«Dopo la medaglia d’Oro di Parigi avevo detto che era necessario un momento di riflessione. Adesso è passato un po’ di tempo e posso dire che per il bene della nazionale e del movimento, l’intenzione è quella di andare avanti fino alla prossima Olimpiade di Los Angeles 2028. Con il Presidente Manfredi stiamo parlando e non penso ci saranno problemi a trovare l’accordo». E così Julio Velasco, in occasione del ‘Premio Mecenate dello Sport-Varaldo Di Pietro’, annuncia il rinnovo del contratto da ct della nazionale femminile di pallavolo. Ma poi Velasco coglie l’occasione, intervistato dalla trasmissione «Casa Italia» di Rai Italia, di affondare il colpo sul tema cittadinanza: «La pallavolo femminile per questioni sociologiche ha più ragazze di origine africana, ha qualche giocatrice come Fahr figlia di tedeschi, o Antropova figlia di genitori russi. Sono nate o hanno studiato in Italia, e a me sembra assurdo che io, grazie a mio nonno Schiaffino arrivato in Argentina a dieci anni, avrei potuto prendere la cittadinanza senza aver mai visitato l’Italia e parlato l’italiano. Invece non lo possono fare ragazzi e ragazze nate in Italia. Questa è un’idea vecchia di nazione e non di paese che secondo me è assolutamente superata. Però sono bandiere politiche che si usano invece di prendere nota della realtà». «Lo sport riflette una seconda ingiustizia: quando conviene, i figli di migranti diventano italiani. È quando non conviene che non diventano italiani. Anche quei partiti che votano contro sono d’accordo se conviene. Quando sono semplici figli di migranti devono aspettare dieci anni». «Dovrebbe esistere uno ius tutto… ius soli, ius scholae, ius sport. Nel mondo di oggi un ragazzo che nasce, studia, lavora in Italia deve diventare italiano, e non ha senso che prendano il passaporto ragazzi che vogliono solo una possibilità».
Mariano Casale