Se dovessimo scegliere un volto in rappresentanza dell’attaccamento materno sarebbe quello di Tahlequah (o semplicemente J35), un’orca della comunità residente meridionale nell’Oceano Pacifico nord-orientale che, nel 2018, commosse il mondo per aver trasportato sul dorso il corpo della sua neonata morta per ben 17 giorni. Assistita dai compagni del suo pod, Tahlequah percorse circa 1600 km in evidente stato di lutto prima di accettare la perdita della piccola e abbandonarne i poveri resti (la sua storia è di recente diventata anche un film Tahlequah the whale. The dance of Grief). Un comportamento, quello di J35, che abbiamo rivissuto l’anno successivo anche in Italia, quando Zena, l’orca del piccolo gruppo arrivato inaspettatamente davanti al porto di Genova Pra’, fece altrettanto, trascinando con sé il cucciolo defunto per diversi giorni, prima di abbandonarlo e ripartire verso sud scomparendo con i compagni oltre lo stretto di Messina. E nel 2025, purtroppo, il dramma di Tahlequah si sta ripetendo dato che anche l’ultima sua giovanissima figlia, è morta il giorno di Capodanno. Stando alle osservazioni del Center for Whale Research che studia quella popolazione di orche, J35 ha nuovamente messo in atto il comportamento del 2018, trasportando il cadaverino sulla schiena. L’ultimo avvistamento risale a metà di gennaio e dopo ben 11 giorni dalla sua morte, la madre non aveva ancora abbandonato il corpo della piccola, sostenendolo per evitare che affondasse. L’atteggiamento di questa incredibile mamma orca non è l’unica dimostrazione del fatto che anche gli animali provano dolore per la perdita dei loro cari e che, come noi, possano vivere un periodo di lutto e non accettazione della morte. È importante precisare, però, che non è possibile traslare comportamenti ed emozioni umani su altre creature: gli animali soffrono, sì, ma sicuramente in modo diverso, esplicitando queste emozioni con evidenti segni di stress e atteggiamenti apatici o comunque atipici. Oltre a diverse osservazioni sui cetacei (grampi, tursiopi, stenelle dal lungo rostro, globicefali e persino grandi balene come megattere e capodogli), sono noti, per esempio, i comportamenti degli elefanti. Di fronte alla morte di un loro simile, soprattutto se dello stesso gruppo, i pachidermi dimostrano atteggiamenti associabili a dolore e tristezza ma anche compassione nei confronti delle madri che hanno perso il cucciolo (di recente allo zoo di Monaco la morte della piccola elefantina Lola ha spinto gli altri elefanti a stringersi attorno alla mamma). In generale, gli elefanti sembrano riconoscere i resti dei loro simili anche se sconosciuti e dopo molto tempo dalla morte. In uno stato di evidente smarrimento e contemplazione, che ricorda noi umani davanti a una tomba, gli elefanti sono stati osservati toccare delicatamente con la proboscide i corpi senza via o ciò che ne rimane, cercando di coprirli con foglie o terra. Altri studi, questa volta sul cane, condotti dall’etologa Federica Pirrone, ricercatrice dell’Università di Milano e pubblicati su pubblicati sulla rivista Scientific Reports, sembrano confermare «lo stato di lutto» anche per questa specie. Dai risultati dei test è emerso che, quando perdono un membro del loro gruppo o un umano di riferimento, i cani hanno meno appetito e voglia di giocare mostrandosi apatici e timorosi e aumentando latrati e vocalizzazioni. Un comportamento, questo, che può durare anche sei mesi. E i loro cugini selvatici non sembrano essere da meno dato che sono state fatte osservazioni di dingo che trasportano cuccioli morti e di lupi che ne seppelliscono i corpi. Inoltre, un recente studio dell’Università di Oakland (USA), dimostrerebbe che anche i gatti, in risposta alla perdita di un compagno felino, mostrano cambiamenti comportamentali simili a quelli dei cani, come diminuzioni del sonno, dell’alimentazione e del gioco. Comunque, è soprattutto nei primati, in particolare nelle scimmie antropomorfe come gli scimpanzè, che la consapevolezza della morte è molto sviluppata. Già un decennio fa, alcuni studi hanno messo in luce comportamenti molto significativi. In un caso, per esempio, i ricercatori hanno osservato un gruppo di scimpanzè di un parco safari in Inghilterra assistere un’anziana femmina nelle sue ultime ore. I compagni le sono rimasti accanto fino alla fine, accarezzandola con tranquillità, e la figlia ha vegliato il suo corpo anche dopo la morte per la notte intera. In un altro studio, condotto in una riserva della Guinea, alcune madri scimpanzè hanno continuato a occuparsi dei loro piccoli deceduti trasportandone il corpicino per mesi, anche quando era ormai mummificato. In un santuario in Zambia, invece, la morte di un giovane maschio, Thomas, ha portato il gruppo a compiere una processione attorno al corpo del defunto. Le reazioni più forti, tuttavia, sono state quelle dei membri a cui Thomas era più legato: Pan, il suo migliore amico, ha cercato di tenere lontani gli altri scimpanzè dal corpo sventolando un ramo mentre sua madre adottiva accarezzava il corpo del figliastro e gli puliva i denti. Questa consapevolezza dei primati va di pari passo con il loro senso di autocoscienza e con comportamenti che dimostrano la loro capacità di auto-riconoscimento e provare empatia verso gli altri.
Claudia Fachinetti