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A Torino una mostra dedicata a Primo Levi in Occasione degli ottant’anni dalla liberazione di Auschwitz

Gazzettino Italiano Patagónico by Gazzettino Italiano Patagónico
26 de febrero de 2025
in Arte, Giovanni Cardone 
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A Torino una mostra dedicata a Primo Levi in Occasione degli ottant’anni dalla liberazione di Auschwitz
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Giovanni Cardone

Fino al 5 Maggio 2025 si potrà ammirare Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica Torino una mostra dedicata a Primo Levi – Giro di posta. Primo Levi, le Germanie, l’Europa a cura di Domenico Scarpa. L’esposizione  è promossa dalCentro Internazionale di Studi Primo Levi,  in occasione degli ottant’anni dalla liberazione di Auschwitz(27 gennaio 1945 – 27 gennaio 2025), il «giro di posta» del titolo si presenta dunque come un’ampia discussione sulla Shoah e sul suo posto in un’Europa da ricostruire dopo la guerra, ma ben presto divisa in due blocchi contrapposti. E si presenta come una rete per molte ragioni: perché ci sono circuiti di posta dove una stessa lettera viene spedita a più destinatari per sollecitarli a dire la loro; perché copre come un reticolato aree della Germania a Est e a Ovest, sconfinando in ulteriori paesi; perché vi si intrecciano le quattro lingue – l’italiano, il francese, l’inglese e il tedesco – adoperate da Levi. La mostra realizzata con documenti in gran parte inediti, Giro di posta offre una vasta retedi carteggi privati che soltanto oggi diventano pubblici, e che raccontano l’Europa e la Germania divise in due. A tessere la trama sono gli interlocutori tedeschi e germanofoni di Levi, ma non soltanto loro. Le corrispondenze esposte messaggi scarabocchiati a matita su fogli di fortuna o impeccabili lettere battute a macchina su carta intestata attraversano quasi mezzo secolo di storia europea. Auschwitz, esperienza di cui Levi non smise mai di indagare i segreti e i significati, è il fuoco geometrico della vicenda. Se questo è un uomo suonava fin dal titolo come una domanda rivolta al lettore, ma i fatti del libro erano avvenuti in tedesco e per mano di tedeschi, e dunque a loro quella domanda doveva arrivare. Nel 1959 fu avviata finalmente la traduzione del libro in tedesco, che uscì nel 1961, lo stesso anno in cui venne costruito il Muro di Berlino. Da quel momento in poi, una «intricata rete epistolare» mise Primo Levi in contatto con un gran numero di interlocutori notevoli: lettrici e lettori comuni, lettori che erano anche scrittori, ex compagni di Lager, e persino qualcuno che in Auschwitz stava «dall’altra parte». Conoscendo Levi, non c’è da meravigliarsi che tra i suoi corrispondenti lo attraessero in particolare i più lontani per mentalità o per geografia. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Primo Levi apro il mio saggio dicendo :  Apro con questa bellissima citazione di Primo Levi : “La memoria è come il mare: può restituire brandelli di rottami a distanza di anni”. Posso affermare che Primo Levi nasce a Torino il 31 luglio 1919 in una famiglia di ebrei piemontesi. Per Levi la figura più importante della sua famiglia era il padre, Cesare Levi, ingegnere elettrotecnico. Anche se Cesare Levi era molto orgoglioso del suo figlio primogenito, il loro rapporto era molto complicato soprattutto a causa dei loro caratteri diversi, ma anche per la grande differenza di età. Nonostante tutti questi problemi Primo Levi vedeva nel suo padre una persona che lo aveva indirizzato sulla strada verso la scienza e più tardi anche verso la letteratura. “Le prime curiosità letterarie di Levi, infatti, vennero appagate dalla ricca biblioteca del padre alla quale il ragazzo poteva attingere liberamente e che rappresentò per lui, fin da allora, uno stimolo costante alla lettura.” Sicuramente non si può trascurare la sorella di Levi, Anna Maria, con la quale Levi aveva un legame molto forte. Tra loro due esisteva “una specie di  ‘lessico famigliare’, o meglio, di linguaggio cifrato – e pertanto inaccessibile agli stessi genitori” Anna per Levi non era soltanto la sorella minore ma una persona che gli è stata di un grandissimo sostegno per tutta la vita. Nel 1933 Levi entra nel ginnasio-liceo D’Azeglio, dove per qualche mese ha come professore di italiano Cesare Pavese. Gli altri personaggi importanti che Levi conosce nel ginnasio sono per esempio Franco Antonicelli, oppure Massimo Mila, tutti esponenti dell’antifascismo torinese. All’inizio degli studi Levi dimostra un grande interesse innanzitutto per le discipline scientifiche. Ma nel frattempo si appassiona alla lettura di testi di divulgazione scientifica dell’epoca. “I compagni di università ricordano che una delle storie del Sistema periodico, quella che nel 1975 chiude il libro, Carbonio, era già stata concepita in anni giovanili e raccontata almeno, sotto forma di riassunto, a voce. Molti dei racconti sono nati così, da una pratica orale, in seguito a incontri e serate conviviali.” Finiti gli studi al liceo, nel 1937, Levi comincia a frequentare la facoltà di chimica dell’Università di Torino. Fin dall’inizio Levi non solo veniva apprezzato dai professori, ma aveva anche buonissimi rapporti con tutti gli studenti. Nel novembre del 1938 entrano in vigore le leggi razziali, firmate da Mussolini, che significavano gravi discriminazioni per quelli che erano di razza ebraica. Per Levi era un trauma anche se non gli mancava la solidarietà sia da parte dei professori che degli stessi compagni del corso. Nonostante questa situazione Primo Levi si laurea in chimica nel 1941. La situazione si complica ancora di più non solo per gli effetti delle leggi razziali ma anche perché in quel periodo Levi perde il padre.  