Giovanni Cardone
Fino al 17 Novembre 2024 si potrà ammirare a Palazzo Reale Milano la mostra “Mike Buongiorno 1924 -2024 “ dedicata al grande presentatore nel centenario della sua nascita Mike è stato uno dei grandi protagonisti della storia della Tv e nel contempo del nostro Paese a cura di Nicolò Bongiorno e Alessandro Nicosia con la consulenza di Daniela Bongiorno. L’esposizione è promossa dal Comune di Milano – Cultura con il patrocinio del Ministero della Cultura, prodotta da Palazzo Reale Milano, Fondazione Mike Bongiorno e C.O.R. Creare Organizzare Realizzare con la collaborazione di Allegria, con la partecipazione di Rai e Mediaset. Questo luogo vuole raccontare la memoria del presente al tempo stesso, nato dalla ricerca di materiali, molti dei quali esposti per la prima volta, arricchito da tante ‘rarità’ concesse per l’occasione dalla Fondazione Mike Bongiorno documenti personali, foto inedite, copioni originali, cimeli artistici e premi, oggetti e ricordi che accomunano più generazioni di estimatori. La mostra si apre con un contributo video in cui Aldo Grasso racconta quello che per lui Mike ha rappresentato nel mondo della televisione. Grande impatto all’interno dell’esposizione avranno le ricostruzioni scenografiche che contestualizzeranno alcuni momenti focali della carriera di Mike ma anche della nostra società:uno studio radiofonico americano anni Quaranta, la sala Tv di un bar anni Cinquanta, luogo che ospitava tantissimi appassionati dei programmi del momento, la cabina rossa e bianca di Rischiatutto, dove sarà possibile diventare il concorrente o il presentatore e la ruota di La ruota della fortuna, riprodotta in scala per l’occasione. Filo conduttore del percorso i filmati biografici, nei quali, attraverso le stesse parole del presentatore, si ripercorrerà la sua storia e quella degli italiani dagli anni Venti ai giorni nostri. Ampio spazio sarà dato ai filmati di repertorio di Rai e Mediaset che hanno collaborato attivamente al progetto. Saranno, inoltre, raccontate le sue grandi passioni, soprattutto lo sport e la montagna. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Mike Buongiorno e la nascita della televisione apro il mio saggio dicendo : Posso affermare che l’opposizione fra paleotelevisione e neotelevisione ha una grande fortuna nella storiografia dei mass-media in Italia. Nel suo ambito un settore tutt’altro che specialistico visto il ruolo della tv nella storia italiana recente quasi eguaglia in importanza la distinzione fra Prima e Seconda Repubblica. Al pari di quest’ultima, con cui si sovrappone spesso nonostante i limiti cronologici siano sfalsati, è una categoria onnicomprensiva, pronta a riempirsi dei contenuti più vari. Il cambiamento che si descrive infatti appare profondo e multiforme. In pochi anni il Paese, l’orizzonte politico-culturale, il paesaggio antropologico sono radicalmente mutati e altrettanto è cambiata la televisione italiana e questa ‘grande trasformazione’ promette di impegnare storici, scrittori e intellettuali ancora a lungo. La neotelevisione è stata teorizzata inizialmente, da semiologi come Eco e Casetti, in base a innovazioni tecnico-formali. Compaiono in scena microfoni e telecamere quasi a svelare la macchina televisiva, il dietro le quinte. Sul modello delle prime radio libere, si fa sempre più uso nei programmi del telefono per suscitare la partecipazione del pubblico. Il medium sembra perdere la sua ‘trasparenza’, l’accento non è più posto sulla ‘verità dell’enunciato’, bensì sulla ‘verità dell’enunciazione’, la funzione metalinguistica e di contatto hanno la meglio sulla funzione referenziale. Come scrive Eco, «la caratteristica principale della Neo tv è che essa sempre meno parla del mondo esterno. Essa parla di se stessa e del contatto che sta stabilendo col proprio pubblico». Già allora, tuttavia, l’opposizione fra paleotelevisione e neotelevisione