Giovanni Cardone
Fino al 16 Febbraio 2025 si potrà ammirare a Palazzo Pallavicini Bologna la mostra dedicata a Tina Modotti a cura di Francesca Bogliolo. Organizzata e realizzata da Chiara Campagnoli, Deborah Petroni e Rubens Fogacci della Pallavicini s.r.l., unitamente al Comitato Tina Modotti. L’esposizione intende ripercorrere, attraverso una raffinata selezione di circa 120 opere e di alcuni preziosi documenti, la vicenda umana di una donna coraggiosa e anticonformista, che ha saputo farsi interprete del sentimento del proprio tempo, elaborando una poetica della verità foriera di valori umani capaci di oltrepassare i limiti dello spazio e del tempo. Indipendente, libera, moderna, Tina Modotti coniugò l’amore per l’arte e quello per il vero al proprio ardore politico, che ne guidò le scelte e gli interventi da militante, con la volontà di contribuire alla creazione di un mondo migliore. In dialogo continuo con artisti e intellettuali durante l’evolversi dei suoi periodi espressivi, la Modotti sviluppò un linguaggio fotografico dal tono intimistico, capace di indagare le contraddizioni della realtà per penetrarne la lirica segreta. La totalità degli scatti esposti in mostra svela, fin da principio, un nuovo modo di osservare la realtà, partecipe della fuggevolezza dei suoi istanti: il percorso articolato lungo le sale desidera invitare l’osservatore al dialogo con la propria personale concezione del tempo, talvolta immobile e attonito, talora fugace e inafferrabile. Quello che emerge con forza è una Tina felice e libera (felice perché è libera), come scrive lei stessa a Weston nell’aprile del 1925: una donna dall’intelletto vivace e dalla sorprendente capacità di introspezione, la cui natura poliedrica appare capace di orientarne le scelte. Articolato in sei sezioni, il percorso espositivo si propone di mostrare al pubblico le infinite sfaccettature di una fotografa abile nel tralasciare l’estetica per dedicarsi all’etica, sviluppando un codice visivo eloquente e personale, delineatosi ed evolutosi in un tempo brevissimo, pur tuttavia capace di lasciare traccia indelebile nel patrimonio storico e fotografico della prima metà del secolo scorso. Il continuo dialogo con le fotografie di Edward Weston, riverbero di un fitto scambio epistolare intercorso tra i due artisti, narra l’ossessione di Tina per la qualità fotografica e la sua volontà, reiterata in una dichiarazione del 1929, di registrare con obiettività la vita in tutti i suoi aspetti. Numerose le fotografie biografiche, intrise di potenza narrativa, tra le quali si affacciano i volti di alcune personalità note dell’epoca e della dimensione artistica in cui la Modotti immerse la sua anima e seppe trovare la sua ispirazione: il fotografo e suo mentore Edward Weston, gli artisti Diego Rivera e Frida Kahlo, l’attrice Dolores del Rio, il giornalista rivoluzionario Julio Antonio Mella, il politico Vittorio Vidali. Nell’ottica di un appassionato e sincero attivismo, Tina utilizzò il mezzo fotografico come estensione del proprio occhio, strumento di indagine e denuncia sociale, con una coerenza espressiva capace di travalicare l’arte per consegnarla in dono alla vita, quella vita che, a suo stesso dire, lottava continuamente per predominare l’arte. Una vera e propria metamorfosi della vita in arte, che trova la sua trasposizione fotografica nelle celebri calle e nelle delicate geometrie esposte, che Tina tenta di convertire in astrazione per poterle conservare nella memoria, tralasciando gli elementi superflui per giungere, con fervore, al nucleo del sentimento. L’intensità della passione che guida la mano e l’occhio di Tina si ritrova tra i visi e le mani del popolo messicano, protagonisti di un’intera sezione, testimoni di una volontà di cambiamento e di una necessaria presa di coscienza, che nella sua visione assurgono a icone di possibilità di riscatto sociale. Molte volte mi sono meravigliato nel guardare le sue mostre e le sue foto,Tina Modotti è stata una donna che ha combattuto per le sue idee nel contempo per la sua libertà, penso che oggi la donna deve molto alla Modotti se ci sono state delle conquiste è grazie queste donne che con il loro linguaggio e il loro pensiero hanno potuto creare il cambiamento ottenendo la loro ‘libertà’ .
E nel contempo si evidenzia con forza la figura di Tina Modotti, la vicenda umana e politica della rivoluzionaria fotografa che dovette lasciare Udine per andare in cerca di fortuna all’estero. Emigrante, operaia, costretta a lottare per la sopravvivenza ma anche artista di grande sensibilità capace di trasformare in frammenti poetici le mani dei contadini, i cappelli e persino gli strumenti da lavoro. Quelle immagini sono ancora oggi presenza viva di un popolo, quello messicano, che seppe alzare la testa e lottare contro l’oppressione. La storia della rivoluzione, ma attraverso una serie di flash back, che accennano ad una fitta trama di rapporti fra artisti, scrittori, militanti rivoluzionari e clandestini, anche venuti dall’estero. Come Trotsky che restò profondamente affascinato da Frida Khalo, mentre Tina Modotti ne prese subito le distanze, per obbedienza al regime comunista, con tutte le tragiche conseguenze che quella adesione ebbe nella sua vita. Tina Modotti nasce a Udine nel 1896 e lascia presto la scuola per andare a lavorare e aiutare la famiglia a tirare avanti. A 17 anni, nel 1913 si trasferisce negli Stati Uniti, a San Francisco dove l’aveva preceduta il padre e una sorella. Lì trova lavoro in una fabbrica di camice e si tuffa completamente nel fermento culturale e artistico che pervade la città.Tina frequenta circoli operai e gruppi teatrali e ben presto lascia il lavoro nella fabbrica riuscendo a mantenersi facendo la sarta. Si trova in un vortice crescente di iniziative e conoscenze e l’inquietudine e il bisogno di indipendenza la portano a sfiorare ogni situazione senza lasciarsene coinvolgere totalmente: tutto la interessa ma niente la soddisfa. Il teatro continua ad attrarla ma non più di altre attività. Nel 1915 conosce Roubaix de l’Abrie Richey, pittore e poeta da tutti conosciuto come Robo. Tina si sposa con lui nel 1917 tagliando i legami con il microcosmo protettivo del quartiere italiano di San Francisco e trasferendosi a Los Angeles dove Robo vive. Lo studio di Robo è un luogo di ritrovo per artisti , scrittori, è un viavai di personaggi che sono alla ricerca di qualcosa che non sanno precisamente definire. Le discussioni sul socialismo, la rivoluzione, attacchi alla morale vigente, interesse per le tesi marxiste e agli ideali anarchici si sovrappongono interessi per la psicoanalisi e la crisi della religione cristiana. Cambiare il mondo per loro non significa rifiutare un potere o un governo, ma soprattutto trasformare se stessi e mettere in pratica ciò in cui si crede. Tina è cosciente del suo fascino e bellezza e non si accontenta più di fare la sarta in casa, sente il bisogno di affermarsi individualmente e decide di concretizzare un sogno che accarezza da tempo: va a Hollywood per un provino e viene scelta, è il suo corpo che supera i provini. Recita dunque in alcuni film ma il cinema resterà una parentesi di cui non si pente ma che preferisce dimenticare e successivamente la sua esperienza nel mondo del cinema resterà un qualcosa di cui ridere con gli amici. Tina sente la necessità di trovare altre forme espressive all’istinto creativo, la fotografia è un’arte ancora giovane nella quale sperimentazione e ricerca sono spazi tutti da esplorare. Tra i frequentatori dello studio di Robo c’è un già affermato maestro dell’immagine, Edward Weston. Tina si appassiona alle tecniche fotografiche, posa per lui e intanto chiede, studia osserva, non perde una sola parola delle intere giornate che Weston le dedica. Il passo per l’innamoramento è ormai fatto e il loro rapporto se inizialmente è clandestino non può rimanere inespresso e in breve tempo, nonostante i sensi di colpa di Weston per il suo caro amico Robo, i