di Generoso D’Agnese
Ushuaia. In fondo al Continente Americano. In fondo alla Terra del Fuoco, in fondo alla civilizzazione europea.
Era questo il pensiero che attraversava gli italiani che agli inizi del Novecento sbarcarono su questo estremo lembo del Nuovo Mondo per valutare la loro scommessa per il futuro. Una terra a prima vista ostica e fredda, attraversata da venti provenienti dall’Antartico e riscaldata da un tiepido sole. Il primo ad arrivarci, nel 1869, è stato il pastore Thomas Bridge, impegnato nell’evangelizzazione degli indiani Yamanas. Il reverendo costruì il primo insediamento e chiese il permesso di prenderne possesso in nome dell’Argentina, in un’epoca nella quale Cile e Argentina stavano lottando per la supremazia degli ultimi territori inesplorati del Continente. Divenuto ultimo avamposto per il salto nell’Antartico, il piccolo insediamento si arroccò intorno al faro e al porto ma rimase pressocchè immutato fino al 1902 quando nella zona si pensò di costruire un carcere per i soggetti più pericolosi. La struttura penitenziaria richiamò forza lavoro che diede ulteriore sviluppo al piccolo paese affacciato sul canale di Beagle ma nel 1947 la stessa viene chiusa da Peròn. Fu proprio questa scelta a portare Carlo Borsari nell’ultimo avamposto delle Americhe. Per evitare l’abbandono dell’insediamento, il governo peronista stanziò infatti fondi per le imprese edili disposte a costruire nella baia in capo al Mondo e il primo a raccogliere l’invito fu Carlo Borsari, un imprenditore di Bologna. Tra il 1948 e il 1949 oltre duemila italiani sbarcarono a Ushuaia che divenne il primo esempio di immigrazione razionalmente organizzata. Carlo Borsari seppe infatti infondere al progetto un pragmatismo di grande efficienza e in sei mesi raccolse macchinari, materiali, adesioni da nuclei familiari e riempì la nave GENOVA con 650 conterranei. Il trasferimento avvenne senza problemi con l’Oceano. L’organizzazione di Borsari pensò anche a un’orchestrina che mantenne alto il morale degli italiani man mano che questi si avvicinarono alla punta più meridionale del continente americano. Sulla nave venne attivata anche una scuola di spagnolo e i viveri vennero distribuiti con puntuale efficienza.
Dopo lo sbarco, avvenuto il 28 ottobre del 1948, Carlo Borsari curò personalmente tutti gli aspetti tecnici non tralasciando nessun particolare. Insiema al suo staff tecnico lavorò sempre a contatto con i suoi operai infondendo loro coraggio, in una terra che iniziava a disilludere diversi conterranei. Per alcuni infatti la futura città nasceva in una conca contornata da alte montagne, ricordando l’orografia del Trentino Alto Adige e del Friuli, per altri invece questa città nasceva solo in una landa spazzata dai venti antartici e lontano da qualsiasi collegamento con la vita civile.
Rimontati tutti i macchinari trasportati via mare, gli operai di Borsari predispsero infrastrutture come strade e opere idrauliche (deviarono perfino un fiume), l’impianto di potabilizzazione e una diga, per poi passare alle costruzioni in muratura. I lavori furono eseguiti con materiali di qualità e furono talmente solide da resistere ancora oggi alle intemperie. Vissuti come una vera e propria sfida i lavori impegnarono gli italiani anche nel rigido clima invernale, privi di elettricità e di altre comodità. La chiesa venne costruita con il materiale gratuito messo a disposizione da Borsari e con la manodopera gratuita prestata dai lavoratori nel tempo libero. Nel difficile clima subantartico gli italiani usarono tutte i loro potere di adattamento per superare le varie difficoltà e per alcuni Ushuaia iniziò a diventare più di un semplice posto in cui lavorare e intascare buoni soldi, ma anche dove programmare un futuro.
Dopo un anno giunsero nella città in costruzione anche le famiglie degli operai. Un motivo in più per onorare al meglio l’impegno assunto con Carlo Borsari, sempre in prima linea accanto ai suoi operai. Dopo due anni di febbrile (ma razionale) lavoro la città venne consegnata e per tanti italiani arrivò il momento di scegliere. Diversi tornarono in Italia e con la paga accumulata in due anni di duro lavoro potè permettersi la nuova automobili o altri beni per la propria casa. Altri scelsero di trasferirsi a Buenos Aires per “ritornare” a un clima più mite. Diversi italiani invece decisero di rimanere, ormai avvezzi al clima e intezionati a sfruttare la possibilità di costruire praticamente da zero le loro opportunità. Grazie a Borsari e ai suoi italiani, Ushuaia divenne un centro turistico e una città viva