Dopo la laurea, nel periodo dal 1941 al 1943, Levi svolge la professione di chimico. Lavora presso una cava d’amianto nei pressi di Balangero, clandestinamente sotto un falso nome. Concluso il lavoro a Balangero, Levi si trasferisce a Milano per motivi di lavoro. A Milano si ferma dal luglio del 1942 fino all’8 settembre del 1943, il giorno in cui l’Italia firma l’armistizio con gli alleati. Durante il suo soggiorno a Milano, Levi frequenta alcuni amici torinesi; tra cui per esempio Eugenio Gentili, Silvio Ortana o Ada Della Torre, che è sua cugina. Più tardi Levi entra in contatto con l’antifascismo ed aderisce al Partito d’azione clandestino. Nel 1943 si trasferisce a Val d’Aosta, sopra Saint-Vincent, dove decide di aderire a un gruppo partigiano. Levi e altri partigiani subiscono un rastrellamento durante il quale Levi viene arrestato e trasferito alla caserma ad Aosta dove viene interrogato. All’inizio del 1944, Levi viene inviato al campo di concentramento di Fossoli, presso Modena. Il 22 febbraio 1944, Levi ed altri 650 ebrei vengono deportati fino al lager di Monowitz, “che faceva parte del sistema dei campi di Auschwitz.” Primo Levi rimane nel Lager quasi un anno e sopravvive solo grazie a circostanze fortunate. Dopo la liberazione del Lager, Levi viene trasferito al Campo Grande di Auschwitz, dove si ammala gravemente. Con l’arrivo dei russi la lunga sofferenza di Levi non finisce ancora. Prima di poter tornare a casa, Levi e altri superstiti devono fare ancora un lungo viaggio che dura quasi un anno. Primo Levi giunge in Italia il 20 ottobre del 1945. In quel periodo, dopo il ritorno a casa, la vita di Levi segna grossi cambiamenti: la stesura del suo primo libro Se questo è un uomo, l’assunzione nel laboratorio chimico e l’incontro con Lucia Morpurgo. Lucia diventa più tardi sua moglie e madre dei suoi due figli Lisa e Lorenzo. Nel 1947, dopo il rifiuto della casa editrice Einaudi, il suo primo libro viene pubblicato dall’editore De Silva, ma da parte del pubblico non viene apprezzato più di tanto. Così Levi, deluso e moralmente distrutto dal suo insuccesso, decide di allontanarsi dalla letteratura e per un periodo si dedica solamente alla sua professione. Lavora preso la ditta Siva-Vernici a Torino, dove svolge l’incarico del direttore per lungo tempo. Dopo dieci anni il suo libro Se questo è un uomo viene pubblicato nuovamente, ma questa volta ottiene un grande successo. Così Levi ritrova un nuovo impulso di scrivere e in aprile del 1963 esce in stampa il suo secondo libro, La Tregua. Nello stesso anno ottiene il Premio Campiello. In questo periodo Levi inizia un’intensa attività letteraria. A prima vista, la produzione di Primo Levi si potrebbe dividere in due parti. La prima parte parla dell’esperienza del Lager di Auschwitz (Se questo è un uomo e la continuazione del libro La Tregua), mentre in quella seconda parla dell’attività letteraria. Levi scrive racconti, saggi e romanzi con temi molto vari: ma spesso ritorna di nuovo a scrivere del periodo del Lager, “presentandosi non più sotto la veste di ‘testimone ‘, bensì sotto quella di  ‘narratore’.  Quindi sarebbe sbagliato vedere una cesura tra la sua produzione di carattere biografico e quella invece nella quale prevale l’invenzione. Come sottolinea Marco Belpoliti: “I critici più attenti avevano compreso immediatamente che tra i racconti di Levi, quelli più propriamente fantascientifici, tra i suoi « scherzi» e le pagine dedicate al Lager vi era una stretta parentela.”Nel 1966 viene pubblicata la prima raccolta di racconti Storie naturali. Si tratta di racconti fantascientifici che spesso trattano un argomento umoristico. Per tale raccolta Levi riceve nel 1967 il Premio Bagutta. Più tardi, nel 1971, esce la seconda raccolta, intitolata Vizio di forma. Tale raccolta comprende una ventina dei racconti scritti dal 1968 al 1970. Nel 1975 Levi pubblica un’altra raccolta dei racconti intitolata Il sistema periodico. La raccolta è composta da ventun racconti dove ciascuno di essi porta il nome di un elemento chimico. Il libro contiene capitoli nei quali ritornano nuovamente alcuni personaggi di Se questo è un uomo. Nello stesso anno esce anche una raccolta di poesie, L’osteria di Brema, questa volta pubblicata presso l’editore Scheiwiller. La maggior parte delle poesie si riferiscono all’esperienza collegata con il campo di concentramento. A distanza di tre anni, nel 1978, viene pubblicato il romanzo La chiave a stella che porta a Levi il Premio Strega. Nel 1981 viene pubblicata La ricerca delle radici, antologia personale. Nello stesso anno esce Lilít e altri racconti, dove Levi ricorda con profonda stima la figura di Lorenzo, del quale ha parlato nel suo primo libro. L’anno dopo esce il romanzo intitolato Se non ora, quando?, in cui l’autore riprende di