due vivono un amore folle e passionale. E’ il 1921. Robo decide di partire per il Messico e dedicherà a Tina un’ultima poesia: “Tina è il rosso del vino, così prezioso da lasciarlo posare con delicatezza perché diventi ancor più prezioso”. In Messico Robo vive un’esperienza totalizzante e, per la prima volta nella sua vita prova emozioni fino ad allora sconosciute, riesce finalmente a toccare e stringere gli avvenimenti che lo circondano. Definisce il Messico “terra degli estremi” e nelle lettere che scrive a Weston cerca di convincerlo a raggiungerlo perché la sua arte non può perdere una simile opportunità e fa solo un breve accenno al rapporto che si è instaurato con Tina, rassicurandolo quando gli scrive “credimi, continuo a essere, come sempre, il tuo amico Robo”. Pochi giorni dopo, mentre Tina stava raggiungendo Robo in Messico poiché avevano già pianificato questo incontro, nel 1922 egli muore a causa di una febbre altissima. Tina si occupa delle formalità per la sepoltura di Robo e, accompagnata dagli amici dell’artista, viene trascinata nel ritmo convulso del paese appena resuscitato, nell’ardore con cui tutti partecipano alla costruzione di una nuova società utopica. Gli artisti di ogni campo tornano dalle fila degli eserciti guerriglieri o rientrano dall’esilio in Europa dove hanno assistito allo scempio della Grande Guerra e danno vita a scuole improvvisate, laboratori per strada, le pareti di palazzi, caserme chiese e università di coprono di murales all’infinito. Città del Messico diventa il polo di attrazione per le avanguardie di ogni angolo del mondo, l’artista viene coinvolto a tutti i livelli della vita sociale e viene abolita qualsiasi forma di censura o pressione ideologica. Tina si rende conto che non può tornare alla vita ovattata di Los Angeles. Sente che qui l’energia pulsa con las tessa frenesia che lei avverte dentro da anni e che ha per destino naturale la strada, l’incontro e lo scambio di emozioni, il tempo da bruciare senza sprecare un solo attimo, senza guardarsi indietro. Porta con se alcune fotografie di Weston e comincia a mostrarle e resta stupita dell’immediato interesse che suscitano. Viene organizzata un’esposizione che si rivela subito un successo considerato il numero di persone che si accalcano per vedere le fotografie di Weston. Tina è costretta a ritornare negli Stati Uniti a seguito della morte del padre nel 1922. Questo fatto, insieme alla morte di Robo, fanno vivere a Tina un momento di smarrimento che cerca di superare allontanandosi da Weston, ma il legame non è reciso. La fotografia riesce a prendere il sopravvento e tramite un intimo amico di Weston, Johan Hagemeyer, fotografo e intellettuale anarchico, riprende a utilizzare la macchina fotografica e la vicinanza di Hagemeyer la sprona a lavorare più intensamente. Rivede Weston e la relazione torna ai livelli di coinvolgimento precedenti la morte di Robo e però questa volta è Weston che sente le responsabilità familiari, è spostato, ha dei figli a cui è legatissimo e per questo motivo continua a rimandare il viaggio in Messico mentre Tina si sente nuovamente pronta per partire e, nonostante rispetti il travaglio di Weston, decide di tuffarsi nella colorata Città del Messico e pensa che il rapporto con Weston sia ormai al termine. La separazione dura qualche mese e infine, nel luglio del 1923 Weston lascia la moglie, porta con sé il figlio Chandler e affitta una casa con Tina a Città del Messico. Tina e Weston si immergono nella vita del paese ed entrano subito in contatto con la miriade di personaggi lanciati nell’affermazione dei nuovi valori del “Messico resuscitato”. Conoscono Diego Rivera, David Alfaro Siqueiros, José Orozco e Xavier Guerrero che ora sta lavorando agli affreschi di Chapingo con Rivera e Siqueiros. Il movimento artistico messicano si era manifestato come ribellione culturale prima ancora che si sviluppasse la rivolta politica e sociale. Tutti questi artisti avevano fatto esperienze in Europa, Rivera aveva soggiornato a Parigi durante il periodo cubista e aveva conosciuto Picasso, Klee, Braque, Matisse e poi in Italia per studiare gli affreschi e mosaici bizantini riscontrando poi nei reperti etruschi un0affinità con l’antica arte indigena del Messico, Siqueuros aveva intrapreso una serie di viaggi in Europa, pubblicando nel 1921 un manifesto sul suo concetto di pittura murale e tornati in Messico avevano fondato il Sindacato rivoluzionario dei tecnici, pittori e scultori esaltando gli sforzi per abbattere le vecchie concezioni artistiche e politiche sul giornale dell’organizzazione, “El Machet”. L’arte si trasforma in evento collettivo, rifiutando la commercializzazione della tela in nome dei murales che restano di proprietà pubblica.Tina guida Weston in questo turbinio di attività, riunioni, spedizioni archeologiche, partecipazione a gruppi che presentano petizioni e proposte e il loro appartamento nel giro di pochi mesi si trasformerà in uno dei punti di riferimento della vita culturale e artistica. Il fascino di Tina viene notato da molti e molti scrivono di lei, Federico Marin la descrive come “una bellezza misteriosa, priva di volgarità…. ma non allegra, bensì austera, terribilmente austera. Non malinconica né tragica ma ci sono uomini che si innamorano follemente di lei e qualcuno è arrivato a suicidarsi…” Anche Vasconcelos nelle memorie che scrive anni dopo ritrae Tina come una donna in grado di portare involontariamente gli uomini alla pazzia: “di una bellezza scultorea e depravata, teneva unito il gruppo con il comune desiderio e lo divideva per le feroci rivalità…”. Intanto è il periodo in cui la cultura messicana è sferzata dalle “scariche elettropoetiche” del movimento estridentista che ha in comune con il Futurismo europeo il tratto tagliente ed esasperato nella grafica e il dinamismo plastico nella pittura, l’attrazione per le macchine e soprattutto per gli aerei. La poesia estridentista è “musica delle idee” ed esalta il contrasto tra note oscure e note luminose, paragonando il suono delle parole a quello del sassofono e della batteria nel jazz. La radio viene considerata il mezzo ideale per la diffusione poetica tanto che le pubblicazione estri dentiste non si definiscono “organi” del movimento ma “irradiazioni”. Tina sta sperimentando nuove tecniche fotografiche, sulla sovraesposizione e alcuni suoi lavori vengono riconosciuti come fotografie estridentiste come le simmetrie di pali della luce sovraesposti, con i fasci di cavi in fuga verso il cielo o le geometrie delle scalinate dello stadio. Tina incomincia a sentirsi indipendente anche nella fotografia, non è più l’assistente di Weston che si limita a imitarne tecnica e soggetti. Weston stesso è ammirato dei progressi che vede compierle e avverte sempre più una sensazione di lontananza che non riesce a colmare. Il 1924 è l’anno della prima mostra di Tina e i critici apprezzano molto la sua opera senza considerarla più la semplice allieva di Weston ma mettendone in risalto l’originalità della ricerca espressiva. L’interesse per i problemi sociali diventa passione politica, e in lei crescono dubbi sul rapporto fra arte e impegno militante. La sperimentazione e la ricerca non bastano più, si convince che anche la fotografia, soprattutto la fotografia, debba esprimere qualcosa che vada oltre il formalismo estetico che sta virando ormai alla rarefazione, all’astrattismo puro. Sente di dover incidere sulla realtà, rappresentandola nei suoi aspetti più controversi, cogliendone il malessere, esaltandone la forza di ribellione ovunque si manifesti. Il divario con Weston si acuisce tanto che lui decide di tornare negli Stati Uniti alla fine del 1924, dopo aver dedicato a Tina una serie di ritratti in cui lei posa anche nuda. Qualcosa si è rotto del comune sentire, e più lei si è avvicinata agli aspetti sociali della realtà circostante, più lui si è chiuso in un individualismo pessimista. Tina sente di non poter restare a guardare dietro l’obiettivo, avverte