sottintendeva due diversi sistemi televisivi: da una parte il monopolio di Stato, dall’altra, pur con mille contraddizioni e limiti un regime misto di soggetti privati e pubblici. Tale passaggio è scandito da una sequenza repentina e caotica di trasformazioni: l’esplosione delle tv locali dopo la liberalizzazione dell’etere del 1976; i networks nazionali che emergono nei primi anni ottanta il duopolio Rai – Mediaset sancito dalla legge Mammì del 1990 e rimasto inalterato fino ai giorni nostri. Fra anni settanta e ottanta, tuttavia, non è solo l’assetto dell’industria televisiva a cambiare, c’è una vera e propria rivoluzione della cultura televisiva e dei valori di riferimento. Simbolo di questo mutamento è l’avvento del colore, sancito definitivamente nel 1977 dopo un aspro dibattito politico. Fin dal 1972 infatti un ampio ventaglio di forze si era opposto al colore identificato come il simbolo di un consumismo del tutto fuori luogo all’epoca dell’austerità e della crisi energetica. E in effetti, quasi a dar ragione ai suoi detrattori, il colore segnerà l’inizio di quello che Peppino Ortoleva ha chiamato il «surrealismo del consumo»; un Brave New World televisivo dominato dall’intrattenimento e dalla pubblicità. L’opposizione fra paleo e neotelevisione, quindi, può essere ulteriormente riscritta, collocando da un lato il pedagogismo di Stato della rai a conduzione democristiana, ricalcato sul modello del servizio pubblico inglese, e, dall’altro, gli intenti puramente commerciali delle reti private, che mirano soprattutto all’audience e moltiplicano il volume della pubblicità televisiva a lungo tenuto a freno dalla rai. È un passaggio da un’idea di televisione ancora rispettosa delle gerarchie culturali tradizionali alla prassi televisiva odierna caratterizzata invece, ancora secondo Ortoleva, da un «anti-intellettualismo» ormai esplicito. Semplificando grossolanamente, si passa da una tv della povertà pochi canali, poche ore di trasmissione, un’austerità vagamente bacchettona a una tv dell’opulenza di tanti canali, un lusso continuo di programmi 24 ore su 24, un diluvio di pubblicità e merci. In pochi anni, sugli schermi italiani si assiste a un trapasso repentino dalla Quaresima al Carnevale. A questo panorama, vorrei aggiungere un’altra componente, analizzando i due diversi mondi televisivi da un punto di vista molto particolare: quello della tipologia dei personaggi e in particolare della loro collocazione sull’asse normalità- eccentricità. Lascia o raddoppia?, il quiz in onda con cadenza settimanale dal 1955 al 1959, è uno dei programmi di maggior successo nella storia della televisione italiana e può essere scelto senza troppe forzature come il simbolo della paleotelevisione. A presentare il quiz è un giovane italo-americano con una breve esperienza radiofonica alle spalle, Michael Nicholas Salvatore Bongiorno, universalmente noto come Mike, un tipo mingherlino, biondiccio, occhialuto, non bello, che parla un italiano piuttosto povero e ha una certa predisposizione per le gafes. A dispetto di tali limiti, nel giro di pochi mesi diviene una celebrità, il primo divo della televisione italiana. Secondo la celebre Fenomenologia di Mike Bongiorno (1963) di Umberto Eco, il divo televisivo è l’esatto contrario della star cinematografica; all’eccezionalità, al fascino superlativo e talvolta trasgressivo subentra una grigia normalità: la tv non offre, come ideale in cui immedesimarsi, il superman ma l’everyman. La tv presenta come ideale l’uomo assolutamente medio. Lo spettatore vede glorificato e insignito ufficialmente di autorità nazionale il ritratto dei propri limiti . Mike Bongiorno convince dunque il pubblico, con un esempio vivente e trionfante, del valore della mediocrità . Egli rappresenta un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perché chiunque si trova già al suo livello. Nessuna religione è stata mai così