nuovo il tema della guerra. Subito dopo la pubblicazione del libro Levi riceve il Premio Campiello e il Premio Viareggio. Tra gli anni 1985 e 1987 vengono pubblicate diverse opere di Levi: L’altrui mestiere, Racconti e saggi, Ad ora incerta, una raccolta di poesie. Nel 1986 esce l’ultimo libro di Levi, I sommersi e i salvati, dove l’autore tratta molto profondamente l’esperienza del lager. L’11 aprile del 1987, a sessantotto anni, Primo Levi finisce volontariamente la sua vita. Viene trovato morto nella tromba delle scale della sua casa a Torino. Se questo è un uomo è il primo libro di Primo Levi, però bisogna ricordare che “Levi ha sempre scritto racconti, probabilmente anche prima di essere deportato ad Auschwitz, l’esperienza che, come lui stesso ha ripetuto in molte occasioni, l’ha trasformato in scrittore. Ma scrittore lo era già.” Molti critici si chiedono quale sia il genere del libro? Ma non è semplice rispondere a questa domanda. “Primo Levi si è sempre opposto a chi leggeva le sue opere testimoniali, in particolare Se questo è un uomo, come opere letterarie: non è un romanzo, ripeteva.” Se questo è un uomo, nonostante il periodo in cui viene scritto, è un testo “assolutamente diverso dalla memorialistica del neorealismo; non proietta sulla realtà immagini positive o schemi ‘popolari’, è lontano da uno stile ‘in presa diretta’ o di tipo cinematografico.” Si tratta di un testo autobiografico, che presenta un documento storico, in cui l’autore descrive il periodo vissuto nel campo di concentramento di Auschwitz. Nonostante il fatto che l’autore sia stato circondato dalla morte quasi per un anno e che abbia visto morire migliaia di persone, il suo libro non è basato sulla descrizione dei particolari più terribili. L’intenzione dell’autore è invece di trattare le condizioni psicologiche in cui si trovavano i detenuti e l’assurdità dei lager nazisti. L’autore fa vedere come si comportano gli uomini in una situazione estrema, si sofferma soprattutto sulla degradazione dell’uomo nel campo di concentramento. “Perciò questo mio libro, in fatto di particolari atroci non aggiunge nulla a quanto è ormai noto ai lettori di tutto il mondo sull’inquietante argomento dei campi di distruzione. Esso non è stato scritto allo scopo di formulare nuovi capi di accusa; potrà piuttosto fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell’animo umano.” Levi cerca anche di capire il comportamento sia dei detenuti che degli stessi oppressori. Perché lo facevano? Che motivo avevano per comportarsi in quel modo? Era una violenza inutile. “Qui ricevemmo i primi colpi: e la cosa fu così nuova e insensata che non provammo dolore, né nel corpo né nell’anima. Soltanto uno stupore profondo: come si può percuotere un uomo senza collera?”. Il libro è stato composto tra gli anni 1945 e 1946. Il dattiloscritto di Se questo è un uomo, come ho già menzionato nella parte precedente, la prima volta è stato rifiutato. Il motivo dell’insuccesso del libro era il fatto che esso veniva visto come uno di tanti romanzi che parlavano della prigionia. Nel 1947 il libro è stato pubblicato dall’editore De Silva in 2500 copie, che sono state accolte bene dalla critica. Italo Calvino ha definito il libro come: “Un magnifico libro, che non è solo una testimonianza efficacissima, ma ha pagine di autentica potenza narrativa.” Ma da parte del pubblico non ha ottenuto molto successo e le 600 copie non vendute, depositate in un magazzino a Firenze, sono state distrutte dall’alluvione nel 1966. Nel 1956 è stata organizzata a Torino una mostra sulla deportazione e sulle atrocità dei Lager. Grazie all’enorme successo della mostra, si può dire, il libro è stato nel 1958 pubblicato nuovamente. Questa volta il libro è stato accettato dall’editore Einaudi e ha ottenuto un grandissimo successo, sino a diventare uno dei libri più letti del dopoguerra. Bisogna ricordare un fatto importante. Tra la prima edizione dall’editore De Silva e la seconda edizione Einaudi sono state fatte diverse aggiunte da parte dell’autore. Vorrei menzionare qui alcune aggiunte e varianti, che contraddistinguono la seconda edizione dalla prima. Primo Levi ha affermato più volte che il libro Se questo è un uomo è nato dalla necessità di dover raccontare il dramma vissuto nel Lager. Rispetto ad altri libri dell’autore, che son stati composti in un modo più sistematico, la sua prima l’opera è stata scritta molto rapidamente. Tornato a casa, Levi ha cominciato a scrivere tutti i suoi ricordi della prigionia, perché di tale testimonianza sognava già nel Lager. Infatti i suoi primi appunti sono stati scritti nel laboratorio del Lager. “Allora prendo la matita e il quaderno, e scrivo quello che non saprei dire a nessuno.” La necessità di dover raccontare il suo destino si è approfondita ancora di più quando Levi attraversava la Germania nel treno che lo portava a casa. Tra gli altri motivi che hanno portato Levi verso la scrittura c’era soprattutto l’obiettivo di documentare un’esperienza estrema, di avvertire la gente per poter prevenire le peggiori conseguenze della xenofobia e di far vedere come si comportano gli uomini in condizioni eccezionali. L’ultimo motivo era quello di raccontare la propria esperienza per potersi liberare dall’ossessione. Il libro viene diviso in diciassette capitoli