in modo prepotente la necessità di opporsi con maggiore impegno alle forze che stanno sgretolando le conquiste della rivoluzione. Il Messico più ancora degli altri paesi latinoamericani è attaccato dal colonialismo della “Dottrina Monroe” quella che riduce il Centroamerica al “cortile di casa” degli Stati Uniti. L’utopia sovietica alimenta le speranze dell’America Latina, ma Mosca è lontana. Tina si interroga e in una lettera a Weston del 1925 si coglie una profonda confusione interiore per non sapere cosa fare in questo frangente scrivendo: “sento che il problema del vivere incide profondamente sul problema della creatività artistica…” Continua a frequentare Diego Rivera, conosce Vladimir Majakovskij giunto nella capitale attratto dai fermenti artistico-politici e rafforza l’amicizia con Xavier Guerrero che vive un’analoga disaffezione al lavoro di muralista puro in nome della militanza totale. Guerrero teme, prima di Tina, che le ore dedicate alla pittura siano irrimediabilmente negate alla costruzione del Mondo Nuovo e inoltre, come messicano, deve difendere quel poco rimasto di una rivoluzione riassorbita dal burocratismo e smembrata dalle finanziarie straniere. Tina è affascinata dalla fede incrollabile e granitica di Xavier e l’influenza che Tina subirà sarà determinante nelle scelte dei tragici anni che si stanno avvicinando. Tina rivede Weston nel 1925 quando lui ritorna in Messico e iniziano a viaggiare verso sud, fermandosi per qualche tempo a Puebla e Oaxaca. In una sosta tra un viaggio e l’altro si fermano nella capitale per l’inaugurazione della loro mostra che ha per sottotitolo L’imperatore della fotografia e la bellissima Tina Modotti: una combinazione irresistibile. Tina si infuria per questa frase perché ancora una volta si esalta la sua immagine esteriore relegando in secondo piano qualsiasi risultato ottenuto nel lavoro. Interviene però la voce autorevole di Diego Rivera che nella presentazione scrive: Tina Modotti esprime una profonda sensibilità su un piano che, pur tendendo all’astrazione, senza dubbio più etereo, e in un certo senso più intellettuale, trae linfa dalle radici del suo temperamento italiano. La sua opera artistica è fiorita però in Messico, raggiungendo una rara armonia con le nostre stesse passioni. La fama della coppia Tina ed Edward si stempera nella realtà quotidiana, le loro strade sono ormai separate, divergenti. E il legame con Xavier Guerrero si sta trasformando in un rapporto profondo, di affinità che coinvolgono l’intimo e il politico in un intreccio unico. Ma non è questo a escludere Weston dalla vita di Tina: pur continuando ad amarla egli non riesce a condividere le scelte, si chiude nel suo individualismo scettico e privo di sperane sulle possibilità di qualsiasi lotta per un ideale. Il Messico non gli trasmette più le sensazioni di un tempo e nel novembre del 1926 ritorna al nord. Tina intanto aveva venduto la sua piccola e vecchia Korona per comprarsi una Graflex che diventa un occhio spietato sulla miseria, sulla sofferenza, cattura la desolazione ma esalta anche la rabbia, la protesta organizzata. Mani di operai strette sui badili, consumate dalla polvere e dal sudore, mani di burattinai percorse da vene gonfie di fatica, mani di indiani che lavano miseri vestiti sulla pietra, scurite dal sole. La miseria è un crimine e le fotografie di Tina lo urlano, lo affermano senza pietismo e falsa compassione. Il suo lavoro comincia a varcare frontiere geografiche e barriere politiche e le sue fotografie vengono pubblicate dalle più prestigiose riviste. Tina Modotti ha aperto il cammino al reportage sociale, quello che Robert Capa, David Seymour, Gerta Taro renderanno immortale. Loro faranno della fotografia la missione di un’intera vita mentre per Tina rimarrà solo un mezzo, una transizione, quando raggiungerà il punto più espressivo della sua arte deciderà di abbandonarla in nome di una rivoluzione che non vedrà mai. IL Partito comunista messicano era stato fondato nel 1918 e nel 1923 Xavier Guerrero, David Alfaro Siqueiros e Diego Rivera diventano membri del comitato esecutivo. Al principio è l’arte che irrompe nella polita con la sua carica di creatività aggressiva che sgretola i vecchi schemi e impone un ritmo febbrile al cambiamento dei valori. Ma già nel 1924 l’urto tra Trockij e Stalin si risolve a favore di quest’ultimo e la ragion di stato, cioè del Comintern deve prevalere sulle emozioni rivoluzionarie: certi comportamenti dell’ambiente culturale messicano vengono considerati come pericolosi “deviazionismi” dalla rigida morale sovietica. Il più incline ad accettare le direttive di Mosca è Guerrero, seguito da Sequeiros che ha comunque uno spirito militare molto sviluppato. Diego Rivera è attratto dagli eccessi e irriducibile alla disciplina di partito. È sinceramente comunista ma nel senso più totalizzante: nell’immediatezza della realtà che vede, sente, afferra e non nella logica degli equilibri e delle sottili manovre che regolano la gestione del potere. Rivera si allontanerà dai suoi compagni a causa delle radici profonde in quella che si potrebbe sommariamente definire messicanità. Il comunismo nell’accezione di Mosca e la linea imposta ottusamente dal Comintern a un paese che è quanto più lontano e diverso ci sia rispetto al rigore sovietico spingono Diego Rivera a esasperare inconsciamente tutto ciò che per lui è l’essenza della messicanità. Xavier Guerrero non perdona a Riverra il protagonismo e il bisogno di accentrare l’attenzione e sente di dover abbandonare la pittura per dedicare tutto se stesso alla militanza. Tina vede in lui quella sicurezza che le è sempre mancata: seguire Xavier significa anestetizzarsi al dolore di un’esistenza irrequita, rinunciare alla sensibilità che corrode e tormenta, scegliendo una fede che assorbe tutto, anche i sentimenti. Nel 1927 Tina si iscrive al Partito comunista messicano e diventa instancabile organizzatrice e dedica gran parte del suo tempo alla redazione di “El Machete” traducendo articoli e analisi di politica estera. Il giornale è ormai l’organo ufficiale del partito. La fotografia rappresenta per Tina ancora un impegno costate e anche l’unica fonte di sostentamento ma è sempre più attività da subordinare alla militanza. Il rapporto con Xavier non è facilmente definibile, le emozioni in lui vanno lette negli sguardi, interpretate nei rari gesti calmi, per amarlo Tina può solo sentire ciò che lui sente e rispettarne il carattere impenetrabile. Accanto a Guerrero Tina si livera dall’immagine di donna fatale che molti si ostinano ancora a esaltare contribuendo a costruirle una fama che in certi casi assume contorni inquietanti. Xavier viene chiamato a Mosca e parte, Tina capisce, non si oppone e condivide la necessità di anteporre il dovere ai sentimenti. Nel 1927 Tina conosce Vittorio Vidali legato ai servizi segreti sovietici e si rende conto che tra i dirigenti ha un’aura di tacito rispetto e gode di un carisma che la intriga, e vede che tra i comunisti messicani sia considerato a un livello molto alto. Il rapporto tra Tina e Weston è ormai ridotto alla corrispondenza epistolare ma è solo a lui che Tina confida e trasmette inquietudini e sensazioni contraddittorie che mette a tacere quando dedica giorni e notti al lavoro di militante impegnandosi nell’organizzazione del Soccorso rosso internazionale. Non vuole convincere Weston della giustezza delle proprie scelte ed evita le frasi fatte, i facili slogan, i termini che ricorrono nei proclami e comizi e lo fa senza alcuno sforzo perché è un linguaggio che non le apparterrà mai. Dedicando sempre maggior tempo all’attività politica attrae ben presto le attenzioni delle spie italiane e quando Tina firma un articolo su “El Machete” per incitare a partecipare a una manifestazione in memoria di un giovane operaio ucciso nel carcere di Perugia, il Ministero degli esteri apre quindi un “fascicolo Tina Modotti”. Quando Xavier Guerrero si trasferisce a Mosca, l’appartamento