indulgente coi suoi fedeli. In lui si annulla la tensione tra essere e dover essere. Egli dice ai suoi adoratori: siete Dio, restate immoti. Dirà di Bongiorno Aldo Grasso: «la sua persistenza è la nostra sclerosi quotidiana, il suo professionismo è il meccanismo ben oliato, automatico che ci fa andare avanti ogni giorno. Mike è come la televisione, la televisione come Mike: “sogno privo di sogno”, non concede nulla al doppio, all’immaginario, solo rispecchiamenti orizzontali». Quella della tv delle origini sarebbe quindi una scelta singolarmente antiromanzesca e antieroica, un rifiuto delle potenzialità dell’immaginario in nome di un buon senso piccolo borghese. Agente fra i principali della modernizzazione italiana, la televisione avrebbe optato per la versione più severa di questa, ciò che Max Weber chiamava il «disincanto del mondo». In realtà si tratta solo di una mezza verità e Lascia o raddoppia?, al pari dell’altro programma simbolo della paleotelevisione, ossia Carosello, è stato un calibrato compromesso fra poli culturali antitetici: modernità e tradizione, quiz all’americana e commedia dell’arte italiana, intrattenimento e pedagogismo, spettacolo e divulgazione del sapere, nuovo consumismo e paternalismo democristiano. I tempi rapidi del quiz americano subirono una dilatazione teatrale, dove la presentazione del concorrente, la creazione di un personaggio erano altrettanto importanti delle domande, delle risposte e dei premi. «In un senso più profondo la trasmissione rispecchiava i valori della cultura americana, la competitività, l’abilità individuale, la scalata alla ricchezza e al successo; ma nello spettacolo brillavano soprattutto i valori italiani di sempre, la speranza nella fortuna, induce nel proprio fascino, l’arte di arrangiarsi, la vanità esibizionistica». Per scegliere un esempio emblematico di questo adattamento: il selezionatore meccanico della ibm che estraeva la buste delle domande nel programma modello del quiz, The $64.000 questione, fu sostituito da una figura decisamente più aggraziata: la ‘valletta’, mentre il ruolo di garante dell’imparzialità, anziché alla macchina, era attribuito a un’autorità tradizionale, quella del notaio. Il quiz era trasmesso dal teatro della Fiera di Milano, luogo simbolo della modernizzazione italiana, vetrina dei progressi tecnologici e della nuova civiltà dei consumi. Il premio di consolazione per i concorrenti che fallivano l’ultimo raddoppio era un oggetto simbolo del boom economico: una Fiat 600. Di conseguenza Lascia o raddoppia? è stato accusato dalle origini di aver incoraggiato il consumismo, così come di essere stato un agente principale dell’‘americanizzazione’ del Paese. Sul versante intellettuale, lo si rimproverava di diffondere una cultura nozionistica, superficiale, mnemonica, oppure, come scrisse il critico comunista Piero Dallamano, di incoraggiare una visione ‘monetaria’ del sapere. Per John Foot, tuttavia, nel quiz l’«ideologia consumistica legata soprattutto al sogno americano» era largamente compensata dall’ «ethos paternalistico della Dc» in una «chiara compresenza di vecchio e nuovo»; inoltre «il programma era pensato da uno staff di intellettuali che lo organizzavano come un esercizio didattico per l’educazione degli italiani».Astruse questioni specialistiche come il celebre «controfagotto» verdiano, per una settimana diventavano argomenti universalmente discussi. Al fianco dei concorrenti si presentavano esperti e divulgatori delle singole discipline, le domande erano introdotte con intenti a metà fra l’approfondimento didattico e la spettacolarizzazione da piccoli documentari o da oggetti presentati in studio. In un caso, assieme a un concorrente che rispondeva a domande sull’arte moderna, intervenne come ospite un pittore difficile come Casorati. Era opinione comune, suffragata dagli stessi editori, che le vendite dei libri sulle materie del quiz