Sotto la superficie di Io, il terzo satellite di Giove per grandezza, non c’è un oceano di magma liquido come si era pensato fino ad oggi, ma un mantello quasi solido. A rivelarlo è uno studio pubblicato su Nature realizzato dai ricercatori del Jet Propulsion Laboratory della Nasa, in collaborazione con gli studiosi dell’Alma Mater di Bologna e con gli altri istituti coinvolti nella missione Juno. È proprio sui dati raccolti nel corso della missione lanciata dalla Nasa nel 2011, insieme ai dati storici della missione Galileo e a una serie di osservazioni astrometriche, che si basa questa scoperta. «I due sorvoli ravvicinati di Io sono stati progettati come parte della missione estesa di Juno proprio per determinare se su questo satellite esistesse effettivamente un oceano globale di magma– spiega Marco Zannoni, docente del Dipartimento di Ingegneria industriale dell’Università di Bologna- i risultati ottenuti mostrano che non è così». Si tratta dunque di una «scoperta che non solo rivoluziona la comprensione della struttura interna di Io- spiega ancora lo studioso dell’Alma Mater- ma offre anche nuovi spunti per interpretare l’evoluzione geologica di questi tipi di corpi celesti». Simile alla nostra Luna per dimensioni e massa, Io è un satellite unico nel sistema di Giove grazie alla sua intensa attività vulcanica, che lo rende l’oggetto più attivo del sistema solare dal punto di vista geologico. Un fenomeno alimentato dall’enorme attrazione gravitazionale generata dal pianeta gigante gassoso. Per decenni, si spiega dall’Alma Mater di Bologna, si è creduto che proprio l’influsso di Giove fosse sufficiente a creare un oceano di magma sotto la superficie del satellite. La teoria trovava riscontro anche nelle osservazioni realizzate della missione Galileo, la sonda della Nasa che tra il 1995 e il 2003 ha esplorato il sistema di Giove. Questo scenario viene però ora ribaltato dalle nuove osservazioni realizzate da Juno, che dal 2016 sta esplorando Giove e le sue lune. Juno ha sorvolato per due volte Io a circa 1.500 chilometri di altitudine, raccogliendo dati con una precisione superiore rispetto alla missione Galileo. I dati raccolti indicano che l’ipotizzato oceano di magma globale non esiste. Al contrario, le nuove stime sono coerenti con la presenza di un mantello quasi solido sotto la superficie di Io. «Dopo quasi 20 anni dalla fine della missione Galileo, senza ulteriori dati in situ, la sonda Juno ha fornito gli ultimi elementi necessari per confermare questo risultato– spiega Luis Gomez Casajus, ricercatore al Dipartimento di Ingegneria industriale dell’Università di Bologna- non possiamo ancora escludere completamente la presenza di un oceano di magma, che sarebbe però a questo punto a una profondità di circa 500 chilometri, molto più simile al cosiddetto oceano di magma basale ipotizzato per la Terra, piuttosto che a un oceano di magma superficiale». Le attività di ricerca, finanziate dall’Agenzia Spaziale Italiana, sono state realizzate nel Tecnopolo di Forlì, dove operano il Ciri Aerospaziale e il Dipartimento di Ingegneria industriale dell’Alma Mater.
Andrea Sangermano