di Tina si trasforma in uno studio di lavoro e non concede molto alle visite e alle serate tra amici anche se non rifiuterà mai l’ospitalità a militanti stranieri di passaggio tanto che il suo indirizzo diventa ben presto più noto di quello del partito. Nel giugno del 1928 nella redazione del “Machete” entra Julio Antonio Mella un giovane cubano che vuole fomentare la rivoluzione contro la dittatura. L’attrazione reciproca è evidente e Tina si innamora in poco tempo di Julio al punto da scoprire di non aver mai provato una simile intensità di emozioni e lui la ama con una passione frenetica incalzante come il ritmo senza respiro con cui ha vissuto ogni minuto dei suoi ventisette anni. Tina è ancora da tutti considerata come la donna di Xavier Guerrero e lei vive un travaglio interiore che la porta a chiarire la sua posizione con Xavier scrivendogli una lettera e spiegandogli il suo sentimento nei confronti di Mella: Guerrero sceglierà il silenzio, nessuna risposta alla lettera di Tina. Mella è colpito dalla figura di Lenin ma è anche affascinato dal comandante dell’Armata Rossa, Trockij. E’ dotato di grande capacità comunicativa, è il trascinatore di ogni agitazione, teorizza l’azione diretta individuale e collettiva, ma è anche la mente organizzatrice che unisce le lotte e universitarie, operaie e contadine. Il principale scopo del suo impegno politico è organizzare una spedizione a Cuba per scatenare l’insurrezione. Lo scontro tra Trockij e Stalin è avvenuto nel 1924. Al principio della “rivoluzione permanente” sostenuto dal primo come mezzo irrinunciabile per la sconfitta dell’imperialismo occidentale, viene imposto quello della “rivoluzione in un solo paese” propugnato da Stalin. Alla morte di Lenin, Stalin tesse una serie di alleanze nel partito che sgretolano il potere personale e politico di Trockij fino a riuscire a farlo espellere dal partito nel 1927. Mella non si è mai schierato apertamente con Trockij , ma la sua ferma convinzione di voler fomentare l’insurrezione a Cuba è avversata da Mosca senza possibilità di compromesso. Ogni focolaio di guerriglia rappresenta per il Comintern un pericolo al consolidamento del potere in Unione Sovietica, perché può favorire e incentivare gli attacchi delle potenze capitaliste. Mella viene comunque considerato un ribelle che si ostina a rifiutare la logica degli apparati, e con Diego Rivera decide di affrontare a Mosca l’intransigenza del Comintern e lo stesso Stalin. Viene chiesta l’espulsione di Mella dal partito appoggiata da Xavier Guerrero e Vittorio Vidali, Mella viene sommariamente rimosso dal comitato centrale e isolato: davanti al divieto di organizzare una spedizione a Cuba rompe qualsiasi collaborazione con il partito, è il dicembre 1928, un mese prima del suo assassinio. La morte di Mella porta Tina a rifugiarsi nella militanza in cui si sente protetta da dubbi e lacerazioni, il partito ha sempre ragione è la risposta ad ogni incertezza. Tina, in una lettera a Weston scrive: “eppure oggi non posso concedermi neanche il lusso del dolore perché so che non c’è più tempo per le lacrime: ci si aspetta il massimo da noi, e noi non dobbiamo mancare, né fermarci a metà del cammino. Fermarsi è ormai impossibile, la nostra coscienza e la memoria delle vittime non ce lo consentono”. In questo periodo Vittorio Vidali sta vicino a Tina per controllare personalmente che il suo tormento silenzioso non si trasformi in una crisi pericolosa. Tina conosce nel 1928 Frida Kahlo che si era avvicinata al Partito comunista trovando in Tina un referente e un legame di amicizia immediata. Frida, vittima di un incidente quando aveva 18 anni dal quale tutti avevano creduto che sarebbe rimasta inchiodata a una sedia per il resto dei suoi giorni, costruisce un rapporto con indissolubile con il dolore e da cui trae linfa per la sua creazione artistica. Con Tina divide più l’intuizione di un passato trasgressivo che le rinunce di un presente da militanti. Frida è più giovane di undici anni e frequentare l’’ambiente comunista corrisponde a un bisogno di ribellione e non a una scelta sacrificale. Tina è attratta dalla forza che sente in lei, dalla determinazione con cui si è riappropriata della vita. E’ a casa di Tina che Diego Rivera conosce Frida e nel 1929 si sposeranno. Diego Rivera, dopo la morte di Mella, sente che il partito sta tradendo l’essenza rivoluzionaria che gli aveva data vita. Il comunismo per Diego è soprattutto l’affermazione di valori umani e sociali finalizzati all’indipendenza non solo da un punto di vista economico e politico, ma anche culturale, inteso come rispetto delle esigenze e dei modi di vita di ogni individuo e di ogni singolo paese. La rottura è ormai inevitabile dopo la svolta autoritaria e accentratrice di Mosca. Con Tina comunque, Diego e Frida cercano di evitare lo scontro diretta sapendo che lei è tacitamente allineata con la nuova dirigenza. Nell’ottobre del 1929 Diego Rivera viene espulso dal partito con motivazioni pretestuose, ma in realtà Diego si è schierato apertamente con l’Opposizione di sinistra e non nasconde più le sue simpatie per Trockij. Tina non fa nulla per contrastare le accuse e lo considera un traditore; anche l’amicizia con Frida finisce, la cancella dall’esistenza in nome della fede. Nel 1929 Tina si impegna a fondo nel comitato “Manos fuera de Nicaragua”, l’invasione statunitense del piccolo paese centroamericano alimento lo spirito indipendentista di tutto il continente. Il Comintern ha deciso di boicottare con ogni mezzo la lotta dei nicaraguensi. Stalin vuole ingraziarsi Washington per mantenere gli Stati Uniti il più lontano possibile dallo scontro che già deve sostenere con le potenze europee e la politica del “cortile di casa” può diventare un tacito accordo sulle rispettive aree di influenza. Tina vuole lasciare il Messico per andare a combattere sulle montagne del Nicaragua. Vidali le spiega che Sandino sta facendo quello che a Washington si aspettano. Grazie a lui rafforzeranno la presenza in tutto il Centroamerica. Tina incontra Sandino che non accetta la proposta di lei, di unirsi ai guerriglieri, sopravvivere nelle montagne è arduo anche per i più induriti guerriglieri. Nel febbraio 1930 a seguito di un tentativo di attentato al nuovo insediato Pascual Ortiz Rubio a città del Messico, Tina viene espulsa dal paese perché viene accusata di aver partecipato alla pianificazione dell’attentato e di esserne uno dei “mandanti intellettuali”.Tina durante il viaggio in nave con destinazione Europa, scrive a Weston, affranta dalla situazione, cita una frase di Nietzsche che lui stesso una volta le aveva detto: “tutto ciò che non mi uccide mi fortifica”. Tina ha ora 34 anni, ha perso di colpo tutte le sue relazioni con l’ambiente fotografico, non ha mezzi per sostentarsi e si ritrova ancora una volta sola. La militanza è l’unico rifugio che le rimane. Contare sull’appoggio dell’Internazionale comunica è ormai una scelta obbligata. Il prezzo sarà quello di mettere da parte qualsiasi dubbio e incertezza, qualsiasi distinzione fra compagni che sbagliano e traditori. IL 14 aprile 1939 Tina giunge a Berlino dove affronta enormi difficoltà per ricercare un’indipendenza economica tentando di sfruttare la sua esperienza professionale, ma la diffusione della fotografia in Germania è superiore ad ogni altro paese e trovare qualche impiego remunerativo si dimostra tutt’altro che facile. Riesce con il tempo a ritagliarsi uno spazio e nelle foto del periodo tedesco riaffiora la Tina luminosa, spregiudicata, incline a giocare con la vita propria e altrui ma senza ferire, limitandosi a sorriderne di lato. L’ideologia nazista conquista il consenso delle masse e Tina si rende conto che l’Europa non le potrà mai offrire un ambiente favorevole per la sua arte fotografica e soprattutto per la sua militanza, è costretta a limitare le discussioni al chiuso delle case di amici e il suo è lavoro clandestino. Nonostante la fotografa Lotte Jakobi esibisca i lavori