subissero un’impennata dopo la trasmissione e c’è chi definì la trasmissione un’«enciclopedia popolare». In uno degli articoli più belli scritti sul programma, Carlo Levi celebrò Lascia o raddoppia? come un’epica popolare, nella quale il tifo per gli eroi sportivi calciatori e ciclisti era soppiantato dall’identificazione delle folle per una nuova generazione di eroi del sapere, i concorrenti. Ma i molti dualismi del programma trovano un’ideale sintesi nel confronto al centro della scena: quello fra un presentatore programmaticamente mediocre, quasi impiegatizio, e un manipolo di concorrenti di tutt’altra natura. Scrive lo storico Silvio Lanaro: «Davanti al presentatore, che scuote il capo perplesso, il dandies dall’abbigliamento fastoso e dalla parlata cruscante, impiegati che conoscono a memoria la Divina Commedia, contesse dal tratto legnosamente ‘alla mano’, collezionisti di inopinate paccottiglie, ardite studentesse che osano penetrare nei segreti degli sport maschili». Il concorrente di Lascia o raddoppia? non è solo l’ossimoro tipicamente televisivo dell’uomo comune scaraventato improvvisamente su una platea nazionale per ottenere quel «quarto d’ora di notorietà» di cui parlava Andy Warhol; e non è neanche la figura scialba e presto dimenticata dei successivi quiz o delle loro parodie. La via del concorrente comune e insignificante scagliato suo malgrado sulla ribalta viene presto abbandonata dopo il primo campione del quiz, tale Lando Degoli, un professore di matematica di Parma, piuttosto timido e un po’ grigio, che cadde sulla micidiale domanda del controfagotto.
Presto il quiz diviene, per comune ammissione dei contemporanei, «il più ricco e impreveduto repertorio di personaggi che le cronache d’oggi conoscano» e il suo messaggio, a suo modo consolatorio, è che «infinita è la gamma della persona, e che “siamo tutti personaggi”». Il concorrente di Lascia o raddoppia? è così una figura eccentrica e memorabile, la cui caratterizzazione viene spinta verso l’eccezionalità e talvolta la stranezza, mediante un lavoro di ripresa, capovolgimento e ricombinazione di stereotipi sociali diffusi. Da un lato, Bongiorno è per Eco l’emblema di una bêtise quasi laubertiana: «accetta tutti i miti della società in cui vive: alla signora Balbiano D’Aramengo bacia la mano e dice che lo fa perché si tratta di una contessa. Porta i cliché alle estreme conseguenze. Una ragazza educata dalle suore è virtuosa, una ragazza con la coda di cavallo e le calze colorate è ‘bruciata’». Dall’altro, i personaggi che compaiono al suo cospetto sono spesso una smentita o una correzione proprio dei vari clichés. Innanzitutto, sono accomunati da una competenza del tutto eccezionale su un argomento, un sapere presentato di volta in volta come un prodigio mnemonico, oppure come il frutto di una passione che in un Paese ancora lontano dall’odierna moltiplicazione degli hobby si presta a essere interpretata in termini quasi maniacali. Nel caso di una delle figure più famose nella storia del quiz, il rapporto paradossale con la materia va a toccare stereotipi di genere. Paola Bolognani, bionda studentessa diciottenne di Pordenone, risponde con sorprendente competenza sulla storia del calcio, il ‘gioco maschio’ per eccellenza, in un’epoca in cui le donne non osavano neanche mettere piede negli stadi e va detto che le prime conduttrici o giornaliste sportive donne compariranno solo in piena neotelevisione, negli anni ottanta. In altri casi, si fa leva sul fascino romanzesco dell’aristocrazia o sull’esotismo. In una Repubblica che da poco ha abolito il valore legale dei titoli nobiliari, le nobildonne concorrenti si comportano con una modestia che sorprende immancabilmente l’ingenuo presentatore. E Bongiorno è altrettanto stupito dai concorrenti che esibiscono cimeli o memorie di Paesi lontani: come la fotomodella milanese Lulli Mariani che ha vissuto per anni in