Le attuali popolazioni dell’Himalaya hanno sviluppato adattamenti utili per ridurre il rischio cardiovascolare associato alla scarsità di ossigeno nel sangue e garantire un adeguato livello di ossigenazione dei tessuti, caratteristiche fondamentali per la sopravvivenza ad elevate altitudini. Un gruppo di ricerca coordinato dall’Università di Bologna ha scoperto l’origine di queste varianti genetiche. Gli studiosi hanno analizzato i genomi di individui appartenenti a gruppi etnici nativi delle regioni himalayane di Tibet e Nepal per capire l’impatto biologico che hanno avuto varianti introdotte nel loro patrimonio genetico dall’ibridazione con popolazioni di Uomo di Denisova, una specie umana arcaica vissuta in Asia fino a circa 30.000 anni fa. Gli studiosi hanno mappato il genoma di individui appartenenti a popolazioni di ancestralità tibetana che vivono al di sopra dei 3000 metri di quota. «A differenza di quanto sostenuto fino ad ora dalla letteratura scientifica, non sono modificazioni a carico di un solo gene ad aver favorito l’adattamento delle popolazioni Tibetane e Sherpa alla vita ad altitudini elevate» dice Marco Sazzini, professore al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali, dell’Ateneo felsineo che ha coordinato lo studio. «I nostri risultati mostrano infatti che l’ibridazione tra gli antenati di queste popolazioni e l’Uomo di Denisova ha portato a numerose combinazioni vantaggiose di varianti tipiche della nostra specie e «arcaiche» che coinvolgono almeno una decina di geni». La nostra specie, l’Homo sapiens, ha convissuto per un certo periodo di tempo con altre specie umane e che questa convivenza ha portato a molteplici eventi di ibridazione genetica. Analizzando il genoma delle popolazioni moderne è infatti possibile individuare quella piccola percentuale di varianti provenienti dal patrimonio genetico delle specie arcaiche con le quali è avvenuto il mescolamento: nel genoma delle popolazioni non africane osserviamo l’1-2% di varianti neandertaliane, mentre nelle popolazioni dell’Asia orientale e della Melanesia si può trovare fino al 3% di varianti denisoviane. «Le nostre analisi hanno dimostrato come la selezione naturale abbia agito in queste popolazioni su numerose combinazioni di varianti umane e «arcaiche» in grado anche di ridurre il rischio cardiovascolare associato alla carenza di ossigeno, esercitando un ruolo protettivo nei confronti dell’insorgenza di tratti patologici come la pre-eccitazione ventricolare, le aritmie sopra ventricolari e l’ipertrofia cardiaca» dice Giulia Ferraretti, dottoranda dell’Università di Bologna e prima autrice dello studio.