di Tina in un’esposizione privata suscitando una profonda emozione nel critico Kisch che scriverà: Il suo segreto è riuscire a rendere una visione della realtà attraverso l’immagine che lei ha del mondo. Ciò significa che gli occhi tristi di un bambino riesce a renderli più belli dello sguardo di una reginetta. E i paesaggi industriali, i mezzi di produzione, le mani, le chitarre…appaiono più affascinanti delle verdi strade svizzere. Ma gli uomini del suo mondo non sono felici. Perché? E’ questa la domanda che sorge dalle sue fotografie. Intanto Vidali propone sempre a Tina di andare con lui a Mosca e quando a lei scade il permesso di soggiorno decide di partire, l’Europa ormai per lei non rappresenta niente. Tina lascia Berlino, e la fotografia, nell’ottobre del 1930. A Mosca viene assegnata all’ufficio estero del Soccorso rosso e si immerge con instancabile disciplina nel lavoro burocratico. La conoscenza di varie lingue e la dedizione con cui resta chiusa nel suo piccolo ufficio per dodici ore al giorno le valgono una specie di promozione al settore Stampa e propaganda. Traduce articoli da giornali stranieri e ne cura l’archivio, scrive relazioni e appelli, va nelle fabbriche a tenere conferenze sulla repressione nei paesi europei e latinoamericani. Fra il 1932 e 1933 Tina viaggia in Polonia, Ungheria, Romania svolgendo incarichi per il Soccorso rosso. Nel 1934 si trasferisce per alcuni mesi a Parigi dove la raggiunge Vidali che però viene scoperto dalla polizia francese che gli consiglia di lasciare il paese, va quindi in Belgio. Fino al 1935 vive tra Mosca, Varsavia, Vienna, Madrid e Parigi per attività di soccorso ai perseguitati politici. Nel luglio del 1936 quando scoppia la guerra civile in Spagna va a Madrid, lavora negli ospedali e si dedica all’attività di politica e cultura. Qui conosce Robert Capa e Gerda Taro, Hemingway e molti altri artisti e letterati dell’epoca. Nel 1938 durante la ritirata aiuta i profughi che si avviano alla frontiera e riesce ad arrivare a Parigi non senza difficoltà dove la attende Vidali. Chiede alla sua organizzazione il permesso di trasferirsi in Italia per svolgere attività clandestina antifascista ma le viene negato per la troppa pericolosità della situazione politica. Come altri esuli, Tina e Vidali rientrano in Messico dove conducono un’esistenza difficile. Nel 1942 Tina Modotti muore di infarto in un taxi mentre rientra a casa da una cena con gli amici. Il tema della Libertà è presente in questa mostra e nelle sue fotografie, e nel contempo è legato alla sua poliedrica personalità che si sviluppa con una coerenza priva di compromessi nell’arco della sua intera esistenza, scandita da capitoli che hanno incrociato la storia politica del mondo nell’arco della sua pur breve esistenza. Ma la sua libertà di pensiero e la sua coerenza spinta al limite del rischio della sua stessa incolumità le fecero declinare le offerte. Iniziò così una fase da rifugiata politica che la portò in Germania, in Russia, e poi ad impegnarsi direttamente nella guerra di Spagna in soccorso delle vittime del conflitto, con particolare attenzione ai bambini. Al termine della guerra di Spagna Tina, affaticata nel corpo e nello spirito, verrà accolta nuovamente in Messico, dove vivrà nell’ombra i suoi ultimi anni accanto a Vittorio Vidali. Tina Modotti è oggi una fotografa che ha lasciato un’impronta indelebile nella storia contemporanea. Vita, arte e rivoluzione: queste le parole chiave degli scatti che colgono i simboli della lotta di classe, i lavoratori, le donne del popolo, gli assembramenti, i dettagli. Intense le istantanee delle donne di Tehuantepec che, camminando velocemente per natura, raccontano la volontà di Tina di ricercare in una società antica una nuova verità e un senso poetico che divengano per lei inesauribile linfa creativa; austeri, in tal senso, gli sguardi dei bambini, che sembrano penetrare l’obiettivo nel tentativo di raggiungere l’anima di chi scatta. A chiudere la mostra, infine, una selezione di ritratti di Tina, tra cui alcuni di quelli da lei definiti immortali, realizzati da Edward Weston. Nell’osservarli, sembra udirsi l’eco delle parole di Federico Marin, che la descrisse come “una bellezza misteriosa, priva di volgarità […], ma non allegra, bensì austera, terribilmente austera. Non malinconica, né tragica”. Fascino e mistero restano tuttora intatti, poiché le parole scritte nelle lettere, il suo peculiare sguardo, l’ardita sperimentazione, collocano Tina Modotti tra i più grandi interpreti della realtà della condizione umana, colta nelle sue infinite sfaccettature. La natura immersiva dei suoi scatti, derivante da un’innata empatia verso i soggetti, si fa voce capace di narrare a chi guarda l’infinita varietà del mondo e, contemporaneamente, la sua universalità.

Felice e libera
“Una Tina felice e libera (felice perché libera)”: così si definisce Tina Modotti in una lettera dell’aprile 1925, sintetizzando, con una sola firma autografa, tutta la sua poetica artistica. Tutto, nella vita della fotografa udinese, pare accompagnare verso la verità dell’esistenza, vissuta con un’intensità profonda e totalizzante. Gli scatti da lei eseguiti nel corso degli anni sembrano fissare i passi da lei compiuti nel diventare un modello di indipendenza, emancipazione e avanguardia. Fin dagli esordi si capisce che a quella diciassettenne immigrata in solitudine negli Stati Uniti non può bastare una vita rassicurante tra gli italiani che tentano la fortuna all’estero, che è destinata ad altro. L’incontro con il poeta Roubaix de l’Aubrey Richey, detto Robo, le apre la via per nuove esperienze e incontri con intellettuali e artisti dell’epoca: da lui Tina impara a “vivere nella bellezza”. La passione per il fotografare, attività con cui era entrata in contatto da bambina tramite lo zio paterno Pietro Modotti, le invade gli occhi e l’anima definitivamente dopo l’incontro con il fotografo Edward Weston, di cui diventa assistente e amante. Dopo la morte prematura di Robo si trasferisce con Edward a città del Messico; la coppia diviene il fulcro della vita messicana bohèmienne e organizza serate nella dimora di Calle Lucerna, dove tra i frequentanti si ritrovano i volti più noti della politica, della letteratura e dell’arte. Tina comprende che la fotografia può andare oltre la ricerca estetica, che può contribuire alla constatazione sociale. C’è, tra le pieghe dei suoi scatti, la volontà di addentrarsi nell’autenticità del sentimento del suo tempo, attraversandone i languori, le difficoltà, le ebbrezze, le mai sopite speranze. Non traspare giudizio, dagli scatti di Tina, se mai una sorta di trasfigurazione simbolica del reale, che trova così una collocazione fuori da ogni tempo e spazio. Tina registra ogni aspetto con oggettività, lasciando ampio spazio alla figura umana, quasi a volerne ribadire l’assoluto protagonismo: la storia non può essere senza gli uomini. Sulle pagine della storia Tina scrive con la luce i volti di chi, anonimo o ben noto, pensa possa svolgere un ruolo cruciale. Ecco dunque comparire gli amici artisti Diego Rivera, Frida Kahlo e Xavier Guerrero, l’attrice e ballerina Dolores del Rio, Edward Weston, il giornalista e attivista politico cubano Julio Antonio Mella, il politico Vittorio Vidali. I ritratti si susseguono e si accompagnano a quelli della gente comune, ai volti interpreti della rivoluzione. Tina stessa si fa fotografare in momenti differenti della sua vita, quasi a tracciare una linea del tempo che sappia ricomporre una memoria collettiva e renderla universale. Dall’Italia agli Stati Uniti, dal Messico a Berlino, a Mosca, in Spagna e nuovamente in Messico: in un arco di tempo troppo breve Assunta Adelaide Luigia Saltarini Modotti diviene Tina, poi Tinissima, infine Maria. Nomi diversi per un solo volto, un unico sguardo sul mondo, scevro da sovrastrutture. Attraverso Tina Modotti, l’arte rivendica il suo diritto e la sua urgenza nell’intervenire nelle vicende del mondo.