Polinesia, dove insegnava in una scuola di stile per ragazze locali, o come il nigeriano Olabisi Ayala, il primo e unico concorrente di colore nella storia dei quiz in Italia, che racconta di aver girato il mondo su uno scooter e si esibisce sempre con costume etnico e l’immancabile pipa. Spesso, poi, il rapporto fra i concorrenti e le materie su cui rispondono è all’insegna del capovolgimento e della sorpresa. Molti concorrenti di umile estrazione – contadini, pastori, piccoli artigiani, operai scelgono materie letterarie per cui dimostrano la proverbiale passione dell’autodidatta, voglioso di elevarsi. Al contrario, diversi concorrenti borghesi e benestanti optano per argomenti meno seri: musica, gastronomia, sport e spettacolo. Nell’un caso e nell’altro, il quiz attiva sceneggiature collaudate: storie commoventi di riscatto sociale degne del libro Cuore o commedie spiritose e mondane, tipiche del teatro leggero. Ma al di là degli stereotipi, si tratta di storie che simboleggiano l’impatto liberatorio della modernità sulle singole esistenze, la sua capacità da dare un identità e comportamenti, di allentare una duratura etica della rinuncia, dettata in un caso dalla miseria materiale, nell’altro da austeri ideali di rispettabilità. Il pastore letterato Filippo Bacciu, che rispondeva su Boiardo e Ariosto, in un’intervista dichiarò: «Sono diventato un uomo, con i sentimenti e le sensazioni di un vero uomo, tra le mie povere e calme bestie, solo quando riuscii a leggere un libro».È una dichiarazione che fa il paio, significativamente, con quella di un abitante di un villaggio dell’entroterra laziale che così commentava l’arrivo sospirato, a metà degli anni sessanta, del primo gabinetto domestico: «Adesso mi sento un essere umano, come gli altri, non un animale come mi sentivo un tempo». All’epoca del quiz, insomma, agli occhi degli Italiani che uscivano da una dura realtà di privazione e ignoranza, la cultura tradizionale e i nuovi comfort consumistici potevano essere accomunati nel segno del progresso e dell’emancipazione. Per i concorrenti e per i telespettatori del programma, la sintesi operata da Lascia o raddoppia? fra denaro e sapere, educazione e consumo forse non appariva così forzata come ai critici che ne smascheravano l’insidiosa natura ideologica.
I sostenitori di Lascia o raddoppia?, intellettuali di area cattolica, hanno buon gioco allora nel lodare un programma che mette in scena un’Italia che «piace poco ai conformismi d’ogni obbedienza», che «scompagina e ridicolizza i luoghi comuni», che rivaluta l’«uomo come singolo», ricorrendo alla topica della ‘libertà’ (contrapposta al collettivismo, o alla necessità economica invocate dai marxisti). E in Lascia o raddoppia? in effetti la retorica della singolarità, quel meccanismo dell’eccezione o del ‘colmo’ onnipresente nei fatti di cronaca del resto furono proprio i giornali, con cronache e approfondimenti, a consolidare il successo della trasmissione. Ad esempio un commissario di polizia, Camillo Boito, raggiunse il titolo di campione rispondendo a domande sulla letteratura poliziesca, alla quale sia era appassionato per caso, dopo aver sequestrato un bel po’ di gialli alla figlia, che per la lettura trascurava la preparazione dell’esame di maturità. Per altri concorrenti l’incontro con la loro materia è una piccola conversione laica, la scoperta di una singolare vocazione. Il contadino dantista Luigi Gaddini trova una copia della Divina Commedia in una casa abbandonata durante la ritirata di Caporetto; la Mariani incontra la regina di Polinesia in un ricevimento in Inghilterra ed è folgorata da un sorriso che allude a un intero modo di vita; la giovane Marisa Zocchi, già miss Toscana, si appassiona al ciclismo sentendo i discorsi dei ciclisti che arrivano al bar del padre dopo la salita; il ferroviere Piero Tassone trova nello sci e nell’immagine delle montagne innevate