«Ahmed non è mai stato coinvolto in nessuna attività politica prima del suo arresto. È scomparso prima che potesse iniziare il secondo semestre del primo anno di Giurisprudenza. È il piccolo di casa, siamo quattro fratelli, e da quel giorno di aprile del 2019 coi nostri genitori non abbiamo pace». Parla dal Cairo la sorella di Ahmed Hassan, Nourahan Hassan, nonché avvocata dell’Egyptian Commission for Rights and Freedoms (Ecrf), tra i principali organismi per i diritti umani dell’Egitto. La legale segue personalmente la vicenda dello studente universitario arrestato più di cinque anni fa all’età di 18 anni. Una storia, la sua, che l’avvocata chiede di far arrivare ai media europei nel giorno in cui lancia la campagna ‘Where is Ahmed Hassan Mustafa? 2000 days of enforced disappearance’ (Dov’è Ahmed Hassan Mustafa? Duemila giorni di sparizione forzata). Sono infatti trascorsi 2mila giorni da quando «abbiamo perso ogni sua notizia. È svanito nel nulla». Tutto ha inizio una mattina. Mentre andava a seguire un corso di grafica, «un’altra sua passione», il ragazzo viene fermato a un posto di blocco non lontano da casa: «Gli hanno chiesto i documenti e lo hanno fatto aspettare a lungo- riferisce l’avvocata- e con gli agenti sarebbe nato un diverbio, a cui sarebbe seguito l’arresto». Tutti dettagli che la famiglia ha conosciuto in seguito, in forma anonima, perché ancora oggi le autorità si rifiutano – ad ogni livello – di darne notizie, nè un’indagine sulla scomparsa del 18enne è mai stata avviata. Di conseguenza, nessuna accusa a carico dello studente di legge è mai stata formalizzata, né è stato naturalmente possibile garantirgli assistenza legale o visite in carcere. Ma la famiglia è certa che Ahmed sia in prigione: ci sono le testimonianze di chi ha visto i poliziotti arrestarlo quella mattina, e poi il racconto di un collega di Nourahan, che qualche tempo dopo la scomparsa, durante una visita a un suo cliente nel carcere di Nasr City – un distretto peroferico del Cairo – sente i funzionari pronunciare per esteso il nome di Ahmed. «Mi sono precipitata- racconta la sorella- ma hanno negato che mio fratello fosse lì». I giorni di angoscia che attraversano gli Hassan raggiungono l’apice il 29 giugno 2020, quando arriva una convocazione per identificare un corpo. «Sono andata insieme a mia madre. Ero pietrificata dal terrore. Ma non era lui». A confermare però il fatto che Ahmed sia dietro le sbarre è la situazione che gli egiziani, uomini e donne, minori compresi, vivono da oltre dieci anni. Casi che Nourahan Hassan segue quotidianamente nel suo lavoro presso la Commissione Diritti e Libertà: che si tratti o meno di attivisti o oppositori politici, il governo egiziano attua una quotidiana repressione, col sostegno degli apparati di sicurezza, contro chiunque è ritenuto una minaccia allo status quo. Lo documentano da anni le principali organizzazioni per i diritti umani locali e internazionali, con denunce anche da parte delle nazioni Unite e del Parlamento europeo. Stime di organismi non governativi riferiscono di decine di migliaia di prigionieri di coscienza dietro le sbarre, molti dei quali vittime di «sparizioni forzate», come Ahmed Hassan. Da cinque anni e mezzo continuano i tentativi della sua famiglia di ottenere notizie del ragazzo, che intanto ha compiuto 24 anni, con richieste inviate alla Procura generale, al ministero dell’Interno, al Consiglio nazionale per i diritti umani, al Comitato per la Grazia presidenziale, al Consiglio di Stato. Non ricevendo risposte, nel 2022 l’avvocata segnala il caso al Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle sparizioni forzate, che ha a sua volta contattato – senza successo – le autorità del Cairo. Da qui la decisione della famiglia e degli amici di Ahmed di lanciare una campagna nazionale, che parte oggi col sostegno dell’Ecrf. All’Italia Nourahan Hassan chiede di dare voce alla sua sete di verità e giustizia: «Ahmed è un ragazzo solare e generoso, appassionato di fotografia e grafica, che prima dell’arresto faceva volontariato per un’associazione che si occupa di donazioni di sangue, pacchi alimentari ed eventi per gli orfani. Aveva anche fatto un corso di primo soccorso e assisteva gli anziani». Insomma, niente politica. Tuttavia, «se mio fratello ha sbagliato- chiarisce- è giusto che paghi. Ma deve avere il diritto di difendersi in un giusto processo. Non è possibile far sparire una persona per anni. Tutto ciò che chiedo è di sapere se sta bene e poterlo riabbracciare, lo chiedo anche per mia madre, che piange non appena inizia a parlare di lui. Questo incubo deve finire».
Alessandra Fabbretti