«Italia, popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori e trasmigratori»: è la scritta a carattere cubitali che spicca sulla facciata del Palazzo della Civiltà del Lavoro, un enorme parallelepipedo di travertino meglio conosciuto a Roma come il «Colosseo quadrato». A quella scritta, che ancora fa bella mostra di sé nel quartiere EUR, potrebbe essere aggiunta a pieno titolo la parola «inventori»; sì, perché l’Italia è anche la patria di Guglielmo Marconi e Antonio Meucci e di un lunghissimo elenco di piccoli e grandi geni ‘italici’, più o meno conosciuti. Grazie ad un carissimo amico di Campinas, l’ex console onorario Alvaro Cotomacci, ho avuto l’opportunità di incontrare in Parlamento i parenti di un personaggio poco conosciuto anche in Italia ma la cui invenzione ha contribuito a salvare milioni di vite umane in tutto il mondo. Sto parlando dell’italiano Luciano Di Lello, calzolaio nato nel 1876 a Villa Santa Maria in Abruzzo e poi emigrato a Parigi. E fu proprio in Francia che Di Lello diede origine a quello che può essere considerato il primo casco dell’era moderna, progenitore delle centinaia di modelli che troviamo oggi per le strade di tutto il mondo. Dopo aver scelto la professione di calzolaio , si specializzò nella lavorazione del cuoio e una volta arrivato a Parigi aprì una bottega e iniziò a confezionare calzature per le ballerine del Teatro dell’Opera. In quel periodo si sposa con un un’italiana e dà alla luce 3 figli di cui uno, Marcel, morì per un incidente stradale, apparentemente causato dalla frattura del cranio dopo essere stato investito da un tram mentre era a cavallo. Con ogni probabilità fu proprio questo tragico evento personale a ispirare Di Lello nella realizzazione del primo rudimentale prototipo di casco. Avvalendosi della consulenza dell’amico Alessandro Anzani, famoso pilota e progettista dell’epoca, Di Lello realizzò il suo primo casco ispirandosi alle calotte utilizzate dagli aviatori e utilizzando due strati di cuoio, tra i quali aveva posizionato delle molle, delegate ad attutire gli impatti accidentali sulla scatola cranica. La sua invenzione, puntualmente brevettata il 16 maggio 1904, riscosse sin da subito grande successo in Francia, tanto che i francesi arrivarono a chiamarla Lucien proprio in onore del suo ideatore. Anche numerosi piloti del periodo iniziarono a utilizzarlo, incluso lo stesso Anzani, accrescendone ulteriormente la fama. Il grande successo del «Lucien» fruttò anche diversi riconoscimenti a Di Lello, premiato con medaglie dal comune di Parigi e insignito anche della Croce al Merito della Repubblica Francese. Di Lello continuò a lavorare a Parigi fino al 1912, anno della sua prematura morte, arrivando a realizzare anche un primo prototipo di giubbetto gonfiabile in cuoio per la protezione dei motociclisti, premiato all’Expo Internazionale di Firenze del 1904. Fu l’ennesimo lampo di genio che arriverà a fruizione nell’industria motociclistica solo decenni dopo la sua scomparsa con l’avvento dei primi airbag. Nella seconda metà degli Anni 20 ebbe inizio una grande evoluzione tecnica dei caschi per uso motociclistico, con l’impiego di vari materiali per calotta e imbottitura, e nel secondo dopoguerra nacquero i primi veri produttori di caschi. Il loro sviluppo è proseguito e continua incessante fino ai nostri giorni, ma il tutto si può ricondurre al primo prototipo di casco moderno creato da Di Lello. Nonostante la grande fama acquisita in Francia, la sua figura è stata largamente trascurata in Italia; anche per questo sono stato particolarmente orgoglioso per avere organizzato alla Camera dei deputati uno speciale omaggio al grande inventore, consegnando al nipote Luciano Tinto un attestato di riconoscenza a nome del Parlamento e quindi del popolo italiano. Un’altra pagina epica di quella «storia dell’emigrazione» che dovrebbe essere studiata in tutte le scuole italiane.
On. Fabio Porta