un’evasione dalla monotonia del suo lavoro. Due concorrenti oggetto all’epoca di una vera e propria saga giornalistica sono esemplari per farci riflettere sulla costruzione dell’eccentrico nell’era paleotelevisiva. La prima è Maria Luisa Garoppo, avvenente tabaccaia di Casale Monferrato, soprannominata ‘miss globuli rossi’ per il suo impegno come donatrice di sangue. Alla sua prima apparizione indossa un vestito aderente che, complice il suo fisico da maggiorata, desta scandalo. Per di più la ragazza manifesta opinioni piuttosto eterodosse sul matrimonio di cui diffida, poiché dice «in Italia è più facile a farsi che a disfarsi». Con una certa ingenuità, racconta di suscitare notevole entusiasmo fra i militari della locale caserma che visitano la sua tabaccheria più di quanto non sarebbe richiesto dalle loro esigenze di fumatori. Poco dopo la sua prima apparizione, si viene a sapere che Maria Luisa ha uno zio prete, ovviamente turbato dalla sua esibizione televisiva. Infine, anche in questo caso il legame con la materia è all’insegna del rovesciamento paradossale. La concorrente risponde infatti su un argomento culturalmente elevato e dalle connotazioni tutt’altro che edonistiche: la tragedia greca. Insomma ci sarebbero tutti gli ingredienti di una di quelle commedie pecorecce che faranno furore negli anni settanta (la bella e un po’ bisbetica tabaccaia concupita dai militari) e che saranno l’indizio, peraltro assai contraddittorio, di un mutamento generale nel senso del pudore. Nel clima di pruderie degli anni cinquanta, invece, la vicenda della Garoppo sarà quella di un rapido ritorno all’ordine, con la concorrente infagottata in abiti più casti forniti dai costumisti della rai e soprattutto con l’invito ufficiale dell’ambasciata greca, dopo la vittoria nel quiz, a trascorrere una vacanza-studio nei luoghi originari dei grandi tragici: un piccolo percorso di sublimazione dalla carne allo spirito, dalle pulsioni del presente all’autorevolezza del passato. Il secondo personaggio a suo modo ‘scandaloso’ è Gianluigi Marianini, benestante ‘giovin signore’ torinese, che si presenta con smoking, tight, cappelli a cilindro e mantelli di propria creazione, si proclama «viveur di professione», autore di «versi perversi» e adoratore della «Venere multiforme». Esperto di moda e costume, parla un italiano aulico e arguto, ispirato a D’Annunzio e soprattutto a Guido da Verona. Di contro ai concorrenti che si presentano in tv in cerca di fortuna, egli snobba visibilmente i «sesterzi» del premio e dichiara di voler riportare il quiz alla sua natura di gioco disinteressato o, per usare le sue parole, «convito di begli spiriti in boschi folti». Con goliardia, il personaggio, si conforma alla perfezione all’immagine dell’esteta, del dandy, di quel ‘gagà’ amante delle provocazioni e della vita notturna reso celebre dal teatro di rivista degli anni trenta e dal comico Ettore Petrolini. Si tratta di una scelta decisamente consapevole, come lo stesso Marianini chiarisce in una delle molte interviste rilasciate all’epoca: «quando seppi che ero stato ammesso al gioco, pensai di rallegrare la trasmissione con un personaggio comico. Avrei potuto scegliere una “macchietta” dell’uomo d’avanguardia, con un parlare alla Marinetti, o altre. Dopo un rapido esame preferii quella del “viveur”, che ormai tutti conoscono e adottai un linguaggio che fosse una velata parodia dello stile aulico del ’300 frammischiato al barocchismo del ’600».Nel caso di questi eccentrici di cinquanta anni fa, rispetto a un genere tipicamente neotelevisivo come il reality show, sarebbe forse più facile rispondere alla domanda proverbiale e indecidibile: «ci è o ci fa?». Esiste tuttavia una rigida differenza di genere fra la trasgressione teatrale e consentita di Marianini che sui giornali era ritratto insieme alla moglie che tollerava di buon grado, a quanto pare, i suoi dichiarati