Giorni fa Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, figura di spicco nel contrasto alla ‘ndrangheta, mentre era ospite di Massimo Gramellini su La7 se ne è uscito con un’affermazione all’apparenza stravagante. In sostanza ha confidato di non amare New York, città nella quale gli capita di recarsi per lavoro, perché puzza ed è sporca. Soprattutto non sopporta le luci dei palazzi che restano accese tutta la notte. Un solo grattacielo di New York consuma quanto la Calabria intera, ha commentato. Boutade a parte, il magistrato ha posto in evidenza una questione di cruciale importanza. C’è una parte del mondo che continua a inquinare senza ritegno. È la stessa che magari assume un volto green sbandierando provvedimenti ridicoli, privi di ogni effetto pratico, se non quello di ripulirsi l’aspetto. Secondo uno studio condotto da Oxfam, l’organizzazione che lotta contro le diseguaglianze, pubblicato lo scorso 23 novembre, nel 2019 l’uno per cento più ricco della popolazione mondiale, pari a 77 milioni di persone, è stato responsabile di una quota di emissioni di CO2, pari a quella prodotta da 5 miliardi di persone, ossia due terzi dell’umanità. Oxfam ha anche calcolato che una tassa del 60 per cento sui redditi dell’uno per cento più ricco della popolazione permetterebbe di raccogliere circa 6,4 migliaia di miliardi di dollari all’anno, soldi che potrebbero essere impiegati, oltre che per una ridistribuzione globale della ricchezza, anche per favorire la transizione verso fonti di energia pulite e rinnovabili. Appare sempre più evidente che non ci potrà essere una seria lotta all’inquinamento e al cambiamento climatico senza ridurre drasticamente le disuguaglianze. Per salvare milioni di vite e il nostro pianeta è necessario porre un argine all’era della ricchezza estrema.
Michele Mauri