimo, Aldo Cazzullo nella rubrica delle lettere del Corsera – sempre dello scorso 2 aprile – scrive «L’Italia è l’unico Stato dell’Europa occidentale dove i populisti hanno vinto le elezioni, sia nel 2018, sia nel 2022». Ma il vero problema è che in Italia i populisti sono, oltre che nel centrodestra, anche tra le fila del centrosinistra, da Svg fino al Pd, passando per il Movimento 5 Stelle. Sarebbe più corretto affermare che l’Italia è l’unico paese nel quale vi è un forte partito populista che è stabilmente al potere da almeno dieci anni. E che non trova alcuna opposizione perché, anche la minoranza è imbevuta dello stesso populismo. Ed è questo l’elemento più critico che peserà durante tutti i prossimi vent’anni.
Enrico Pazzi