che sono stati scritti per ordine di urgenza. “ gli ultimi capitoli siano stati scritti per primi, allo scopo di fissare immediatamente l’ordine dei ricordi, mentre i precedenti sono il risultato di un’organizzazione generale, un intenso trattato sulla vita ” Il libro non ha una trama ad effetto. Nelle prime pagine del libro si trova la poesia introduttiva, scritta dallo stesso Levi, e dopo segue la Prefazione con le diverse spiegazioni. Alla fine della Prefazione l’autore sottolinea che sarebbe superfluo aggiungere che nessuno fatto sia inventato. Dopo la “breve scheda esistenziale e anagrafico-politica” si trova una confessione che spiega i motivi per cui Levi era arrestato dai fascisti. Nelle pagine successive Levi descrive la situazione nel campo a Fossoli, puntando l’attenzione anzitutto sulla notte prima della deportazione ad Auschwitz. Alla mattina le donne, gli uomini e i bambini dovevano salire sul treno, e la maggior parte di essi sapeva di andare verso la morte. I prigionieri venivano trasportati come animali, chiusi dentro i treni sigillati. Giunti nel campo di concentramento i prigionieri venivano divisi in tre gruppi. Gli uomini poi venivano ancora divisi in abili e inabili e portati nel campo di lavoro. “Poi l’autocarro si è fermato, e si è vista una grande porta, e sopra una scritta illuminata (il suo ricordo ancora mi percuote nei sogni): ARBEIT MACHT FREI, il lavoro rende liberi.” Per quanto riguarda il terzo gruppo, dove erano i bambini, i vecchi e soprattutto gli invalidi, venivano mandati direttamente alla camera a gas. Nelle pagine successive l’autore tratta l’aspetto più terribile del Lager, cioè la degradazione a cui tutti gli arrivati erano costretti ad abituarsi. Dopo la divisione e la disinfezione, a ciascuno dei prigionieri è stato cucito un numero sul petto e sul braccio sinistro gli hanno fatto un tatuaggio. Da quel momento il nome del protagonista non era più Primo Levi ma: “Häftling: ho imparato che io sono uno Häftling. Il mio nome è 174 517; siamo stati battezzati, porteremo finché vivremo il marchio tatuato sul braccio sinistro.” Attraverso i tatuaggi si poteva riconoscere la provenienza delle persone, oppure da quanto tempo erano già nel Lager. La prima cosa che si doveva imparare era la filosofia del Lager, cioè non fare mai delle domande e non cercare di capire le cose. Come seconda cosa si doveva imparare il regolamento del campo che era molto complicato. Per esempio non si poteva dormire con la giacca addosso, avvicinarsi a meno di due metri dal filo spinato, oppure portare sotto i vestiti la carta contro il freddo, e tante altre cose. La narrazione continua con la descrizione del Lager. L’autore spiega le funzioni delle diverse baracche, i cosiddetti Block. “ il Block 7, in cui nessun comune Häftling è mai entrato, riservato alla ‹‹Prominenz››, cioè all’aristocrazia, agli internati che ricoprono le cariche supreme; il Block 7 , riservato ai Reichsdeutsche ” Il Lager era costituito da sessanta baracche in cui vivevano diverse comunità etniche e quindi esisteva una grande confusione delle lingue. “entro cinque minuti inizia la distribuzione del pane, del paneBrot-Broit-chleb-pain-lechem-kenyér, del sacro blocchetto grigio ” Durante il giorno tutti i prigionieri venivano trasportati in una fabbrica di gomma, chiamata Buna, dove erano costretti a lavorare fino all’esaurimento totale. L’unica possibilità di trovare un po’ di riposo era di andare in Ka-Be, che è l’abbreviazione di Krankenbau, l’infermeria. Il protagonista è entrato in Ka- Be, perché si era ferito un piede. Andare in Ka-Be aveva i suoi lati positivi ma anche negativi. Tra quei negativi c’era il ritorno doloroso. In tali condizioni si trovava anche Levi quando è uscito dall’infermeria, perché era costretto a cambiare il Block. Alla fine, grazie del cambiamento, Levi ha incontrato Alberto, un uomo straordinario. “Ma subito un pensiero mi colma di gioia: ho avuto fortuna, questo è il Block di Alberto! Alberto è il mio migliore amico.” In seguito Levi descrive come i deportati passavano le notti nel Lager. “La notte al Lager è quasi sempre il tempo indecifrato di una breve eternità di miraggi.” Levi parla dei sogni, che fanno quasi tutti i deportati. Come spiega Cesare Segre, i sogni nell’opera di Levi hanno valori molto complessi. Essi sono quasi sempre legati al bisogno di raccontare e al terrore di non essere ascoltato o creduto. Infatti il primo sogno narrato si svolgeva a casa del protagonista che è rimasto deluso dal fatto che nessuno dei familiari voleva ascoltare quello che stava raccontando. Il secondo sogno riguardava il cibo. “Non si vedono soltanto i cibi, ma si sentono in mano, distinti e concreti, se ne percepisce l’odore ricco e violento; qualcuno ce li avvicina fino a toccare le labbra, poi una qualche circostanza, ogni volta diversa, fa sì che l’atto non vada a compimento.” La disperazione di non essere ascoltato e creduto ritorna ancora molte volte nei libri di Levi, in quelli testimoniali come in quelli fantastici. La narrazione prosegue con la descrizione del lavoro. I prigionieri dovevano trasportare dei grossi carichi e spesso gli mancava energia sufficiente per poterlo fare. Non avevano neanche i vestiti adatti per tale lavoro, soffrivano di freddo, erano senza scarpe o “ vacillanti