Istantanee
La vita si fa strada nell’arte di Tina attraverso i volti e le attività della popolazione che la circonda, la stessa in cui cerca di ritrovare le radici di un’umanità che appare ormai perduta. Il suo orientamento ideologico condiziona il modo in cui osserva la realtà messicana a lei contemporanea, offrendola allo sguardo in tutta la sua complessa autenticità. Tina non si limita a osservare dall’esterno, bensì diviene partecipe di un mondo idealizzato per la sua dimensione primitiva, capace di regalarle nuova linfa creativa. Accanto alla denuncia sociale, il soggettivismo di Tina assume le marcate caratteristiche dell’adesione empatica: vi è in questi scatti una volontà di autodeterminarsi attraverso il proprio modo di fotografare, di sovrapporre oggettività e idealismo, di identificarsi eticamente con i soggetti attivi della rivoluzione che animano lo spirito del tempo. Quella ritratta da Tina è una società segnata da un immobilismo secolare e al contempo portatrice di un’intrinseca modernità, garantita dal reiterarsi di gesti che raccontano una memoria fuori dallo spazio e dal tempo. In un mondo senza confini precisi, braccianti, donne e bambini si aggirano, come quelli che saranno i contadini di Carlo Levi, “senza peccato e senza redenzione”. Tina riprende tutto con il suo entusiasmo e la sua Graflex, non sempre adatta al passo veloce dei nativi: le donne di Tehuantepec le regalano spesso scatti mossi di cui non trova soddisfacente la resa e dei quali si lamenta con Weston in una delle numerose lettere. Con sguardo fresco e nuovo Tina interpreta il reportage sociale: nella forza e nell’indipendenza delle donne Tehuane ritrova le sue origini più profonde di donna emancipata e moderna.
La vita nell’arte
In una lettera Garcia Màrquez scrive “Da un lato, pensando alla politica, il dovere rivoluzionario di uno scrittore è quello di scrivere bene. Dall’altro, l’unica possibilità che abbiamo di scrivere bene è scrivere le cose che abbiamo visto.”. Tina sposa questa affermazione attraverso il suo personale modo di scrivere, ovvero combinando estetica e impegno politico attraverso la fotografia: per lei, la rivoluzione passa attraverso lo sguardo. Le sue istantanee sono, in prima istanza, le pagine del diario di una nomade dello spirito, una narrazione visiva geografica, estetica e sociale che va a coincidere con un elaborato percorso interiore. Mano a mano che si distacca dalle forme fotografiche, Tina si avvicina al nucleo del sentimento rivoluzionario, ne sposa gli intenti e la passione che andranno sempre maggiormente a influenzare le sue scelte di vita, portandola gradatamente a smettere di fotografare per dedicarsi completamente all’attivismo politico. Fotografare per Tina rappresenta “non solo un mezzo di sostentamento, ma un lavoro che sono arrivata ad amare con vera passione e che offre tali possibilità di espressione (…)”. Gli scatti incontrano la propaganda tra il 1926 e il 1929: è in questo periodo che Tina realizza alcune delle sue opere più emblematiche, come Chitarra, falce e cartucciera, Sombrero, Falce e martello, Donna con bandiera. Le immagini cristallizzano il contesto politico e sociale del tempo, contribuendo alla promozione delle idee rivoluzionarie: operai, donne e contadini si dimostrano consapevoli dei loro diritti e manifestano la volontà di rivendicarli con forza; la durezza del lavoro quotidiano e la dignità dei lavoratori si fanno testimonianza di forza fisica e statura morale. La realtà entra prepotentemente nell’arte, una voce si alza nel silenzio, la fotografia diviene poesia dell’anima.
Metamorfosi
La transitorietà della realtà può lasciare tracce indelebili nella memoria, destinata a modificarne le forme per sempre, pur mantenendone immutata la sostanza. Lo sa bene Tina, che nel 1926 scrive a Weston: “D’ora in poi tutto ciò che possiedo deve essere legato soltanto alla fotografia. Il resto – anche le cose che amo, cose concrete – le condurrò attraverso una metamorfosi – da concrete le trasformerò in astratte – per quanto mi riguarda – e così potrò continuare a possederle per sempre nel mio cuore.”. Il processo di astrazione sembra riverberare nelle ricerche stilistiche dell’anno precedente, a cui risalgono scatti suggestivi come Prospettiva con fili elettrici, Bicchieri e Canne di bambù. Tra il 1924 e il 1926 Tina non può non risentire degli influssi delle ricerche sperimentali da parte di artisti e fotografi del suo tempo, pur mantenendo intatta la sua personale prospettiva di indagine. L’architettura e la natura morta diventano per Tina motivo di interesse, nel tentativo di cristallizzare le immagini sottraendole a ogni dimensione temporale per depositarle in una memoria personale e collettiva. Come Lola Álvarez Bravo, Tina attraversa la realtà urbana assorbendone le suggestioni, concentrando la sua attenzione sull’improvvisa apparizione e sull’evocazione poetica da questa suscitata. In questo non appare concettualmente distante da Lucien Hervé, convinto sostenitore del fatto che la fotografia di architettura dovesse “tradurre allo stesso tempo l’emozione provata di fronte ad essa, le ragioni stesse di tale emozione”. I confini spaziali sembrano annullarsi nelle ardite prospettive, nei tagli di luce, nei punti di fuga, che regalano allo sguardo una visuale sull’oltre, guidandolo verso un processo che sembra alludere alla necessità continua di cambiamento da parte dell’uomo.È forse la natura nomade e indagatrice della Modotti a cercare attraverso questa serie di scatti, debitori dell’influenza di Weston, il riflesso della propria inquieta natura all’interno delle forme, tra armonie geometriche ed estetizzanti. Ogni scatto urbanistico di Tina ricorda un passo compiuto da un funambolo, sospeso sul vuoto, deciso e precario nel contempo: non si tratta di un’indagine stilistica tout court, ma di una ricerca interiore di equilibrio che utilizza la forma come linguaggio ai fini dell’espressione di una personalità fertile e poliedrica.
Luce e ombra così come vuoti e pieni fanno da specchio a vita e arte, divenendo preziosi accessi alla spiritualità di un’anima delicata e complessa.
Manifestare la primavera
La rappresentazione delle mani ha sempre rivestito nell’arte un ruolo primario. Esse costituiscono, fin dalle origini dell’uomo, uno strumento fondamentale per la rivendicazione della propria identità, un mezzo dalle spiccate capacità espressive che permette all’artista di dare forma alla propria creazione. Per Tina Modotti sono le mani a dare forma al mondo, attraverso il lavoro che svolgono con fatica, dedizione, amore. Negli scatti dedicati alle mani, l’attenzione per la composizione e gli aspetti formali appresi da Weston incontrano la passione di Tina per la vita dei lavoratori e per i valori morali che essi incarnano. Definite da Manuel Álvarez Bravo come appartenenti a una “fase di transizione”, queste fotografie si rivelano indice dell’adesione emotiva della Modotti alla causa rivoluzionaria, con forza avvolgente ed eloquente. Il close up del taglio fotografico modernista esplicita l’intento di utilizzare il dettaglio per penetrare i segreti dell’esistenza scavando tra le pieghe della realtà. Come per Pablo Neruda, l’arte fotografica diviene per Tina un modo per sostituire tante dimenticanze, per (…) lavorare, lavorare, manifestare la primavera. È la comprensione dell’esistenza, in tutte le sue infinite sfaccettature, l’oggetto delle continue sperimentazioni fotografiche di Tina, che scrive a Weston nel 1925, lo stesso anno in cui realizza Rose e Cactus: “Sono sempre in lotta per plasmare la mia vita secondo il mio temperamento e i miei bisogni, in altre parole metto troppa arte nella mia vita, troppa energia, e di conseguenza non mi resta molto da dare all’arte”. Le riproduzioni fotografiche dedicate ai fiori narrano di una donna dalla profonda femminilità, capace, del tutto spontaneamente, di attrarre e divenire modello anche per personalità forti come quella della giornalista e antropologa Anita Brenner che afferma “Se solo potessi condurre la vita di Tina, diffondere intorno a me la gioia grazie a tante coabitazioni e anche attraverso tutte quelle magnifiche foto!”. In El manito un fiore si muta in una piccola mano, capace di afferrare lo sguardo e condurlo senza esitazione incontro alla vita: è il miracolo della primavera, che sempre si rinnova.