eccessi di nottambulo e quella forse ingenua e condannata in un misto di moralismo e voyeurismo di Maria Luisa Garoppo. In entrambi i casi, l’eccezione ha i tratti anacronistici o attuali di altri media: la letteratura e il teatro per Marianini, il cinema delle maggiorate per Garoppo. All’epoca però la Democrazia Cristiana voleva che la tv avesse standard morali ben più rigidi rispetto a un cinema considerato appannaggio di affaristi spregiudicati o di intellettuali comunisti, e di conseguenza nella rai delle origini il teatro ebbe assai più spazio e influenza della settima arte. In ogni caso, è come se la tv non avesse ancora abbastanza fiducia nelle sue possibilità mitopoietiche e dovesse così ricorrere in parte a modelli desunti da altri media per creare personaggi eccentrici. Quel che invece appare peculiare della paleotelevisione, in dalle origini, è la dialettica fra eccezione e norma, fra eccentricità e mediocrità, concretizzata nel confronto fra presentatore e concorrente. Se la tv diviene una galleria di personaggi strambi e memorabili, talvolta provenienti dalle mille realtà provinciali del Paese, ciò è possibile solo nell’ambito di una struttura che prevede comunque una norma, un modello, un punto di vista egemone, rappresentato dal presentatore. L’eccentrico è tale rispetto a un centro, da intendersi anche in senso geograico-culturale, visto che compito della rai era l’unificazione culturale di un paese quanto mai variegato. Dunque presentatori, giornalisti, le stesse annunciatrici assurgono al ruolo di mediatori – affabili, cordiali, dai tratti piccolo-borghesi e cittadini, dall’eleganza impiegatizia, dal sex appeal moderato di un fidanzato o di una fidanzata ideale, dall’inossidabile perbenismo. Gli emblemi di questa vocazione alla moderazione e al compromesso della paleotelevisione sono quindi i vari Bongiorno, Corrado, Enzo Tortora, Pippo Baudo, e su altri fronti, Delia Scala, Nicoletta Orsomando, Tito Stagno, Sergio Zavoli, Paolo Frajese e Bruno Vespa Saranno loro a incarnare quello standard linguistico, ma anche ideologico che la tv è chiamata a trasmettere: un basic italian al di sopra delle differenze dialettali, un repertorio di buone maniere piccoloborghesi, una moderata fiducia nella modernità e nel consumo in un Paese che si sta rapidamente allontanando dal suo passato agricolo. Saranno loro a gettare uno sguardo di volta in volta divertito, condiscendente o bonario sulle mille eccezioni e i mille anacronismi di un paese che si vorrebbe unificare nel segno della modernità. Non a caso nel pieno del miracolo economico Giorgio Bocca denunciava l’influenza della televisione sui comportamenti diffusi, una sorta di melliflua dittatura delle buone maniere: «Gli italiani, anche i più tangheri e ferini sono arrivati a una cortesia formale del tipo grazie-prego-grazie, dieci milioni, venti milioni ci guardano, come siamo ammodo, come siamo inciviliti». Michael Nicholas Salvatore Bongiorno, mamma torinese e padre italo-americano, è stato il primo volto della televisione pubblica italiana, l’uomo che l’ha letteralmente accesa il 3 gennaio 1954 con lo scopo di intrattenere l’Italia intera. Sin da subito si è imposto come modello del sentire comune, attraversando generazioni e accompagnando lo spettatore con le sue espressioni che “hanno fatto famiglia” sin da subito. Il suo sorriso partecipe è stato lo specchio di una vita intensa, che lo ha visto staffetta partigiana, imprigionato a San Vittore e a seguire nei campi di concentramento, poi star della radio americana tra il 1945 e il 1953 fino a diventare icona della Tv italiana. Dell’America ha mantenuto lo sguardo aperto e innovativo, esportandone il telequiz. Un feeling mai interrotto quello con la Tv, gli studi televisivi erano la sua casa. L’elenco delle trasmissioni da lui ideate, create e condotte, sarebbe sufficiente a dar vita ai palinsesti del prossimo secolo.
