Sui principali quotidiani e telegiornali italiani diminuisce ulteriormente l’attenzione per la crisi climatica, mentre aumenta la dipendenza economica della stampa dalle pubblicità delle aziende inquinanti. Circa il 14% degli articoli e delle notizie trasmesse diffonde inoltre argomentazioni critiche o contrarie alle azioni per il clima, basate sul presunto carattere «ideologico» e sui costi eccessivi della transizione energetica, nonostante la comunità scientifica sia invece unanime nel chiedere di agire con urgenza. È il quadro che emerge dal nuovo rapporto che Greenpeace Italia ha commissionato all’Osservatorio di Pavia, istituto di ricerca specializzato nell’analisi della comunicazione. Lo studio ha esaminato, nel periodo fra maggio e agosto 2024, come la crisi climatica è stata raccontata dai cinque quotidiani nazionali più diffusi (Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa) e dai telegiornali serali delle reti Rai, Mediaset e La7. La ricerca pubblicata oggi aggiorna il monitoraggio periodico di Greenpeace sull’informazione dei cambiamenti climatici in Italia avviato nel 2022. I risultati mostrano che nel secondo quadrimestre del 2024 sui telegiornali si è parlato del clima e della transizione energetica in media una volta ogni due giorni, ma le notizie realmente dedicate alla crisi climatica sono state in media appena una ogni dieci giorni. Ancora meno si è parlato di combustibili fossili come causa della crisi climatica: considerando tutti i TG esaminati, è accaduto appena quattro volte in quattro mesi. Il TG5 si conferma il telegiornale che ha dato più spazio al riscaldamento del pianeta, mentre all’estremo opposto il TG La7 di Enrico Mentana ha parlato della crisi climatica appena una volta al mese. Nello stesso periodo, i principali quotidiani italiani hanno pubblicato in media 4,5 articoli al giorno in cui si fa almeno un accenno al clima e alla transizione energetica, ma gli articoli realmente dedicati alla crisi climatica sono stati in media appena uno ogni due giorni. Si accentua inoltre la dipendenza della stampa dalle pubblicità delle aziende più inquinanti (compagnie del gas e del petrolio, dell’automotive, aeree e crocieristiche): con l’eccezione di Avvenire, sugli altri quotidiani si arriva a una media di oltre cinque inserzioni pubblicitarie a settimana, più degli articoli dedicati alla crisi climatica, addirittura più di una al giorno su la Repubblica. Un’ulteriore conferma arriva dal fatto che aziende e rappresentanti del mondo economico e finanziario costituiscono circa il 40% dei soggetti che trovano più spazio nel racconto giornalistico del riscaldamento globale (e di questi, oltre un terzo sono aziende inquinanti), staccando di gran lunga politici, esperti e scienziati, e ambientalisti. In base ai risultati dello studio, Greenpeace ha aggiornato la classifica dei principali quotidiani italiani: ancora una volta si avvicina alla sufficienza solo Avvenire (con 5,4 punti su 10), seguito con punteggi molto bassi da la Repubblica (3,0), Corriere della Sera (2,8) La Stampa (2,8) e Il Sole 24 Ore (2,6). I giornali sono stati valutati mediante cinque parametri: 1) quanto parlano della crisi climatica; 2) se citano i combustibili fossili tra le cause; 3) quanta voce hanno le aziende inquinanti e 4) quanto spazio è concesso alle loro pubblicità; 5) se le redazioni sono trasparenti rispetto ai finanziamenti ricevuti dalle aziende inquinanti. «Tra maggio e agosto i media italiani si sono interessati della crisi climatica solo in occasione delle elezioni europee e quando le ondate di calore e la siccità hanno ricordato che gli eventi meteorologici estremi non risparmiano il nostro Paese», dichiara Giancarlo Sturloni, responsabile della comunicazione di Greenpeace Italia. «Lo scarso interesse mediatico verso la crisi climatica è tale – sottolinea – che ormai sui giornali esaminati ci sono più pubblicità di aziende inquinanti che articoli dedicati al riscaldamento globale. E per non dispiacere gli sponsor da cui dipendono per sopravvivere di molti quotidiani e televisioni, non si parla quasi mai di cause e responsabili, a partire dalle aziende fossili come Eni, campione di pubblicità e greenwashing». Lo studia esamina anche le dichiarazioni sul clima e sulla transizione energetica rilasciate dai principali leader politici italiani su Facebook, sui quotidiani e sui telegiornali. I risultati del secondo quadrimestre confermano che la crisi climatica resta marginale nel dibattito politico nazionale, nonostante il periodo esaminato coincidesse con le elezioni europee. Il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin è il politico che più parla di clima, seguito da Angelo Bonelli di Alleanza Verdi e Sinistra e dal ministro dei Trasporti Matteo Salvini, che si conferma la voce che più apertamente osteggia le azioni per il clima. L’elenco completo delle figure politiche analizzate comprende: Bonelli, Calenda, Conte, Fratoianni, Giorgetti, Lollobrigida, Magi, Meloni, Pichetto Fratin, Renzi, Salvini, Schlein e Tajani.
Marco Galliani