Ritratti immortali – La parte migliore di me
Mentre è a San Francisco, Tina scrive a Weston: “Solo perché mi hai fatto dei tali ritratti immortali dimostra la tua capacità di tirare fuori il meglio di me”. Lo sguardo del maestro e amante coglie la natura più intima di Tina, quella sensualità velata di malinconia a cui raramente gli uomini restano indifferenti, tanto da far affermare a Federico Marin, fratello di Lupe, moglie di Diego Rivera, che Tina è caratterizzata da “una bellezza misteriosa, priva di volgarità…. ma non allegra, bensì austera, terribilmente austera. Non malinconica né tragica ma che potrebbe portare certi uomini, follemente innamorati di lei, fino al suicidio”. L’intensità dei volti di Tina ne mostra intatta la natura profonda, colta da Weston così come da un altro suo maestro, Johan Hagemeyer, drammatica nel senso etimologico del termine, ossia legata a un’azione: anche quando sosta, Tina sembra abitare lo spazio con piena coscienza del suo agire o, più semplicemente, del suo esistere. La vita e l’arte in Tina Modotti non possono essere scisse, così come non possono esserlo il bianco e nero delle sue fotografie, che pure manifestano sfumature diverse e solo apparentemente contrastanti. Il nudo di Tina sull’azotea, la terrazza della casa che condivide con Weston a Città del Messico, si fa iconografia contemporanea di verità, nuda veritas senza velo alcuno, icona contemporanea di libertà intellettuale, morale, civile, eco di quella perfezione estetica che appartiene al Nudo Rosso detto Nu couché di Modigliani, eseguito pochi anni prima. Le linee flessuose del corpo di Tina sembrano separare la dimensione del sogno da quella del reale, conferendo al corpo un valore del tutto spirituale, quasi come se la vera messa a fuoco fosse quella dell’anima, colta nella sua assoluta purezza. Nelle ultime due fotografie, che Tina si fa scattare a Mosca il 13 giugno 1932 da un giovane rifugiato, Angelo Masutti, a cui poi presta per un lungo periodo la sua preziosa Leica, l’estetica di Tina appare ormai distante dalla luminosa e bohèmienne esperienza messicana. I suoi occhi, tuttavia, fissano l’obiettivo con la consapevolezza di chi ha compreso che la vera forma d’arte è il vivere pienamente, senza compromessi. Da quel momento, Tina cessa di fotografare. Non tornerà a fotografare nemmeno quando, in Spagna, Robert Capa tenterà di convincerla, insieme a Gerda Taro e a Robert Seymour. L’arte confluisce nella vita, per continuare a scorrere durante i successivi dieci anni con incessante e dirompente energia, facendosi soccorso, dovere, ideologia. Fino al 5 gennaio 1942, quando Tina muore in un taxi, in solitudine, all’una del mattino, al principio di un giorno nuovo, il primo di molti per iniziare a celebrarne la memoria.
Donne di Tehuantepec
Tehuantepec è un comune messicano situato nella parte sud-orientale dello stato messicano di Oaxaca. La città è famosa per le sue donne ed i loro abiti tradizionali: conosciute con il nome di “Tehuanas”, le donne di Tehuantepec sono famose in tutto il Messico per i loro geniali lavori di ricamo caratterizzati da colori molto accesi e disegni che rimandano alla natura. Il costume tradizionale da Tehuana, che simboleggia forza e indipendenza, venne indossato spesso anche da Frida Kahlo, che si riconosceva nei valori da esso rappresentati. Tehuantepec ha una reputazione di «società matriarcale», poiché le donne gestiscono la vita economica della comunità. Gli scatti di Tina colgono la frenesia delle attività esercitate dalle donne, colte in attività quotidiane, e nello stesso tempo ne mettono in luce la dignità, sottolineandone gli sguardi fieri e il portamento austero.
Tina e sua madre Assunta Mondini
La famiglia ricopre un ruolo chiave nelle vicende biografiche di Tina Modotti, all’anagrafe Assunta Adelaide Luigia Modotti, nata nel 1896 nel borgo popolare Pracchiuso a Udine da famiglia operaia. Il padre, Giuseppe, lavora come meccanico e carpentiere, mentre la madre, Assunta Mondini, fa la cucitrice. Quando Tina ha soli due anni, la famiglia emigra in Austria per lavoro. Nel 1905 la famiglia rientra a Udine e Tina frequenta con profitto la scuola elementare. A dodici anni, Tina inizia a lavorare come operaia presso un grande stabilimento tessile, mantenendo, di fatto, tutto il nucleo familare con il suo stipendio. Nel contesto familiare apprende dallo zio Pietro Modotti i primi rudimenti della fotografia. Per il sostentamento della famiglia numerosa – Tina ha cinque fratelli – il padre decide di partire per gli Stati Uniti, dove si trova il fratello Francesco e dove presto la famiglia lo raggiunge. A 17 anni da compiere Tina si imbarca e affronta la traversata da sola, con coraggio e determinazione. Ad aspettarla a San Francisco ci sono il padre e la sorella Mercedes. Presto troverà lavoro in una fabbrica tessile. Il trasferimento negli Stati Uniti è per i Modotti l’inizio di una vita nuova.

Al mercato di Tehu
A TehuantepecTina si dedica al suo nuovo fotografare, realizzando “istantanee” che non impongono la presenza della macchina fotografica e il controllo dello spazio, ma assecondano un procedere più istintivo, legato al soggetto in movimento. Diverse immagini in questa sala mostrano donne che si dedicano alle attività ordinarie, di spalle alla macchina fotografica, intente ad accelerare il passo. Per Tina è una vera e propria sfida con se stessa e con le potenzialità del mezzo fotografico, dati i tempi di esposizione: tuttavia riesce a gioire di alcuni di questi scatti, elogiandone la spontaneità.
Mani di lavoratore
Durante la sua carriera, Tina ha modo di approfondire un soggetto che pare esserle caro, dato il legame con il significato simbolico che esso porta con sé. Le mani, isolate dal resto del corpo, divengono nella poetica della Modotti in grado di realizzare monologhi autonomi, che descrivono le condizioni degli operai e ne mettono in luce la criticità unitamente alla personalità. Poste al centro della composizione, le mani di lavoratore occupano lo spazio esaltandolo attraverso i contrasti tonali, la posa, la staticità. L’operaio non ha volto, non ha nome, non può esistere se non in funzione del lavoro svolto: con questa immagine Tina denuncia il lavoro non riconosciuto, elogia la forza trattenuta, invita chi guarda a una riflessione politica e sociale.
Prospettiva con fili elettrici, Messico.
Se c’è una cosa che Tina Modotti sa fare, è osservare, cambiare il punto di vista, ricercare la bellezza seguendo le infinite angolazioni e direzioni offerte allo sguardo. In “Prospettiva con fili elettrici, Messico”, Tina fotografa i fili del telefono da una visuale inusuale, quasi a invitare l’osservatore a sollevare il proprio volto verso il cielo. L’opera, dunque, non testimonia soltanto la velocità della comunicazione in una metropoli in rapido sviluppo, ma anche la volontà di far cambiare prospettiva a chi guarda, invitandolo ad oltrepassare il conosciuto per prendere in considerazione nuovi tipi di realtà. Lo sguardo di Tina, come quello di tutti i visionari, è rivolto al futuro.
Tina Modotti in una scena del film “The tiger’s coat”
Nel 1920 Tina si trova a Hollywood e recita in The Tiger’s Coat, per la regia di Roy Clement, dove interpreta il ruolo di Maria de La Guardia, una mistificatrice messicana che si appropria dell’identità di una donna defunta, cercando di destreggiarsi tra gli inganni e pericoli della sua nuova vita. Fin dagli esordi, Tina viene elogiata per il suo talento e la sua presenza scenica. «The Tiger’s Coat» rappresenta un capitolo importante nella vita di Tina Modotti, offrendo una visione delle sue prime esperienze artistiche prima che diventasse una figura chiave nella fotografia e nell’attivismo politico del XX secolo.