nei grossi zoccoli sulla neve gelata ” Il motivo per il quale Levi è entrato in Ka-Be era infatti una ferita che si era fatto durante il lavoro. Levi descrive i momenti che possono sembrare poco importanti ai lettori, come per esempio la distanza delle latrine, oppure l’ordine secondo il quale veniva divisa la zuppa. Ma nel Lager si doveva fare economia di tutto. Levi era tra i prigionieri più fortunati, perché la sua latrina era piuttosto lontana, quindi l’assenza dal lavoro poteva essere più lunga rispetto agli altri compagni. Per quanto riguarda la divisione della zuppa, Levi spiega che era molto importante non essere tra i primi. La prima porzione era troppo liquida e quindi aveva poche calorie. Nelle pagine successive l’autore parla del peggior nemico dei detenuti, presente anche nei loro sogni, della fame. “Ma come si potrebbe pensare di non aver fame? Il Lager è la fame: noi stessi siamo la fame, fame vivente.” Tra i nuovi arrivati e i detenuti che erano nel Lager già da molto tempo si nota una certa differenza. Per esempio Fischer, l’ultimo arrivato nel Lager, riusciva a conservare la metà del pane che gli era rimasto dalla mattina. Per altri detenuti tale comportamento era incomprensibile. Nel Lager esisteva una vera Borsa anche se ogni scambio era proibito. I prigionieri, per la enorme fame, rischiavano la vita per avere in scambio un po’ di zuppa o il pane. Oltre al cibo si scambiavano o vendevano diverse cose: Mahorca (tabacco), coperture d’oro dei denti, cucchiai, lampadine, spazzole, sapone, pinze, sacchi, chiodi, benzina, scarpe dei morti, coltelli. Ma l’oggetto più importante era la camicia, veniva utilizzata come l’articolo di scambio oppure serviva come uno straccio. Erano quelli che venivano in Borsa a vendere l’unica camicia che avevano pur sapendo cosa gli aspettava. “Allora il Kapo li percuoterà” Rispetto agli altri scrittori Levi descrive le situazioni di cui altri si vergognerebbero di parlare. Per esempio parla della situazione in cui era costretto a rubare. Nello stesso momento spiega che rubare nel Lager non significava la stessa cosa che in un mondo normale. “Ho saputo che il Blockältester del 44 è corto di scope, e ne ho rubata una in cantiere: e fin qui non c’è nulla di straordinario.” Dopo la descrizione del mercato nel Lager “Levi si rivolge al suo lettore con pagine che sono quasi un dialogo, una esposizione didattica: non più un racconto, insomma, o una ricostruzione in prosa di memoria, ma una lezione, una dolorante docenza morale sull’essenza profonda del campo di sterminio.” Tramite queste pagine l’autore presenta due categorie di persone: i salvati e i sommersi. Nel Lager ognuno era solo, non esisteva l’amicizia, a parte di casi singolari di cui parlerò più avanti. La narrazione continua con la descrizione di una giornata molto particolare, cioè il giorno d’esame di chimica. “Il Komando 98, detto Komando Chimico, avrebbe dovuto essere un reparto di specialisti.” I detenuti sono rimasti delusi, perché il Kapo del Kommando Chimico era un triangolo verde, che secondo la divisione del Lager significava un delinquente professionale. La prova consisteva in un’ esame di chimica davanti ad una commissione: il dottor Hagen, il dottor Panwitz, il dottor Probst. Levi è riuscito a superare l’esame e così poteva lavorare nel laboratorio come specialista. Nel capitolo seguente Levi parla dell’amicizia con uno studente alsaziano, Jean, che svolgeva la carica di Pikolo. Jean era un ragazzo colto, parlava francese, tedesco e perché gli piaceva l’Italia voleva imparare l’italiano. Levi gli dava lezioni d’italiano tramite i versi danteschi che cercava di tradurre. Riferimenti danteschi sono presenti durante tutta la narrazione, ma come dice Claudio Toscani tale parte del libro è una tra le più toccanti. La narrazione continua con la descrizione della situazione. Tra i detenuti si parlava soprattutto dello sbarco degli alleati in Normandia, dell’offensiva dei Russi e dell’attentato a Hitler che è fallito. La situazione in cui si trovavano i detenuti era sempre peggiore. E proprio in quel momento è nata l’amicizia tra Levi e Lorenzo, un operaio civile italiano, di cui parlerò ancora più avanti. È arrivato l’inverno, il peggiore nemico dei detenuti. “Con tutte le nostre forze abbiamo lottato perché l’inverno non venisse. […] Chi non morrà, soffrirà minuto per minuto, per ogni giorno, per tutti i giorni […]”I detenuti in quei giorni parlavano soprattutto della prossima selezione, cioè dell’eliminazione dei più deboli. L’autore descrive come si svolgeva la selezione e soprattutto parla della sua sopravvivenza grazie ad un errore. I detenuti erano stanchi, sfiniti e non credevano di arrivare alla primavera. “Adesso basta, adesso è finito: l’inverno è incominciato, e con lui la nostra ultima battaglia. […] le forze non ci bastano.” Ma proprio in quel momento è accaduta una cosa imprevedibile. Levi ed altri due Häftling sono stati scelti per il lavoro dentro nel laboratorio. Tale cambiamento significava per Levi una forte probabilità di superare le selezioni. Le altre pagine sono dedicate ad Alberto, di cui si è già parlato nei primi capitoli. Alberto rappresenta per Levi un personaggio molto importante. Di ciò mi occuperò più dettagliatamente in uno dei capitoli successivi della presente tesi.

