La biodiversità è a rischio, come poche volte nella storia del nostro pianeta. Il tasso con cui ogni anno si estinguono nuove specie, infatti, è in crescita costante da anni, ed è probabilmente destinato ad aumentare ulteriormente in futuro per effetto dei cambiamenti climatici. Che fare? Se non si possono salvare tutte le specie a rischio c’è chi propone, quanto meno, di catalogarle: raccogliere campioni del maggior numero di specie animali possibile e crioconservarli, per non perderne traccia e, perché no, avere la possibilità di riportarle in vita se mai ce ne fosse bisogno. Un enorme catalogo della biodiversità terrestre, insomma, che a detta di un gruppo di scienziati guidato dai ricercatori dello Smithsonian’s National Zoo and Conservation Biology Institute non andrebbe costruito qui sulla Terra, ma bensì sulla Luna. La proposta è contenuta in un articolo pubblicato di recente sulla rivista BioScience, e dettaglia tutte le fasi del progetto, dalla raccolta dei campioni, fino alla costruzione del deposito lunare. L’ispirazione è il Global Seed Vault costruito presso le isole Svalbard, in Norvegia, dove sono custoditi i semi di oltre quattromila differenti specie vegetali (principalmente di interesse alimentare) per preservare la diversità delle colture del mondo, in caso di malattie o catastrofi. La banca dei semi norvegese sorge a oltre 120 metri di profondità in una zona dalle temperature rigide (dista appena 1.200 chilometri dal Polo Nord) che permette di mantenere i campioni sotto i -20 gradi centigradi con un dispendio minimo di energia. Accorgimenti perfetti per custodire i semi anche decine di migliaia di anni. Ma che non sarebbero invece sufficienti nel caso dei tessuti animali. Per criopreservare le cellule animali – si legge nello studio – servono temperature inferiori ai 196 gradi centigradi. E sulla Terra, si possono ottenere unicamente utilizzando azoto liquido, elettricità, e manodopera umana. Elementi costosi e suscettibili a guasti e incidenti. Per questo motivo, il luogo ideale per il deposito della biodiversità terrestre andrebbe cercato altrove, al di fuori del nostro pianeta. E in questo caso, la Luna è il candidato ideale. Nelle regioni polari del satellite, infatti, esistono crateri che per profondità e orientamento non sono mai illuminati dalla luce del Sole. E questo significa temperature che raggiungono i -246 gradi, più che sufficienti per conservare i campioni biologici crioconservati senza ricorrere ad alcuna forma di energia. Le radiazioni solari potrebbero rappresentare un problema, ma posizionando il magazzino all’interno di qualche caverna (è stato appena dimostrato che ve ne sono molte sulla superficie della Luna) o costruendo una struttura di roccia direttamente in sede, sarebbe facile proteggere i campioni dagli effetti genotossici dei raggi solari. Il programma dettagliato nello studio punta a raccogliere un tipo di cellule presente nella pelle conosciute come fibroblasti, più facili da ottenere e da conservare rispetto a spermatozoi, ovociti e embrioni, e comunque capaci di tornare allo stadio di staminali totipotenti (le cellule che possono differenziarsi in tutti i tessuti del corpo) con le dovute procedure di laboratorio. Il piano prevede una fase di test, da effettuare sulla Terra e anche sulla Stazione Spaziale Internazionale, per verificare che la criopreservazione e la permanenza nello spazio non danneggino i tessuti animali. E quindi l’inizio della raccolta di campioni della biodiversità terrestre. «Inizialmente, un biodeposito lunare avrebbe come obbiettivo le specie attualmente più a rischio sulla Terra, ma a lungo termine lo scopo sarebbe quello di criopreservare la maggior parte delle specie che abitano il nostro pianeta», spiega Mary Hagedorn, esperta di criobiologia dello Smithsonian’s National Zoo and Conservation Biology Institute, tra gli autori dello studio. «Speriamo che condividendo la nostra visione, il nostro gruppo troverà nuovi partner per espandere la conversazione, discutere i problemi e le opportunità che ci si pongono di fronte, ed effettuare le ricerche e i test necessari per trasformare questo biodeposito in realtà».
Simone Valesini