Ritratto di Vittorio Vidali
Negli ultimi anni di vita di Tina, il politico italiano Vittorio Vidali è una figura chiave. Si conoscono a Città del Messico, dove condividono passioni e vicende politiche. La relazione tra Tina e Vidali si rafforza progressivamente negli anni a causa dell’impegno condiviso per la causa politica. Il 5 febbraio 1930 Tina viene accusata ingiustamente di aver partecipato a un attentato contro il nuovo capo dello Stato, Pasqual Ortiz Rubio, arrestata ed espulsa dal Messico. Raggiunge Berlino, poi a ottobre si trasferisce a Mosca, dove lavora come traduttrice, scrive pieghevoli politici, ottiene la cittadinanza e diventa membro del partito. Si dedica alla militanza nel Soccorso Rosso Internazionale, cessando per sempre la sua attività fotografica, trasformando la sua stessa vita in arte. Nel luglio del 1936, quando scoppia la guerra civile spagnola, assume il nome di Maria e si trova a Madrid assieme a Vittorio Vidali, da tempo suo compagno, che si fa chiamare Carlos Contreras. Durante la guerra lavora tra le corsie ospedaliere, poi, con Vidali, rientra in Messico, essendo stato annullato il suo provvedimento di espulsione. Nella notte del 5 gennaio 1942, dopo una cena con amici in casa dell’architetto Hannes Mayer, Tina Modotti muore, colpita da infarto, dentro un taxi che la sta riportando a casa.
Falce, pannocchia e cartucciera
“Transition”, una rivista d’avanguardia di Parigi, pubblica nel febbraio 1939 alcune foto di Tina. Tra queste compaiono “Fili del telegrafo”, “Campesinos in marcia” e “Falce, pannocchia e cartucciera”. Questa fotografia, che viene intitolata Crisis, è una delle immagini rappresentative della rivoluzione: la cartucciera è portata dalle milizie ribelle, la falce è simbolo politico della classe contadina, la pannocchia rimanda alla terra e alla lotta per la stessa. Lo scatto rimanda idealmente al legame tra il mondo agricolo e la resistenza armata, evocando il ruolo cruciale svolto dai coltivatori nella lotta per la libertà e contro l’oppressione.
Tina sull’Azotea
«Tina sull’Azotea» è una delle fotografie più iconiche di Tina Modotti, scattata da Edward Weston nel 1924. Questa immagine è significativa non solo per la sua bellezza artistica, ma anche per ciò che rappresenta in termini di relazione tra il fotografo e il soggetto. Il legame tra Tina e Weston si concretizza in una serie di scatti iconici non scevri da rimandi pittorici, che sembrano rimandare alla poetica impressionista di Manet o alla sensualità esplicita di Amedeo Modigliani. Il nudo è il richiamo al non perdere il legame con le proprie origini, con la propria naturalezza espressiva e, nello stesso tempo, la celebrazione della bellezza di Tina.
Donna di Tehuantepec
Questa fotografia ritrae una giovane donna indigena di Tehuantepec che indossa un tradizionale huipil (blusa ricamata) e una collana. La donna è raffigurata con dignità e fierezza. I suoi gioielli lasciano presagire l’appartenenza a una classe sociale elevata. La donna porta un vaso riccamente decorato sulla testa, dipinto con motivi floreali tradizionali messicani. La donna non sta guardando direttamente la macchina fotografica, pertanto è stata probabilmente fotografata da Tina Modotti a sua insaputa. L’immagine sottolinea la bellezza e la forza delle donne indigene messicane, celebrandone la cultura e l’identità.
Rose
Questa fotografia mostra un primo piano di rose, con una messa a fuoco precisa che enfatizza i dettagli dei petali e la texture. L’immagine è caratterizzata da un contrasto delicato tra luci e ombre, che esalta la naturale sensualità dei fiori. Questo scatto sembra voler cogliere la bellezza e la fuggevolezza della vita. Le rose, esaltate dal contrasto tonale, portano alla luce la loro evidente fragilità, rievocando la fugacità della bellezza.
Donne che lavano i panni nel fiume Tehuantepec
In queste fotografie si assiste a un cambiamento dello sguardo di Tina sul mondo. Da una curiosità dai risvolti estetici si passa alla percezione della bellezza insita nei valori che traspaiono dalle azioni quotidiane. Significative diventano dunque azioni semplici, come il trasportare una brocca, tenere in braccio un bambino, camminare con portamento fiero, lavare i panni. Il sociale invade la fotografia di Tina Modotti, che ne diviene raffinata interprete. In alcune delle fotografie più celebri Tina il realismo si esprime attraverso la composizione fotografica, catturando dettagli visivi capaci di narrare la poetica del quotidiano.
Ritratto di Julio Antonio Mella deceduto
Nel settembre del 1928 Tina diventa la compagna di Julio Antonio Mella, giovane rivoluzionario cubano, con cui vive un amore profondo. Al fianco di Mella, Tina può affinare la prospettiva di coniugare arte e impegno politico, utilizzando la fotografia come strumento di documentazione e di espressione ideologica. Il loro legame dura purtroppo pochi mesi, poiché Mella la sera del 10 gennaio 1929, viene assassinato dai sicari del dittatore di Cuba, Gerardo Machado, proprio mentre sta rincasando con Tina. Mentre perde i sensi tra le braccia di Tina, Mella afferma “Muoio per la Rivoluzione”. Tina scatterà un’ultima foto del volto dell’amore defunto, per “conservare una traccia”. Dopo l’assassinio, che la segna profondamente, Tina viene arrestata e interrogata dalle autorità messicane come sospettata. Nonostante le accuse contro di lei risultino infondate e l’intervento di Diego Rivera la faccia immediatamente rilasciare, l’evento fa sì che aumenti la pressione su di lei e che venga incrementata la sua sorveglianza.
Tina, Messico.
I ritratti di Tina Modotti realizzati da Edward Weston offrono uno sguardo intimo sulla vita e la personalità della fotografa. Attraverso queste immagini, Weston è riuscito a catturare non solo la bellezza esteriore di Tina, ma anche la profondità della sua anima, creando ritratti che continuano a essere apprezzati per la loro qualità artistica e la loro intensità emotiva. In “Tina, Messico”, realizzato nel 1924, Tina ha gli occhi chiusi, quasi a riconnettersi con la propria anima. Tina riconoscerà a Weston di averla saputa guardare nel suo intimo, di aver colto la sua “parte migliore”: l’intensità di alcuni scatti esposti rivela la natura malinconica e inquieta dell’artista, sempre tesa a oscillare in cerca di equilibrio tra vita e arte.
Contadini che leggono “El machete”
In Contadini che leggono “El machete” un gruppo di lavoratori messicani è riunito sotto il sole cocente intorno al giornale El Machete, organo di comunicazione ufficiale del partito comunista in Messico. David Alfaro Siqueiros e Xavier Guerrero, amici di Tina, facevano parte del comitato editoriale, e molte sue fotografie furono pubblicate sulle pagine del giornale. I contadini vengono fotografati da Tina non come singoli individui, ma come un gruppo di cittadini in sombrero, con i volti in ombra. L’ideale rivoluzionario legato alla lotta per la terra è esplicitato anche dal titolo del giornale che riporta: «Tutta la terra, non solo i pezzi di terra!». L’immagine cattura un momento di educazione e consapevolezza politica tra i contadini, evidenziando il ruolo della stampa nella diffusione delle idee rivoluzionarie.
Ritratto di Edward Weston
Weston incontra Tina a Los Angeles, quando ancora è Tina Modotti de Richey. L’incontro con il fotografo mina tutti gli equilibri della vita di Tina: i due iniziano una relazione sia professionale sia personale che culminerà, nel luglio 1923, con il loro trasferimento in Messico, dove lei ricoprirà il ruolo di sua assistente e modella. I due si suggestionarono reciprocamente nel modo di fare fotografia: Tina influenzò il lavoro di Weston, spingendolo verso una maggiore attenzione ai dettagli e un approccio più documentaristico; Weston, a sua volta, la aiutò a sviluppare le sue capacità tecniche e artistiche come fotografa, permettendole di elaborare uno stile autonomo. Durante il periodo messicano, entrambi si immersero nella vivace scena artistica e culturale del paese, entrando in contatto con artisti e intellettuali, tra cui Diego Rivera e Frida Kahlo. Le loro fotografie catturavano la bellezza e la complessità della vita messicana.
La collaborazione tra Edward Weston e Tina Modotti rappresenta uno dei capitoli più affascinanti nella storia della fotografia del XX secolo, segnato da un reciproco scambio di idee e un profondo impatto sulla loro arte e vita personale, ben documentato dalle numerose lettere intercorse tra loro.
Palazzo Pallavicini Bologna
Tina Modotti
dal 26 Settembre 2024 al 16 Febbraio 2025
dal Martedì alla Domenica 10.00 alle ore 20.00
Lunedì Chiuso