Le ultime pagine del libro costituiscono l’epilogo della vicenda e vengono narrate sotto la forma di un diario. L’autore descrive gli ultimi giorni di guerra e la situazione dentro al Lager. Tutti sapevano già che russi stavano arrivando. I tedeschi hanno dato l’ordine di evacuare i prigionieri che erano in grado di camminare. Gli altri, invece, che erano malati sono rimasti nel campo. Questo era anche il caso di Levi che è stato nuovamente ricoverato in Ka-Be, perché si è ammalato di scarlattina. Tutti i sani, tra i quali c’era anche Alberto, sono partiti durante la notte del 18 gennaio 1945. Coloro che hanno lasciato il campo pensavano di andare verso la libertà, invece durante la evacuazione hanno perso la vita. Primo Levi ed alcuni prigionieri rimasti nel campo sono sopravvissuti malgrado le condizioni disumane in cui si trovavano. “Fuori ci dovevano essere almeno 20° sotto lo zero; la maggior parte dei malati non aveva che la camicia, e alcuni nemmeno quella. La narrazione si chiude con l’arrivo dei russi, avvenuto il 27 gennaio del 1945. Tale esperienza viene narrata più dettagliatamente anche nei primi due capitoli del libro successivo, intitolato La Tregua. Il libro viene visto come una continuazione di Se questo è un uomo, perché il romanzo inizia esattamente nel punto in cui finisce il primo libro, cioè dopo l’arrivo dei Russi al campo di Buna. Il tema dell’assurdità costituisce uno dei temi fondamentali, presenti in tutta la narrazione. Come dice lo stesso Levi, nel Lager ogni cosa è irrazionale, assurda. L’assurdità si vede fin a partire dallo stesso viaggio. Nel treno gli uomini, le donne e i bambini sono in condizioni disumane, senza acqua e cibo. Il Lager funziona secondo regole incomprensibili. Quindi è meglio non cercare di capire le cose intorno e eseguire solamente gli ordini ricevuti. Quasi incomprensibile è l’episodio che Levi descrive nelle prime pagine del libro, cioè il divieto di bere in presenza dell’acqua. Tutti gli uomini vengono portati in un posto dove c’è l’acqua, però non si può bere. “Che sete abbiamo! Il debole fruscio dell’acqua nei radiatori ci rende feroci: sono quattro giorni che non beviamo. Eppure c’è un rubinetto: sopra un cartello, che dice che è proibito bere perché l’acqua è inquinata.” Come spiega Cesare Segre, l’arbitrio è massimo soprattutto nelle selezioni, per le quali non esistono praticamente regole. Dipende solamente dalla volontà dei ufficiali tedeschi che devono affrontare il problema della riduzione dei detenuti. Nella maggioranza dei casi vengono eliminati i prigionieri meno validi che vengono mandati direttamente alle camere a gas. Il numero dei prigionieri che devono morire viene stabilito già prima delle selezioni. Perché? La risposta è semplice. “Deve essere fatto posto per un enorme trasporto in arrivo dal ghetto di Posen.” Il testo procede nel informare il lettore di altre assurdità che i prigionieri devono subire. Tra cui per esempio la temperatura nel laboratorio chimico in cui lavorano anche le ragazze tedesche. Mentre i prigionieri nel Lager muoiono tutti giorni dal freddo, nel laboratorio “la temperatura è meravigliosa; il termometro segna 24°.” I prigionieri soffrono di una fame terribile e le ragazze del laboratorio “mangiano pubblicamente tartine di pane e marmellata” Oppure le ragazze parlano dei loro fidanzati, delle loro case e delle feste che sono in arrivo, mentre sanno che i detenuti sono chiusi nel Lager, senza nessun contatto con le loro famiglie. “Domenica vai a casa? Io no: è così scomodo viaggiare! Io andrò a Natale. Due settimane soltanto, e poi sarà ancora Natale: non sembra vero, quest’anno è passato così presto!” Un’altra assurdità è rappresentata dal fatto che dalla fabbrica di Buna, in cui moltissimi prigionieri soffrono e muoiono, non esce mai un chilogrammo di gomma sintetica. Un altro argomento da notare è sicuramente la sofferenza che nel Lager è onnipresente. Intendo la sofferenza che riguarda il piano fisico. La sofferenza si nota dal primo capitolo, in cui viene descritto il viaggio e tutte le sofferenze collegate con esso. “Soffrivamo per la sete e il freddo: a tutte le fermate chiedevamo acqua a gran voce, o almeno un pugno di neve, ma raramente fummo uditi.” Dopo l’arrivo la sofferenza diventa ancora più visibile. Gli uomini non capiscono niente di ciò che sta loro accadendo, sono distrutti dal viaggio e devono soffrire nuovamente: “siamo tutti nudi coi piedi nell’acqua, e fa freddo ed è cinque giorni che viaggiamo e non possiamo neppure sederci.” Come ho già anticipato nel secondo capitolo, per quanto riguarda la sofferenza subita nel Lager, l’autore non dice sempre tutto, perché “nel Lager