Mike, anticipatore dei tempi, ha saputo, in Lascia o raddoppia?, far diventare eroi personaggi presi dalla strada, inaugurando un fenomeno che poi sarebbe diventato usuale e vincente nella televisione del futuro. Milioni di telespettatori seguivano il programma nei bar, in casa di amici e persino nelle sale cinematografiche che ripetevano il segnale televisivo, sospendendo per l’occasione la proiezione dei film. Un successo straordinario fino alle proposte inedite di girare due capolavori del nostro cinema: Totò, Lascia o raddoppia? e C’eravamo tanto amati. È stato il protagonista di Rischiatutto, che ha sempre considerato il suo programma più riuscito nel quale è stato accompagnato da una giovanissima Sabina Ciuffini, la prima valletta nella storia della Tv a cui è stata data voce. Con la nascita della Tv commerciale, ha contribuito al successo delle emittenti private, inventando e rivoluzionando un nuovo modo di comunicare. Silvio Berlusconi gli propose di diventare il simbolo di TeleMilano 58 perché aveva intuito che Mike, che conosceva bene i meccanismi della Tv americana, era l’unico che sarebbe stato in grado di gestire velocità e interruzioni pubblicitarie. Così è diventato l’alfiere di una Tv più moderna e innovativa. Vanno inoltre ricordate le undici edizioni che ha condotto del Festival di Sanremo, dagli anni sessanta fino al 1997. I suoi programmi, dopo la scomparsa, sono stati riproposti con successo da altri conduttori. Nei suoi ultimi anni ha vissuto una seconda giovinezza professionale, influenzata dal rapporto sulla scena con un travolgente Fiorello. Mike si scopre ironico, divertente e divertito. Le gag con Fiorello vivono di improvvisazione e risate. La Laurea Magistrale Honoris Causa in Televisione, cinema e produzione multimediale presso la IULM di Milano, è stata un meritato riconoscimento che lo ha emozionato nel profondo. Mike era Mike, iconico presentatore televisivo e radiofonico dallo stile unico, l’inimitabile più imitato della storia che non ha mai separato la vita dalla Tv, da pioniere a imperatore del telequiz, nella spontanea aspirazione a raggiungere vette, «sempre più in alto» in tutti i campi. Le sue memorabili gaffes, con affondi nell’autoironia accompagnati da sorrisetti rivelatori, sono entrate nel linguaggio comune, rendendolo per gli spettatori uno specchio dove rivedere se stessi. Il lavoro di ricerca, che ha portato a questa mostra, culmina nelle dodici sezioni di cui è composta: 1. Mike Bongiorno: una storia straordinaria, 2. Il sole dei Bongiorno, 3. Tra New York e Torino, 4. Un italo-americano e la Guerra, 5. La Voce dell’America, 6. Il ritorno in Italia, la nascita della TV, 7. Il Re del quiz, 8. Rischiatutto, 9. La nascita della TV commerciale, 10. Dalla Ruota della Fortuna alla TV del XXI secolo, 11. La fenomenologia di Mike, 12. Sempre più in alto. Oltre alla televisione non mancherà il suo rapporto speciale con Il Cinema, I Fotoromanzi, Lo Sport, Il Festival di Sanremo, Il Mito, La pubblicità, La famiglia. Un’esplorazione coinvolgente che offrirà allo spettatore l’opportunità di un incontro unico e speciale con il presentatore, raccoglierà tutto l’amore che si è manifestato intorno a lui e farà scoprire come la sua voce ci parli oggi più forte che mai, impossibile non ricordarlo con il sorriso e con l’indimenticabile “Allegria!”. L’esposizione sarà corredata dal catalogo edito da Silvana Editoriale che contiene storia, documenti e immagini di una vita intera; un ricordo corale che si avvale delle testimonianze di amici, colleghi, collaboratori e di contributi critici.
Palazzo Reale di Milano
Mike Buongiorno 1924 -2024
dal 17 Settembre 2024 al 17 Novembre 2024
dal Martedì alla Domenica dalle ore 10.00 alle ore 19.30
Giovedì dalle ore 10.00 alle ore 22.30 – Lunedì Chiuso