«In Libano la gente ha paura, la sensazione è di aver subito un attacco probabilmente mai visto prima in nessun altro posto al mondo, diretto contro tutta la popolazione». A parlare da Beirut con l’agenzia Dire è Virginia Sarotto, 28 anni, capoprogetto nel Paese di Arcs Culture solidali, organizzazione non governativa di Arci. L’ong realizza una varietà di interventi che vanno dal creare sviluppo economico tra le comunità, al supporto educativo e psicosociale di bambini e famiglie, fino ad attività di advocacy per affrontare il tema delle carceri sovraffollate. La cooperante parla all’indomani di intensi attacchi aerei dell’aviazione militare israeliana nel sud. «Forse», annota Sarotto, «i più intensi dal 7 ottobre», giorno degli assalti armati del gruppo palestinese Hamas nel sud di Israele che hanno riacceso le ostilità anche con l’ala militare del partito libanese Hezbollah. L’emittente Al Jazeera, che afferma di aver visionato resoconti militari di Tel Aviv, riferisce che «il numero di attacchi giornalieri potrebbe aumentare di tre volte». Attacchi perlopiù «diretti alle infrastrutture militari», riprende la cooperante, «ma che in questi mesi spesso non hanno risparmiato abitazioni civili, con vittime». Poi, per due giorni consecutivi, sono esplosi oltre 3mila cercapersone, walkie-talkie e altri dispositivi appartenenti a esponenti di Hezbollah. Il bilancio è di 37 morti e migliaia di feriti. Che clima si respira a Beirut? «Ieri ha creato molta paura il passaggio dei caccia israeliani durante il discorso del segretario del partito» dice Sarotto. «Hanno rotto la barriera del suono. Succede abbastanza spesso, ma ieri ci ha scosso di più». Continua la cooperante: «La gente è andata nel panico, si sentono tutti colpiti a prescindere dalle affiliazioni politiche e religiose, anche se gli attentati terroristici sono avvenuti principalmente nel sud. Ma l’afflusso di feriti è stato così intenso che sono stati aperti tutti gli ospedali del Paese e c’è stata un’ondata di solidarietà». Tra la popolazione, chiediamo, circola quindi la parola «terrorismo»? «Sì. Non sono un’esperta- risponde Sarotto- ma sto leggendo varie analisi di avvocati e studiosi di diritto internazionale che reputano corretta questa definizione. C’è chi evidenzia il fatto che le norme internazionali vietano di collocare ordigni all’interno di oggetti che potrebbero utilizzare i civili. E, sebbene sia chiaro che si volessero colpire esponenti di Hezbollah, tantissimi civili sono stati feriti, per strada o nei mercati. Non è possibile sapere chi ha dispositivi a rischio e quando e dove saranno fatti esplodere. Infatti, è stato vietato l’ingresso di congegni radio negli ospedali e sugli aerei. C’è però da dire che i libanesi sono così abituati a guerre e incidenti che si sta tornando alla normalità abbastanza in fretta. Bisogna tornare a uscire, lavorare, studiare, vivere». Il timore di un’invasione da parte di Israele, secondo Sarotto, quindi «resta costante, ma la gente ci convive dal 7 ottobre. È una follia». Degli attentati di massa è stato accusato lo Stato di Israele, che non è intervenuto per smentire. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha ricevuto un rapporto preliminare sulle indagini condotte dalle autorità libanesi, secondo cui gli ordigni sarebbero stati manomessi prima del loro ingresso nel Paese. Fonti di stampa internazionale riferiscono che, su richiesta dell’Algeria, è prevista una riunione d’emergenza del Consiglio, alla presenza del ministro degli Affari esteri libanese, Abdallah Bou Habib.
Alessandra Fabbretti