ci sono eventi e frangenti di violenza tale da non accettare facilmente le parole dalla scrittura letteraria per essere espressi. Essi sono immersi in un dolore che rifiuta l’espressione narrativa” La sofferenza è più visibile soprattutto durante il lavoro perché i detenuti non hanno i vestiti e le scarpe adatte per il lavoro. Non avere le scarpe giuste significa soffrire terribilmente per il male dei piedi e in seguito dover andare in ospedale. Ma andare in ospedale con i piedi gonfi significa un grosso pericolo. Tutti sanno “che di questo male, qui, non si può guarire.” Nel libro vengono descritti molti momenti in cui si vede la sofferenza dei detenuti. Ma il momento più terribile viene narrato verso la fine del libro, quando i tedeschi decidono di evacuare il campo. L’autore punta l’attenzione innanzitutto alla sofferenza degli ammalati. Alcuni di essi si trovano in condizioni disumane. Tra essi per esempio Lakmaker, un ebreo olandese, che prima di morire ha dovuto subire un dolore orrendo. “A metà notte gemette, poi si buttò dal letto. Cercava di raggiungere la latrina, ma era troppo debole e cadde a terra, piangendo e gridando forte.” Ma perché tutto questo dolore inutile? “Veramente si è indotti a pensare che, nel Terzo Reich, la scelta migliore, la scelta imposta dall’alto, fosse quella che comportava la massima afflizione, il massimo spreco di sofferenza fisica e morale. Il «nemico» non doveva soltanto morire, ma morire nel tormento.” Subito dopo la guerra sono state scritte moltissime opere di testimonianza che trattavano l’argomento dei campi di sterminio e dei persecuzioni razziali. Uno degli obiettivi della mia tesi era di far vedere che il libro Se questo è un uomo, anche se segue le tracce della “cosiddetta letteratura concentrazionaria”, non è solamente una testimonianza, ma ha una sua validità letteraria. “Il libro di Levi ha ambizioni più alte che quella di contribuire alla letteratura sui campi di annientamento.” Nella prima parte della presente tesi, che è stata concepita in modo più generale, ho parlato della vita di Primo Levi perché, come si è visto, è strettamente legata alla sua produzione letteraria. In seguito ho presentato i momenti più importanti che riguardano la scrittura e la pubblicazione del libro soffermandomi su alcune modifiche del libro intervenute tra la prima e la seconda edizione. Nella seconda parte della tesi ho analizzato alcuni motivi di base presenti nel libro. Come temi fondamentali ho individuato l’assurdità e la sofferenza che prevalgono anche in altri libri di Levi. Un altro aspetto al quale Levi dedica molta attenzione è la lingua dei detenuti. Dall’analisi si può vedere che la lingua nella vita dei detenuti svolge un ruolo molto importante. Per esempio i prigionieri che non capiscono la lingua tedesca muoiono nelle prime due settimane, invece quelli che sono in grado di capire hanno delle possibilità di sopravvivere molto più alte. Nell’ultima e più importante parte della mia tesi ho fatto un’analisi dei personaggi. “Sono esseri umani, ma anche «campioni», esemplari in busta chiusa, da riconoscere, analizzare e pesare. Ora, il campionario che Auschwitz mi aveva squadernato davanti era abbondante, vario e strano” Dall’analisi si può osservare che l’autore presenta i personaggi innanzitutto dal punto di vista psicologico. Si vede che i personaggi acquistano una funzione positiva o negativa. Tale funzione non è evidente a prima vista, ma analizzando i personaggi più profondamente si scopre che sono divisi tra: amici, neutri e nemici. Tramite i cinque personaggi scelti: Alberto, Charles, Henri, Elias e Lorenzo, ho cercato di analizzare i vari tipi di comportamento dei detenuti tenendo in considerazione il rapporto con Primo Levi, la loro disposizione ad aiutare o meno gli altri prigionieri e la loro possibilità di sopravvivenza. Come si è visto, l’autore non si distacca da tale tema nemmeno nelle sue opere successive. Anzi, Levi ritorna a trattarne anche in alcuni racconti sparsi ora raccolti in L’ultimo Natale di guerra, raccolta postuma che comprende 26 storie, tra cui alcune sono autobiografiche, e tre sono ambientate nel Lager (L’ultimo Natale di guerra, Pipetta di guerra, Auschwitz città tranquilla). Nel racconto intitolato L’ultimo Natale di guerra l’autore spiega il motivo per il cui ritorna a trattare lo stesso tema dicendo che col passare degli anni quei ricordi non impallidiscono né si diradano, anzi, si arricchiscono di particolari. Come si è visto nel secondo capitolo della presente tesi, quello era anche uno dei motivi per i cui sono state fatte le diverse aggiunte e i cambiamenti tra la prima e la seconda edizione del libro Se