Non è come un diamante: una protesi non è per sempre. Diffidare di chi dice il contrario, che sia per ragioni estetiche o ricostruttive dopo un tumore. «Una volta impiantate hanno durata limitata nel tempo: i dati pubblicati nel Rapporto sul Registro degli impianti protesici mammari del ministero della Salute riportano 11,2 anni per quelle estetiche e 6,8 per le ricostruttive. In alcuni casi, in donne con un passato oncologico, il tempo si riduce, nel caso in cui abbiano fatto chemio adiuvante o radio a 5 anni». A dirlo, intervistato dalla Dire per l»Ottobre rosa’, è il chirurgo plastico Benedetto Longo, professore al Policlinico Tor Vergata di Roma. «L’impianto protesico va incontro a usura e quindi alla necessità di rimozione o sostituzione», ricorda lo specialista. Cosa può succedere? Può verificarsi una «rottura, oppure la protesi può dislocarsi, ruotare o capovolgersi o andare incontro a contrattura capsulare: quel processo per cui l’organismo riconosce la protesi come un corpo estraneo e cerca di isolarla producendo un tessuto cicatriziale (capsula periprotesica) che può causare indurimento e dolore toracico», spiega il chirurgo. Altre complicanze che possono rendere necessario l’espianto sono «il linfoma anaplastico a grandi cellule (1.687 casi al mondo su milioni di protesi impiantate) con il 95-98% di prognosi benigna se diagnosticato precocemente, o il carcinoma squamoso cellulare. Un’altra condizione clinica che si sta studiando e che è stata diagnosticata in pazienti con impianto mammario è il Breast Implant Illness, in cui la donna sviluppa un senso di malessere generalizzato e da cui si guarisce solo dopo la rimozione delle protesi. Di tutto questo le pazienti devono essere ben informate», ribadisce Longo. Ci sono poi degli accorgimenti che devono essere seguiti per ridurre i rischi di complicanze. Ad esempio «le donne che fanno la mastoplastica additiva- sottolinea il professore- devono evitare d’inserire protesi molto grandi sia per avere un risultato naturale proporzionale al proprio corpo, sia perché il peso stesso della protesi dà più problemi con un risultato che non è mantenuto stabile nel tempo». «Altre situazioni che possono richiedere un reintervento sono: allattamento, aumento o perdita di peso», ricorda Longo. Come ci si accorge se qualcosa non va? L’occhio della paziente aiuta, ma non basta. «Almeno una volta all’anno bisogna sottoporsi a esami strumenti diagnostici- spiega il chirurgo- come l’ecografia mammaria, la mammografia e in alcuni casi la risonanza. È inoltre importante che la paziente sia ben informata sui limiti dell’impianto». Cambiare protesi «è un intervento di routine, ma come ogni intervento- approfondisce Longo- comporta dei rischi e vanno studiate le condizioni cliniche generali della paziente. Negli interventi secondari ci sono sempre maggiori rischi e il risultato estetico è sempre più difficile da garantire». Raccomandazioni e consigli per le donne che hanno protesi si possono dare. Per «le donne sportive meglio se durante l’attività fisica indossano reggiseni contenitivi, per chi abbia in mente una gravidanza meglio differire l’intervento a dopo l’allattamento». Infine per mantenere un bel risultato nel tempo «è anche importante mantenere un peso costante», conclude il chirurgo.
Silvia Mari