Una breve premessa: noi non si fa mai di tutte le erbe un fascio, nemmeno quando si generalizza. È pur vero, però, che guardando la storia viene da pensare che realmente una buona parte del mondo occidentale sia di un certo stampo; naturalmente, come è noto, con l’aggettivo occidentale non si intende più una questione geografica, ma un determinato tipo di atteggiamento nei confronti della realtà, della vita, del mondo. Fermo e restando il fatto che anche nell’Occidente ci siano delle gemme preziose, come in Oriente delle mele marce, non si scrive queto pensiero con pregiudizi nei confronti dell’Occidente, ma come una denuncia, l’ennesima, dello stato di degrado al quale l’uomo cosiddetto civilizzato è giunto dopo secoli di abomini e devastazioni. Come ben si sa, l’uomo bianco, l’occidentale europeo, nei secoli ha colonizzato, o distrutto, a seconda dei punti di vista (ma forse sono sinonimi), la gran parte del mondo, sfruttando popolazioni locali e devastando ecosistemi in vita da molto prima del suo arrivo sulla Terra. Tutte le popolazioni indigene, e non, che hanno subito l’invadenza dell’uomo bianco, hanno svariate definizioni, ma una delle meglio riuscite è forse quella che il popolo dei Sioux utilizzava. L’uomo bianco era chiamato Uas’ichu, che letteralmente significherebbe «colui che ruba il grasso», intendendo naturalmente come colui che si ruba la parte migliore, porta via ad altri e non è mai soddisfatto. L’immagine è molto eloquente, poiché non va a definire l’uomo bianco in base al colore della pelle, come invece abitualmente ha fatto e fa l’uomo bianco medio, ma ci si sofferma su una caratteristica: tra le varie azioni compiute dall’uomo bianco, quella che più colpisce è l’ingordigia, l’avidità con cui invade e distrugge popolazioni. I Sioux, tra l’altro, sono tra le principali popolazioni che toccarono con mano la crudele perseveranza del Uas’ichu, il quale non si fermò di fronte a nulla, stipulò dei trattati (tutti a suo vantaggio), che puntualmente non rispettava qualora le condizioni avessero dovuto portare ulteriori vantaggi. Quella del Uas’ichu sembrò essere una malattia incurabile e condivisa anche in altre latitudini, poiché che fossero statunitensi, inglesi, belgi, francesi, spagnoli, italiani, tedeschi, e altri, sempre l’appetito di conquiste e devastazioni in nome del progresso patrio non cessava mai. Ma la cosa che rende questa definizione forse in cima alla classifica è il fatto che ancora oggi, sotto diversi aspetti, è ancora valida. Basta compiere un rapido sguardo nel mondo: guerre, colonialismo ancora in atto, seppur mascherato, accordi tra sistemi occidentali a danno delle comunità locali o di Paesi che non vorrebbero rassegnarsi; insomma, quando si parla anche dello sfruttamento sfrenato della terra per depredare i metalli preziosi per elettrodomestici e batterie di auto del sistema civilizzato, non si sta quindi parlando di rubare il grasso e non essere mai soddisfatto? Di fronte ad un panorama del genere, sembra che lo sconforto debba prevalere, quanto meno fra coloro che non vogliono piegarsi a questo stato di cose. Eppure bisogna pur iniziare ad uscirne, a cambiare qualcosa; la possibilità di scelta esiste sempre, ciascuno di noi ha sempre l’opportunità di non essere Uas’ichu: quando si fanno determinati acquisti, quando si cercano determinate informazioni, quando si lascia ad altri ciò che a noi non servirebbe e non useremmo, quando si predilige la connessione con noi stessi, con gli altri e con la Natura piuttosto che quella di internet e così via, fino ad arrivare ad una comprensione sempre più profonda del legame che dovremmo avere tra di noi. Se ci pensiamo, potremmo immaginare un triangolo equilatero: noi stessi, gli altri, la Natura. Nessun vertice in cima, angoli e lati uguali, nessuna piramide sociale, solo equilibrio. Allora sì che si spezzerebbe la definizione dei Sioux e tutti i loro spiriti potrebbero riposare in pace. Come San Francesco o Raimondo Lullo che durante le crociate invitavano al dialogo, differenziandosi dalla massa che prediligeva l’odio verso lo straniero musulmano e votava la guerra, allo stesso modo ciascuno di noi potrebbe dimostrare che quella definizione non gli si addice per niente, ma non a parole, il Uas’ichu ha sempre parlato e parlato, per poi cambiare a suo favore: ma è con le azioni che si cambia realmente e alle volte anche dire no è un’azione decisiva.
Nicolò Raimondi