questo è un uomo. Tramite tali racconti ritornano nuovamente le figure di Alberto, Lorenzo e anche la figura del dottor Pannwitz. Levi chiarisce le diverse situazioni di cui aveva già parlato nel suo primo libro. Tra cui per esempio alcune situazioni e discorsi tra lui e Alberto. Oppure parla della sua professione che gli ha dato la possibilità di lavorare nel laboratorio chimico in cui si poteva sopravvivere più facilmente. Levi spiega anche la situazione nella quale si è contagiato di scarlattina mangiando mezza scodella di zuppa che ha lasciato un ammalato. Nel racconto intitolato Auschwitz, città tranquilla, che è interessante innanzitutto dal punto di vista psicologico, Levi parla di un certo dottor Martens. Ma chi è questo Martens? Un giovane chimico tedesco e cattolico. Anche lui lavorava nella fabbrica come Levi, ma bisogna sottolineare che stava dall’altra parte, cioè fuori dal filo spinato. Interessante è innanzitutto la sua entrata nel Lager. A Martens viene fatta una proposta di lavoro. Però solamente a condizione che si trasferisca a Buna-Werke di Auschwitz. Nonostante il fatto che i colleghi lo sconsiglino di andarci, Martens accetta la proposta e assieme alla sua fidanzata si trasferisce ad Auschwitz. Della vita di Martens non si sa molto, ma una cosa è certa, egli sapeva molto bene di quello che stava accadendo nel Lager. Levi non lo conosceva di persona, ma tramite una lettera di amici. Dopo la guerra, Martens è fuggito come tanti altri. Molte volte è stato invitato a parlare, però si è rifiutato. Solo una volta ha trovato il coraggio di testimoniare. Alla domanda perché si è comportato in tale modo, che gli è stata fatta da Hermann Langbein, un famoso storico dei Lager, Martens ha rivelato che si è trasferito nel Lager solo perché non voleva che al suo posto andasse un nazista. Quindi, come spiega Levi nel suo saggio I sommersi e i salvati, egli si è ricostruito, come tanti altri, la sua verità comoda assolutamente diversa dalla realtà. Tra i due personaggi Martens e Henri, di cui ho parlato nel capitolo precedente, si vede una certa coincidenza. Levi sapeva che Henri è vivo e avrebbe dato molto per conoscere la sua vita di un uomo libero, ma non desiderava rivederlo. Invece per quanto riguarda Martens, Levi gli ha scritto una lettera per dirgli cosa pensava di lui, ma non ha mai cercato di incontrarlo. Martens non ha mai risposto alla sua lettera. Si sa che è morto pochi anni dopo. Tramite la figura di Martens si può vedere, oltre la sua viltà, anche la situazione che si è creata dopo la guerra. Perché tanti che si sono comportati nello stesso modo di Martens, anche loro sono scappati davanti alla giustizia. Levi ritorna a tale tema nel saggio I sommersi e i salvati, in cui cerca di chiarire alcuni momenti importanti del libro Se questo è un uomo. Come si è visto anche qui ritornano nuovamente i personaggi di Alberto, Lorenzo e Elias. Una certa connessione tra i due libri si nota anche dal fatto che il saggio I sommersi e i salvati riprende il titolo di uno dei capitoli di Se questo è un uomo. Il progetto di allestimento è a cura di Gianfranco Cavaglià e Anna Rita Bertorello;Ars Mediaper il progetto grafico e di comunicazione visiva. La mostra comprende cinque sezioni: 1. Primo Levi. Un precoce pensiero europeo; 2. Hermann Langbein. Un uomo formidabile; 3. Heinz Riedt. Un tedesco anomalo; 4. Giro di posta (è quella che dà il titolo all’intero allestimento); 5. Le lettrici e i lettori. L’allestimento prevede un percorso di accessibilità per il pubblico con disabilità visiva: saranno presenti mappe e QR-code tattili, tramite i quali sarà possibile accedere dal proprio dispositivo mobile a contenuti audio per ciascuna sezione. In occasione dell’inaugurazione della mostra, il Centro Internazionale di Studi Primo Levi in collaborazione con Poste Italiane ha realizzato un annullo filatelico dedicato: per il giorno dell’inaugurazione e il successivo giorno di apertura al pubblico, presso Palazzo Madama due ufficiali di Poste Italiane saranno lieti di apporre il timbro sulle cartoline filateliche anch’esse realizzate per l’occasione, con francobollo selezionato a tema.

Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica Torino

Giro di posta. Primo Levi, le Germanie, l’Europa

dal 24 Gennaio 2025 al 5 Maggio 2025

dal Lunedì alla Domenica dalle ore 10.00 alle ore 18.00

Martedì Chiuso 

Foto Allestimento mostra Giro di posta. Primo Levi, le Germanie, l’Europa Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica Torino dal 24 Gennaio 2025 al 5 Maggio 2025 credit © Studio Gonella

Primo-Levi_Fotografia-di-Mauro-Raffini

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