IL PRIMO DARWINISTA ITALIANO

Lo straordinario viaggio della nave “Magenta”

di Generoso D’Agnese

Quando si imbarcò sulla nave Magenta, Enrico Hiller Giglioli non sapeva di essere uno dei primi italiani, unitamente al resto dell’equipaggio, a prendere il largo sotto la bandiera unita del Regno d’Italia, né  forse si sarebbe appassionato a tale primato. Per lui, viaggiare sulla prima nave dell’Italia unita che avrebbe circumnavigato il mondo, rappresentava soltanto una sfumatura della sua personale avventura esistenziale. E la sua vita parlava con i ritmi della Natura.

Quella di Giglioli fu infatti una spedizione scientifica, organizzata da Filippo De Filippi e incentrata sulla raccolta, la campionatura e lo studio di reperti zoologici, botanici, etnologici e antropologici delle zone peculiari del globo terrestre. Una spedizione che avrebbe fatto del giovane Giglioli un protagonista involontario della scienza italiana, facendolo conscere all’acerba mondo borghese di quella nuovissima realtà peninsulare.

Enrico Hiller Giglioli ebbe già dalla nascita una grande fortuna: quella di nascere da padre italiano e da madre inglese. Il padre, Giuseppe, era infatti un ardente mazziniano e il nonno, Domenico, era stato condannato al carcere a vita nell’Estense, dopo aver partecipato ai moti del 1831. La famiglia Giglioli era letteralmente pervasa del sacro fuoco patriottico e repubblicano, pagando l’impegno politico con l’esilio dalla originaria Brescello (città che tanti anni dopo sarebbe assurta agli onori della cronaca per la gustosa saga  cinematografica su Don Camillo). Enrico Hiller nacque proprio durante il forzato esilio a Londra, quando il padre trovò nella città inglese anche la donna della propria vita. Tornato in Italia nel 1848 Giuseppe Giglioli divenne professore universitario di antropologia di Pavia, e in seguito di Pisa, avvicinando alle scienze naturali anche il figlio Enrico. Nel 1861 il giovane Enrico aveva già conseguito brillanti successi scolastici e vinto una borsa di studio che lo avrebbe portato nel paese di nascita, allievo della Royal School of Mines. Introdotto nei salotti culturali  il giovane italiano fece sfoggio del suo ascendente inglese e non ebbe nessuna difficoltà ad essere accettato  nelle cerchie dei più autorevoli studiosi dell’epoca. Nella Royal School, del resto, insegnava uno dei più importanti naturalisti dell’epoca, quel Tommaso Huxley con cui il Giglioli entrò in grande amicizia condividendone l’impegno scientifico e filosofico.

            Erano quelli gli anni “rivoluzionari” del darwinismo e il mondo scientifico inglese si divise letteralmente in vari schieramenti di pensiero. Giglioli abbracciò con entusiasmo «la grandiosa ipotesi darwiniana» lasciandosi sapientemente guidare anche dal maestro Huxley. La stima reciproca dei due scienziati portò l’italiano a tradurre gli studi di Huxley e a pubblicare le sue lezioni. E in un Italia ancora acerba di grandi temi naturalistici, l’estense trovò in De Filippi l’unico convinto ammiratore del suo talento scientifico. Con l’aiuto dello stesso egli si imbarcò così sulla nave Magenta, e ne divenne protagonista assoluto quando lo stesso De Filippi dovette abbandonare l’impresa per gravi problemi di salute. Lasciato a sé stesso, Giglioli sfoderò il meglio delle proprie conoscenze e intraprese studi che rimangono ancora oggi capisaldi della Biologia.

Preso il timone della spedizione scientifica, Giglioli si avvicinò al Però con gli occhi carichi di curiosità per le specie autoctone e la sua sete di conoscenza, a soli ventitre anni di età, si nutrì abbondantemente all’ingresso nello stretto di Magellano. La Patagonia, selvaggia e maestosa, accolse cos“ un altro italiano, dopo Pigafetta e Malaspina, aprendo il suo ruvido scrigno alla passione dei nostri connazionali. La presenza italiana, che negli anni futuri si sarebbe arricchita di altri esploratori, missionari e scienziati, penetrò tra le infinite insennature cariche di insidie, permettendo alla nave Magenta di attraccare nelle sperdute località dell’estremo lembo americano.

Il gruppo scientifico guidato da Giglioli non scoprì né scalo vette sconosciute ma l’attività dello zoologo si esplicò quasi totalmente nel suo campo d’elezione. La ponderosa attività naturalistica dell’italiano si concentrò tutta nella scoperta, nell’identificazione e nella classificazione talassonomica delle specie animali e vegetali. Giglioli mise a segno un vero e proprio esercito nuovi nomi, arrivando a classificare, soltanto tra i vertebrati, 200 specie animali, e scoprendo almeno una dozzina di specie assolutamente sconosciute!

Scesco più volte sulle aspre coste della Patagonia e della Terra del Fuoco, l’italiano ebbe modo di scambiare merci e amicizia con un piccolo gruppo di «fuegiani», indiani decisamente malmessi in quell’habitat cos“ ostile agli esseri umani. Egli concentrò tuttavia i suoi maggiori sforzi sull’attenta osservazione delle varietà zoologiche e si addentrò anche nello studio dell’etologia animale.

Abbandonate le fredde coste sudamericane Giglioli iniziò a scrivere le sue riflessione su quella straordinaria avventura umana e scientifica. Il libro sarebbe stato pubblicato nel 1875 con il titolo «Viaggio intorno al Globo della R. pirocorvetta italiana Magenta» e rappresenta ancora oggi una monumentale opera «omnia» della zoologia, etologia e della fitogeografia.

La vita di Giglioli, dopo l’intensa esperienza sudamericana non fu mai più la stessa. Egli port˜ i suoi studi americani in tutta la sua carriera accademica, la quale si arricchì anche della cattedra di anatomia comparata nell’Istituto di Studi superiori di Firenze. In trentatre anni di carriera lo studioso realizzò la prima collezione nazionale dei vertebrati italiana, mettendo insieme oltre milleduecento specie diverse. Eseguì numerose campagne talassografiche (che permettevano di studiare le specie animali nei loro luoghi naturali di vita) e scoprì anche nuove specie di pesci negli abissi marini. Nella vita relativamente breve di Giglioli ci fu spazio anche per un altro appassionato studioso delle Americhe. Egli si legò infatti a Paolo Mantegazza da cui apprese l’arte di studiare anche i popoli umani. E la carriera di etnologo lo avrebbe sicuramente portato ancora lontano se non lo avesse colto improvvisa la morte nel 1909. Enrico Giglioli mor“ a sessantaquattro anni nella colta Firenze, stringendo tra le mani le pagine dei suoi studi patagonici, estremo atto d’amore verso un Continente che lo rese tra i pi apprezzati e riveriti scienziati del Regno d’Italia.