Il 10 percento dell’energia del pianeta viene ottenuta dalle centrali nucleari. Qualcuno vorrebbe veder crescere questa percentuale, perché la fissione è una tecnologia a basse emissioni e potrebbe aiutare la transizione verso un mondo carbon neutral. Altri la ritengono una strada pericolosa, perché anche le centrali nucleari producono sostanze inquinanti, sotto forma di scorie radioattive complicate e costose da gestire e da smaltire. Trovare un’utilità a questi rifiuti radioattivi è una delle strade che potrebbero rendere realmente sostenibile l’energia nucleare. Ed è in questa direzione che va un’invenzione appena presentata sulla rivista Optical Materials: X: una batteria in grado di produrre energia riciclando la radioattività residua delle scorie provenienti dai reattori a fissione. La nuova «batteria nucleare» funziona grazie a un procedimento in due fasi. La prima fase prevede la trasformazione delle radiazioni emesse dalle scorie in luce, ed è affidata a uno scintillatore, cioè un cristallo con la capacità di emettere fotoni, e quindi luce, quando viene attraversato da particelle cariche, come appunto quelle emesse dagli elementi radioattivi. Una volta ottenuta la luce, la batteria la trasforma quindi in elettricità, sfruttando delle comuni celle solari. Se la teoria è relativamente semplice, ottenere un prototipo in grado di generare una quantità significativa di energia elettrica non è stato, ovviamente, altrettanto facile. Ma ottimizzando materiali e procedimenti, gli autori dello studio – un team di ricercatori statunitensi guidati dalla Ohio State University – ha raggiunto l’obbiettivo. La loro batteria misura appena 4 centimetri cubi, ed è stata messa alla prova con due fonti di radiazioni gamma: il cesio 137 e il cobalto 60, due dei più comuni prodotti di scarto dei reattori a fusione. Con il primo la batteria è riuscita a generare 288 nanowatt di potenza, con il secondo – che emette molti più raggi gamma – ha raggiunto 1,5 microwatt, una quantità di energia sufficiente per alimentare sensori di piccole dimensioni. Al momento, gli inventori della batteria propongono il suo utilizzo nelle aree in cui vengono prodotte le scorie nucleari, dove sono presenti livelli elevati di raggi gamma ambientali, e dove potrebbe tornare utile per alimentare sensori di monitoraggio e altre piccole apparecchiature elettroniche. Con la giusta fonte di radiazioni, però, potrebbe essere possibile aumentare la resa della batteria in termini di elettricità, e quindi immaginarne utilizzi anche più ambiziosi, aiutando ad esempio a riciclare la radioattività prodotta nei grandi depositi di scorie nucleari, trasformando questi rifiuti dannosi che attualmente rappresentano solo un problema, in utili fonti di energia a basse emissioni. «È un concetto di batteria nucleare molto promettente», sottolinea Ibrahim Oksuz, ingegnere della Ohio State che ha collaborato allo sviluppo del prototipo. «Abbiamo ancora molto margine di miglioramento, ma credo che in futuro questo approccio si ritaglierà un ruolo importante sia nel campo della produzione dell’energia, sia nell’industria dei sensori».
Maria Anzalone